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Moby Dick
 
Moby Dick 2015-04-01 13:56:33 antonelladimartino
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    01 Aprile, 2015
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IO SONO LA PAZZIA IMPAZZITA

«Oh, della nave! Hai visto la balena bianca?»
Oh sì, la conosciamo bene. Moby Dick, il Leviatano ottocentesco, ancora più temibile perché indossa il bianco, il colore della purezza e dei fantasmi, è ormai un mito per noi lettori moderni, modernissimi, anzi contemporanei. Canzoni, film, telefilm ci hanno già presentato eventi e personaggi: rivederli all’origine è un’esperienza che può essere emozionante o faticosa.

Per noi lettori del terzo millennio è facile identificarci con lei (o lui): Moby Dick, mostro innocente e ribelle, perseguitato per secoli come fonte di luce e di cibo. Grande Moby Dick, che morde lenze per liberare gli altri pesci (mammiferi, per la precisione). Meraviglia della letteratura ottocentesca, questo personaggio ha la stessa forza dell’autentico capodoglio albino, possente animale capace di spazzare via un’imbarcazione con un solo colpo di coda e di raccontare il meglio e il peggio della natura umana. Anche lo stile narrativo del romanzo è una forza della natura, da centellinare con cautela: la gradazione è forte, non è leggero come certa spumeggiante narrativa di oggi, scritta per lettori frettolosi avidi di frasi facili.

Il lettore ha sempre il sacrosanto diritto di non leggere tutto, ma personalmente ho apprezzato anche i passaggi più lenti del romanzo, quelli che illustrano “il romantico procedimento” della baleneria, dall’avvistamento alla caccia al “travaso dell’olio nelle botti e la calata di queste nella stiva”. Non ho potuto fare a meno di leggerli, perché consentono di apprendere davvero la fatica e la bellezze di un’arte che non esiste più: l’arte della baleneria e della sua dialettica baleniere e balene, cacciatori e prede.

Siamo noi umani che cerchiamo la balena, non è lei che cerca noi, senza dubbio. Ma anche se campioni di un’arte crudele, non meno dell’arte guerriera dei Napoleone di tutti i tempi, sono così belli anche questi marinai, battezzati o ottimi selvaggi, semplici o ufficiali, che sfidano le acque sconfinate degli oceani e la furia dei Leviatani.

Splendido anche Achab, il folle capitano dalla follia così lucida da vedersi allo specchio, da contemplare la via di uscita e rifiutarla.
«Oh capitano! Mio capitano! Cuore nobile, vecchio cuore grande dopo tutto! Perché si deve dare la caccia a quel pesce odioso? Torna via con me! Usciamo da queste acque morte! Torniamo a casa!»
Ha la fortuna di avere una casa, il vecchio capitano, e una giovane moglie e un figlio ancora bambino. Ma il richiamo di Moby Dick è più forte. Achab è davvero “la pazzia impazzita.”

E il resto dell’equipaggio? Lo segue. Qualcuno spera di ricevere in cambio il prezioso doblone d’oro vergine, per comprarci centinaia di sigari o l’equivalente. Gli altri, affascinati dalla sua follia o di malavoglia, lo seguono comunque, fino alla catastrofe, prevista ancor prima di levare l’ancora.

E quante riflessioni, quanti richiami, quante citazioni tra un incontro e l’altro, di balene o di navi. Precursore delle astronavi di Star Trek, il Pequod vanta una ciurma variopinta di personaggi dalla forte personalità, ben descritti nell’aspetto, tragici e buffi, alieni e umani, comunque indimenticabili. La navigazione interculturale ispira una sana curiosità nei confronti dei diversi più o meno esotici e suscita grandiose digressioni, anche filosofiche, sulla vita: la nostra e quella delle balene e degli altri animali.

Achab ci insegna che siamo condannati a cercare il Male, a dargli un nome, a inseguirlo negli angusti oceani del nostro mondo. In fondo, sappiamo che è una fatica tanto ingrata quanto inutile, ma andiamo avanti, armati di rabbia e di ramponi, arrancando nelle nostre imbarcazioni sgangherate, a meritarci il colpo di coda finale. In fondo, ammettiamolo: ci piacerebbe essere Moby. L’odio è l’altra faccia dell’amore, si sa. Può farci volare in alto nel cielo. Oppure, trascinarci negli abissi marini.

Non è un romanzo da manuale, questo. Troppo pesante, troppo divagante. Alcune parti sono poco romanzesche, sembrano un documentario sulle balene. Una pesante diversità. Un capolavoro. Inestimabile.

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Commenti

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Bel commento, Antonella. Un libro complesso ricco di simboli, una vera metafora della vita dell'uomo. Alcune parti, come hai ben sottolineato, sono lente e documentaristiche, ciononostante un testo fondamentale per la letteratura americana e non solo.
Antonella, il tuo bel commento è molto interessante. Il libro è un monumento. Il fascino del mare, l'aspetto emblematico della narrazione, le suggestioni che ne derivano...fanno di quest'opera una lettura necessaria.
Grazie Anna Maria. Questo romanzo mi ha dato davvero tanto. Potenza dei classici :-)
che bella presentazione Antonella!
mi vergogno un po' nel dire che non l'ho mai letto..
Sì, questo romanzo rappresenta un monumento: anche per questo rischia di apparire ostico come un obbligo. Inoltre, non si può negare che sia impegnativo, ma perché non dovrebbe esserlo? Leggerlo è una necessità, ma soltanto per chi è in grado di apprezzarlo e ha voglia di impegnarsi:-)
E perché mai dovresti vergognarti? Anch'io l'ho letto da poco :-) I classici sono tanti, sono belli, ma non dovrebbero mai essere un obbligo. Se ne hai voglia, leggilo. Non te ne pentirai.
Antonella...ho abboccato :-)
Questo commento e' strepitoso, avevo gia' in mente di tentare, ora lo voglio assolutamente !
Provaci CUB, concedile fiducia, assaggia, scegli, gusta... e la bianca balena ti trascinerà :-)
Ciao Antonella, è vero: libro faticoso ma che gioia averlo letto. Complimenti per la tua analisi.
Grazie! Per me, Laura, anche leggerlo è stata una gioia. C'è chi si diverte a scalare le montagne a mani nude, leggere un libro impegnativo è molto meno faticoso. E meno rischioso ;-)
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