Dettagli Recensione
Nel solco del Modernismo
“La signora Dalloway”, di Virginia Woolf.
Pubblicato nel 1925, La signora Dalloway rappresenta una delle vette della narrativa del Novecento e un momento cruciale nell’evoluzione letteraria di Virginia Woolf. Scrittrice tra le più originali del suo tempo e figura centrale del gruppo di Bloomsbury, Woolf rinnova profondamente la forma del romanzo.
La trama è estremamente semplice poiché il romanzo si svolge nell’arco di una sola giornata londinese, seguendo i pensieri della protagonista Clarissa Dalloway, borghese raffinata e impeccabile, impegnata nei preparativi per una festa serale. In realtà l’apparente semplicità della trama è solo il pretesto dietro cui si cela un mondo interiore complesso, fatto di desideri repressi, ricordi, inquietudini, che, senza alcun ordine cronologico, emergono attraverso una prosa elegante e raffinata. Il romanzo si sviluppa sul filo della memoria, del desiderio e della morte. Clarissa, perfetta padrona di casa, coltiva un senso di vuoto interiore, un'oscura consapevolezza dell’inutilità delle convenzioni sociali.
La signora Dalloway è un romanzo che non smette di interrogare il lettore contemporaneo. Per la sua sperimentazione linguistica, per la lucidità con cui affronta il tema del trauma, della solitudine e dell’identità e per la modernità con cui scardina la narrazione patriarcale, resta un’opera imprescindibile del canone novecentesco. Non solo un classico, ma un testo vivo, capace di parlare al presente con una voce intima e universale.
La vera novità del romanzo, infatti, è l’utilizzo di uno stile che caratterizzerà molto anche la produzione successiva della Woolf, il ricorso al “flusso di coscienza” come tecnica che la scrittrice adatta in modo personale: non come pura registrazione del pensiero, ma come strumento poetico e riflessivo. Il tempo oggettivo – le ore scandite dal Big Ben – si intreccia con il tempo soggettivo della memoria e dell’emozione. La vetta espressiva massima di questa tipologia narrativa la Woolf la raggiungerà nel 1927 con Gita al faro. Mentre ne La signora Dalloway le tematiche dell’identità, della memoria, del tempo soggettivo e della condizione femminile trovano una loro prima affermazione, in Gita al faro la sperimentazione modernista della Woolf raggiunge un ulteriore grado di sofisticazione unendo riflessione metafisica e profonda analisi delle dinamiche familiari e artistiche.
Con tale scelta stilistica, La signora Dalloway si inserisce pienamente nel movimento artistico e letterario del Modernismo che, tra le due guerre, rivoluziona le strutture narrative tradizionali, rinunciando alla linearità e all’oggettività per privilegiare la frammentazione del tempo, la soggettività e l’interiorità. Il tentativo – perfettamente riuscito – di esplorare, attraverso nuove forme, la coscienza umana nell’epoca della modernità la affianca a romanzi che rappresentano i più fulgidi esempi di questo stile quali l’Ulysses (1922) di Joyce e The Waste Land (1922) di Eliot, con cui l’opera della Woolf dialoga condividendone la crisi del linguaggio e della rappresentazione.
Tornando al romanzo, accanto a Clarissa, emerge la figura tragica di Septimus Warren Smith, reduce della Prima guerra mondiale affetto da disturbi mentali, attraverso cui Woolf denuncia il trattamento riservato ai reduci e critica duramente l’ottusità delle istituzioni mediche e sociali: la sua follia non è solo personale ma anche simbolo del fallimento sistemico e morale della società.
Il suicidio, il suo destino tragico, diventa il contraltare oscuro della brillante festa di Clarissa, in un montaggio parallelo che fonde il dramma individuale con la critica sociale quasi come a far dialogare due vite separate ma speculari.
Il contrasto con la figura di Clarissa, simbolo dell’alta borghesia inglese, mette in luce le tensioni tra apparenza e interiorità, tra mondanità e dolore. Clarissa stessa, pur immersa nel mondo delle convenzioni sociali, riflette continuamente sulla morte, sulla solitudine, sul senso della vita. Lei rappresenta una donna intrappolata tra i ruoli sociali e la propria individualità, simbolo di eleganza e di rispettabilità, ma attraversata da inquietudini esistenziali, memorie di desideri non vissuti, domande irrisolte sull’amore, la morte e il senso dell’esistenza.
E dal ricordo di Sally Seton — amica e forse amore giovanile — affiora una complessità affettiva e identitaria che sfida le norme del tempo. Woolf esplora così non solo la fragilità della mente ma anche la condizione femminile, le tensioni tra libertà e costrizione, tra l’essere e il dover essere.
La sua giovinezza con Sally Seton, evocata in flashback, lascia intuire un legame affettivo e forse omosessuale che non ha trovato spazio nella vita adulta — un tema che Woolf affronta con una sensibilità straordinariamente moderna.
La relazione (vissuta? immaginata?) con Sally Seton suggerisce una dimensione omosessuale repressa, che si oppone all’ideale domestico dell’epoca. Clarissa (Woolf?) rievoca un sentimento amoroso mai pienamente vissuto, lasciando emergere una tensione affettiva e identitaria che Woolf tratteggia con rara finezza, anticipando questioni legate al genere e alla sessualità che saranno al centro del pensiero femminista del secondo Novecento.
La signora Dalloway è, in definitiva, un’opera cardine non solo del Modernismo, ma dell’intera produzione di Woolf: un laboratorio stilistico, una riflessione esistenziale e politica, un romanzo che interroga il lettore di ieri e di oggi. È una lettura complessa che abbandona la rappresentazione oggettiva del mondo per immergersi nella soggettività più profonda, nella frammentarietà dell’io, nella crisi delle apparenze.
Un romanzo difficile, che richiede attenzione e partecipazione, ma che ripaga con una ricchezza emotiva e intellettuale straordinaria. La sua attualità risiede nella capacità di Woolf di cogliere, con sguardo lucido e poetico, le fratture della modernità.
La signora Dalloway, ci obbliga ad ascoltare con più attenzione il tempo interiore che ciascuno porta con sé. Woolf non ci offre risposte, ma ci invita ad ascoltare la voce interiore dei suoi personaggi e, attraverso di essa, forse anche la nostra.





























