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Otello
 
Otello 2017-08-05 13:21:07 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    05 Agosto, 2017
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No, non è la gelosia…

“Io non sono quel che sono”, dice Iago all’inizio della tragedia, e a parer mio questa sentenza è la chiave del dramma del Moro di Venezia. Otello è infatti la tragedia di come i fatti possano essere resi diversi da ciò che sono, grazie al potere mistificatore del linguaggio ed all’incapacità di percepire i fatti come realmente accadono quando qualcuno si assume il compito di interpretarli per noi. Otello è anche il dramma di chi, per insufficiente capacità critica, si lascia soggiogare dalle opinioni altrui, anche quando queste sono palesemente contrarie all’evidenza e portano all’autodistruzione. Otello non è quindi solo un dramma della gelosia: direi anzi che la gelosia è solo un pretesto, un argomento utilizzato da Shakespeare, in quanto sentimento facilmente comprensibile dal pubblico, per esemplificare i danni che l’uso distorto e fazioso del linguaggio può provocare all’uomo e alla società.
Shakespeare scrive Otello nei primi anni del XVII secolo, dopo avere già creato opere come Giulio Cesare e Amleto e subito prima di Re Lear e Macbeth. Siamo nel pieno della maturità artistica del Bardo, nel cuore dei drammi dialettici, caratterizzati dall’indagine dell’agire umano e di come questo sia condizionato da concreti fattori sociali, relazionali e psicologici. Siamo nel pieno di quella fase produttiva che ci consegna un autore ormai andato ben al di là della pure brillantissima interpretazione del teatro elisabettiano per approdare alle rive della modernità, nella quale i personaggi agiscono come individui, immersi in un corpo sociale e relazionale con cui si confrontano dialetticamente, piuttosto che essere soggetti passivi dell’agire del fato.
Ritengo opportuno ribadire che questa evoluzione della poetica shakespeariana non avviene – a mio avviso – per una astratta evoluzione dell’estro artistico del poeta, ma è il frutto diretto ed inevitabile dei convulsi cambiamenti della società in cui il poeta viveva, caratterizzati dalla spinta sempre più forte della borghesia per assumere il potere, spinta che di lì a pochi anni avrebbe portato alla rivoluzione cromwelliana. L’individuo, con le sue capacità di fare e di decidere il proprio destino è, come possiamo constatare ancora oggi, il caposaldo principale dell’ideologia capitalistica borghese, che all’inizio del XVII secolo in Gran Bretagna stava spazzando via i resti della decrepita organizzazione sociale e culturale feudale: la assoluta grandezza di un autore come Shakespeare sta essenzialmente nell’aver saputo interpretare questo passaggio, cogliendone anche in anteprima, se così si può dire, le contraddizioni, divenendo di fatto uno (forse il maggiore) dei padri nobili della letteratura della crisi di trecento anni posteriore.
La trama di Otello è nelle sue grandi linee universalmente conosciuta, probabilmente anche perché è stato facile divulgarla sotto forma di drammone della gelosia. Sembra comunque utile riassumerla brevemente. Otello, il Moro, abile comandante militare, ha sposato in segreto Desdemona, molto più giovane di lui e figlia di un potente senatore della Serenissima. Quando Cipro è minacciata dai turchi Otello viene nominato governatore dell’isola, sulla quale si trasferisce con la giovane sposa e i suoi stretti collaboratori. Tra questi vi è Iago, che lo odia perché Otello ha nominato come luogotenente il giovane Cassio, lasciandogli il posto meno prestigioso di alfiere. Tutti si fidano ciecamente di Iago, considerato saggio e fedele. Quest’ultimo inizialmente trama per far cadere in disgrazia Cassio presso Otello, quindi concepisce il piano per distruggere lo stesso Moro: instillargli abilmente il dubbio che Desdemona lo tradisca con Cassio. La prova sarà quella, celeberrima, del fazzoletto regalato da Otello a Desdemona. Mentre la minaccia dei turchi viene meno perché la loro flotta ha fatto naufragio nella tempesta, il dramma si compie ed un Otello accecato dalla gelosia strangola l’incolpevole Desdemona: Emilia, moglie di Iago, che è stata l’inconsapevole protagonista dell’affaire del fazzoletto, a quel punto capisce la perfidia del marito, e lo denuncia alle autorità veneziane giunte a comunicare la nomina di Cassio a governatore e ad Otello l’ordine di rientrare in patria: prima di essere arrestato Iago uccide la moglie, mentre Otello, resosi conto del terribile tranello in cui è caduto, si suicida.
