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Altezza reale
 
Altezza reale 2015-02-28 07:13:38 viducoli
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
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5.0
viducoli Opinione inserita da viducoli    28 Febbraio, 2015
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L’antitesi ai Buddenbrook in una "quasi fiaba"

**Attenzione: Spoiler **

Thomas Mann pubblica Altezza reale nel 1909, otto anni dopo I Buddenbrook: tra il grande romanzo dell’esordio e questa fiaba, come la definiscono molti critici, Mann pubblica solo racconti, tra i quali due grandi racconti: Tristano e Tonio Kröger. La distanza temporale e di produzione letteraria tra i due romanzi non è quindi molta, eppure mi pare di poter dire che poche volte si può notare in un autore una differenza così netta d’impostazione e di tematica come quella che corre tra il romanzo che narra le vicende dei mercanti di Lubecca e questa opera, storia di un principe ambientata in uno dei tanti staterelli in cui la Germania era suddivisa sino alla fine della prima guerra mondiale.
Nella parabola drammaticamente declinante della famiglia Buddenbrook è stato sin troppo facile scorgere, da parte dei critici che non si sono accontentati di analizzare la storia in sé e il suo stile, la coscienza e l’esplicitazione della irreversibile crisi dei valori su cui si era fondata l’espansione economica e politica della borghesia nel XIX secolo, tanto che I Buddenbrook è stato spesso definito, anche per la data della sua comparsa, il romanzo che inaugura il novecento letterario (io ritengo invece che I Buddenbrook abbiano avuto parecchi antesignani in qualche modo novecenteschi tra le opere di autori a cavallo dei due secoli, soprattutto in ambito anglosassone). Perché Altezza reale si pone in modo così dialettico rispetto a I Buddenbrook e, anche se probabilmente in misura meno eclatante, anche con la sua produzione successiva (si pensi in particolare a La morte a Venezia e a La montagna incantata, che costituiranno le successive più importanti prove narrative di Mann)? Perché Mann sente il bisogno, dopo la grande prova di realismo del primo romanzo, di rifugiarsi in una dimensione come detto quasi fiabesca? Per cominciare a capirlo (o meglio per cominciare a illustrare come io cerco di rispondere a questa domanda) partiamo dalla trama.
Klaus Heinrich è il secondogenito della casata dei Grimmburg: suo padre è il Granduca, sovrano del piccolo stato tedesco, e suo fratello Albrecht è l’erede al trono. Il paese è vicino al disastro economico La vecchia economia feudale, basata sull’agricoltura, sulle miniere e sui boschi, non regge più; le comunicazioni sono arretrate, e non c’è turismo; il debito pubblico sta diventando insostenibile (ma guarda…). Mann spende un intero capitolo a descriverci minuziosamente le cause e gli effetti della crisi economica che attanaglia il paese da decenni, e che è simboleggiata dalla decadenza dei castelli e delle tenute granducali. Seguiamo Klaus Heinrich dalla nascita, giorno in cui ci si rende conto che ha il braccio sinistro rattrappito, agli studi giovanili, durante i quali ha come maestro, anche di vita, il dottor Überbein, figura complessa sulla quale torneremo.
Morto il granduca padre, gli succede Albrecht, che però è malaticcio e a causa del carattere chiuso rifugge il contatto con il popolo: egli delega quindi al fratello, di carattere più aperto ed amato dai sudditi, la maggior parte degli impegni ufficiali e di governo, riservandosi un ruolo solo formale.
Un grande magnate americano ormai anziano, Samuel Spoelmann, di origini tedesche, giunge un giorno nella piccola capitale dello stato per curarsi con le sue acque termali, e si trova tanto bene da acquistare uno dei cadenti palazzi granducali, rimodernarlo e ritirarvisi con la giovane figlia Imma e una sedicente contessa, dama di compagnia di quest’ultima. La giovane, da buona americana, è molto vivace ed anticonformista, aliena ai formalismi dell’aristocrazia del paese, incarnati da Klaus Heinrich. Egli tuttavia la nota e decide di farle la corte, restando però soggiogato dalla sua personalità, che vede in lui una persona che si cura solo delle apparenze e dalla vita condizionata dal ruolo che riveste. Mentre il rapporto tra i due si approfondisce tra alti e bassi dati dalla diversità di carattere e cultura, il possibile matrimonio viene visto dal governo come una grande opportunità per salvare il paese, ed in un importante (anzi centrale) colloquio il ministro degli interni illustra a Klaus Heinrich le reali condizioni economiche del paese, esortandolo a considerare, oltre che il suo interesse personale, anche quello generale che rappresenta. Da quel momento Klaus Heinrich studia economia, e attraverso questa nuova concretezza conquista Imma. Si sposano, il vecchio genitore di lei acquista, come promesso, i titoli del debito pubblico e lo stato può riprendere a prosperare tra il giubilo del popolo per i due giovani sposi.