È quindi davvero un drammone, dall’impianto esteriore oggettivamente d’appendice, giustificato dal fatto che Shakespeare viveva di teatro e con il teatro, dovendo giocoforza mettere in scena opere che piacessero al pubblico, che potessero attirarlo con la forza dei grandi sentimenti. Questo fatto, lungi dall’essere un limite, rappresenta a mio avviso un altro elemento di grandezza dell’autore, capace – come solo i grandi artisti sono in grado di fare – di costruire le sue opere a diversi livelli, così da catturare il pubblico dell’epoca con gli elementi triviali e al contempo indurlo a riflettere attraverso i messaggi subliminali di cui la tragedia è infarcita.
Come detto all’inizio, il linguaggio svolge una parte centrale nella tragedia, tanto che Agostino Lombardo, curatore della bella edizione Feltrinelli che ho letto, la definisce “la messa in scena della tragedia della parola”. Il tema del potere del linguaggio non è nuovo in Shakespeare, tanto che già nel Giulio Cesare il fulcro della tragedia può essere identificato nella diversa efficacia che hanno sul popolo romano i discorsi di Bruto e di Antonio, ed in particolare in come quest’ultimo usi il linguaggio per ribaltare l’apparente rapporto lineare tra significante e significato. In Otello il tema del linguaggio diviene dominante in senso assoluto, e può essere scomposto in vari filoni d’analisi.
Un primo aspetto fondamentale da considerare è infatti l’uso che Shakespeare fa del linguaggio per caratterizzare, per dare il tono della tragedia. È infatti un mix di linguaggio aulico e triviale che scandisce i vari momenti della tragedia. Esemplari riguardo a ciò sono i monologhi e le battute di Otello, il quale passa dal tono quasi retorico del primo monologo, nel quale spiega al Senato veneziano il motivo per cui Desdemona si è innamorata di lui, alle espressioni sincopate e sovente volgari usate nei momenti in cui l’insinuante linguaggio di Iago lo convince della colpevolezza della moglie, per tornare ad un tono ufficiale nel monologo che precede il suicidio. Attraverso questi cambiamenti plateali nel linguaggio usato da Otello l’autore riesce a descrivere in maniera perfetta la progressiva alterazione della realtà elaborata dalla mente di Otello, il suo sprofondare negli abissi della gelosia e dell’insicurezza. E’ questo un elemento che attribuisce grande forza espressiva e grande modernità alla tragedia, che per il fatto di essere un’opera teatrale non può essere supportata da descrizioni ambientali o caratteriali, ma deve affidare alle parole direttamente dette dai personaggi l’esplicitazione dell’atmosfera che si respira in ogni scena. Ancora più sofisticato è l’uso che Shakespeare fa del linguaggio di Iago, che mantiene una apparente ed ambigua uniformità per tutta la tragedia, divenendo tuttavia una vera e propria arma di disinformazione ed inganno nei colloqui con il Moro e non solo: Iago si atteggia sempre ad umile e fedele servitore di Otello, e tutti lo credono tale (molto spesso è chiamato, da Otello, Desdemona Cassio, le sue vittime, l’onesto Iago) ed è proprio la sua proprietà di linguaggio, l’uso ambiguo che è in grado di farne a costituire la sua diabolica forza: in alcuni passaggi la sua capacità di insinuare, di far intendere il contrario di ciò che letteralmente dice richiama alla memoria il già citato discorso di Antonio nel Giulio Cesare. Quando viene arrestato e gli viene chiesto perché abbia ordito una tale mostruosa macchinazione contro Otello, risponde: “Non chiedete nulla, quel che sapete sapete. D’ora in avanti non dirò parola”. La parola, il linguaggio, hanno perso per lui ogni significato, sono del tutto inutili ora che non può più utilizzarle come le armi più pericolose.
Notiamo anche, sempre in tema di linguaggio della tragedia, un particolare forse secondario, ma a mio avviso di un certo interesse. Otello non è un’opera completamente originale: Shakespeare si ispirò largamente alla novella Il Moro di Venezia, scritta dal ferrarese Giambattista Giraldi Cinzio nel 1565, quindi circa quarant’anni prima. Nella novella di Cinzio i personaggi non hanno nome, tranne la giovane moglie del Moro, che già si chiama Disdemona (dal greco, sfortunata). E’ dunque Shakespeare che battezza gli altri principali protagonisti della tragedia, e – stranamente in italiano, ma è possibile che l’effetto possa essere anche maggiore in inglese – si tratta di veri e propri nomi caratterizzanti, quasi appellativi onomatopeici, per i quali il significante corrisponde esattamente al significato. Otello, come vedremo, è un insicuro, che viene completamente circuito dalla doppiezza di Iago, ed il suo nome (che in italiano rivela una strana assonanza con vitello) è perfetto per il suo ruolo in tragedia, come perfetta è la stilettata velenosa che suggerisce il nome Iago. Cassio, che pure non è esente da difetti caratteriali, è un animo essenzialmente nobile, a cui si adatta bene un nome classico. Il vecchio padre di Desdemona, rappresentante del potere costituito della Repubblica, porta l’altisonante nome di Brabanzio, mentre il frustrato ed ingannato socio di Iago si chiama Roderigo.
Shakespeare mostra quindi in Otello la piena coscienza dell’importanza del linguaggio e delle sue ambiguità come strumento di potere, di manipolazione della realtà e di costruzione di false oggettività. Qui egli fa però anche un altro passo in avanti sulla strada del rapporto ambiguo tra segno e realtà: ci avverte che neppure ciò che vediamo con i nostri occhi è oggettivo, essendo sempre filtrato dai nostri schemi mentali (o dai nostri pregiudizi). La scena centrale della tragedia, infatti, è quella in cui Otello, nascosto, assiste da lontano ad un colloquio tra Cassio e Iago, convinto che i due stiano parlando e ridendo della relazione del primo con Desdemona: è la scena in cui compare il famoso fazzoletto, prova certa per Otello della colpevolezza della moglie. L’inganno è totale, perché i due stanno parlando di tutt’altro, quindi neppure vedere dà la certezza delle cose, come Otello scoprirà amaramente quella notte stessa. Anche i cosiddetti fatti devono quindi essere correttamente interpretati, pena la loro mancata comprensione: grande lezione per l’oggi, immersi come siamo in fatti interpretati per noi da altri.
Se Otello è innanzitutto un dramma del linguaggio non va dimenticato il fatto che è anche un dramma della stupidità, secondo l’epiteto che più volte Emilia rivolge al Moro nel finale e infine Otello rivolge a sé stesso. Perché il linguaggio abbia la forza di sovvertire la verità, perché i fatti vissuti possano essere interpretati in modo completamente distorto è necessaria l’inadeguatezza di chi ascolta e vede, la sua stupidità: nel Giulio Cesare stupido è il popolo romano, in Otello stupido è il protagonista. Che sia tale lo si può capire sin dall’inizio, quando nel primo grande monologo dice a Brabanzio ed ai senatori che Desdemona si è innamorata di lui ascoltando le sue storie di battaglie e di eroismo: egli si rapporta a questo amore dai tratti infantili con l’orgoglio del conquistatore, mai in modo veramente adulto, tanto è vero che al primo soffio velenoso di Iago affiorano immediatamente dubbi per la differenza di età e di censo rispetto alla sposa. È stupido ed inadeguato perché questi dubbi lo travolgono, nonostante l’evidenza dell’impossibilità che Desdemona lo tradisca, come gli conferma Emilia, che è sempre con lei: a questi fatti e a questo linguaggio veri egli non dà alcun credito, perché il suo amore per Desdemona non rappresenta per lui altro, di fatto, che la certificazione dello status sociale che crede di aver raggiunto. Che sia inaffidabile ed inadeguato lo testimonia del resto anche la sua rimozione da governatore non appena la minaccia turca svanisce: Venezia lo considera un buon militare, ma non certo un saggio amministratore.
Il personaggio più debole della tragedia è forse la povera Desdemona, poco più che una bambina incolore, petulante nella richiesta di riabilitazione di Cassio, che se ne va, accusata di essere una puttana senza conoscere davvero il significato dell’epiteto, improbabilmente cantando la canzone del salice, lei che forse se fosse vissuta avrebbe davvero, ma molto dopo, tradito lo stupido Moro.
Otello è quindi una tragedia potente, nella quale il tema della gelosia è utilizzato da Shakespeare per mostrarci moltissime altre cose attinenti la coscienza umana e soprattutto come questa possa essere facilmente manipolata quando si trovi di fronte interessi concreti e strumenti adeguati.

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Bella analisi come sempre, Vittorio. Non va consigliato, va letto. Sarebbe interessante sapere come fu fruito dai coevi, certo che i messaggi del testo hanno una potenza diacronica eccezionale.
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