Dunque apparentemente davvero una bella fiaba. Siamo però di fronte a Thomas Mann, e forse è necessario qualche approfondimento.
In senso generale ritengo di poter affermare che Altezza reale è una sorta di autorisposta manniana a I Buddenbrook. E’ come se Mann (non dimentichiamoci, grande borghese) avesse avuto paura di una interpretazione radicale della tesi esposta nel primo romanzo, quella del disfacimento dei valori borghesi ottocenteschi, e tentasse con questo romanzo una sorta di riparazione, di spiegazione più articolata della sua posizione. Sembra dirci: ”E’ vero, io vi ho detto che le antiche virtù etiche che accompagnavano il commercio e l’accumulazione si stanno perdendo, ma è solo attraverso il recupero della freschezza e della vitalità di questi originari valori in un’ottica moderna che la nostra vecchia Germania si salverà, che avremo un futuro.” I due romanzi possono così essere letti quasi all’interno di una logica dialettica di tipo Hegeliano, rappresentando uno la tesi e l’altro l’antitesi che portano ad una sintesi, a mio avviso rappresentata dalla discesa finale di Hans Castorp dalla Montanga incantata, tutta giocata all’interno di una visione comunque organicamente borghese, cui l’autore fu fedele per tutta la vita e che si ritrova in tutta la sua opera.
Nel romanzo, scritto con una leggerezza che spesso sconfina nell’ironia, anche se sono evidenti, pur nell’ambientazione come detto quasi fiabesca, richiami alla Germania reale in cui viveva Mann, a partire dall’esplicito riferimento a Guglielmo II rappresentato dal braccio rattrappito di Klaus Heinrich, manca tuttavia a mio parere una reale coscienza critica del disegno egemonico e militarista che l’impero tedesco stava perseguendo, e che avrebbe inevitabilmente in pochi anni portato alla catastrofe della prima guerra mondiale: questa è forse la più grave pecca del libro e questa è la più grave accusa che si può rivolgere a Mann: un intellettuale delle sue capacità analitiche non avrebbe dovuto non accorgersi di ciò che si andava preparando, ed anzi suggerire, come fa in Altezza reale, un matrimonio altamente simbolico tra l’autoritarismo prussiano (visto con gli occhi di una satira tutto sommato benevola che si limita a prendere in giro l’eccessivo formalismo dei suoi rappresentanti) e gli spiriti animali del capitalismo.
Ancora poche parole su alcuni dei personaggi minori della storia, che iniziano a giocare quei ruoli paradigmatici che Mann svilupperà appieno ne La montagna incantata. Su tutti emerge la figura del dottor Überbein, il maestro degli anni giovanili, che – con la sua vita difficile, da bastardo, ed i suoi tratti fisici quasi ripugnanti – rappresenta la coscienza arretrata della Germania feudale, nella quale il potere era sublimato in una distanza quasi mistica tra regnante e popolo, ed era proprio l’inaccessibilità del primo a costituire la sua legittimazione nei confronti del secondo, come emerge chiaramente dai più significativi colloqui tra l’insegnate e il regale allievo. Significativamente, Überbein si suicida il giorno del fidanzamento ufficiale di Klaus Heinrich con Imma, il giorno in cui la distanza tra aristocrazia e capitale viene annullata.
Un altro personaggio che compare solo in poche pagine è il poeta Axel Martini: il suo colloquio con Klaus Heinrich è una piccola summa del pensiero manniano circa il ruolo dell’intellettuale nella società, ed anche un capolavoro di ironia sulla figura reale, privata, dell’intellettuale.
Altri personaggi andrebbero citati, da quello di Spoelmann ai parenti di Klaus Heinrich, ma credo che la loro scoperta vada lasciata al piacere della lettura.
Dietro la forma di una fiaba tedesca e una scrittura leggera si cela insomma in Altezza reale un romanzo complesso, come deve essere in uno scrittore quale è Thomas Mann, un romanzo in cui emergono a mio avviso tutte le contraddizioni di questo grandissimo scrittore, che segna di sé la cultura europea della prima metà del novecento, ma che non è esente da colpe (sia pure indirette) rispetto all’andamento che ha avuto, e che forse si è accorto troppo tardi di aver guardato con troppa indulgenza ai piccoli mostri che più tardi, cresciuti, avrebbero cercato di divorarlo.

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I Buddenbrook
La montagna incantata
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Commenti

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Ciao Vittorio. Trovo il tuo commento molto interessante ed esaustivo. Per me è stato un vero e proprio invito a leggere questo libro, che io consideravo 'minore' .Le altre opere che hai citato, di Mann, mi sono piaciute parecchio, specialmente ''La montagna incantata''.
In risposta ad un precedente commento

28 Febbraio, 2015
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Ciao Emilio.
Siamo sicuramente di fronte a uno dei massimi scrittori del '900, ed anche se forse Altezza Reale è un romanzo meno "riuscito" degli altri due credo sia utile leggerlo per comprendere appieno la poszione di Mann rispetto ai tempi che viveva.
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