Il Polacco
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Witold & Beatriz
«Tutti dobbiamo stare da qualche parte. Non possiamo non stare da nessuna parte. È la condizione umana. Ma no. Sono qui per te.»
Il suo nome è Witold Walczykiewicz ed è “il maestro”, il settantenne polacco. È noto per le sue interpretazioni austere, il suo profondo lirismo, la passione smodata per Chopin. Ella è Beatrice, è una donna di origine spagnola con un matrimonio fallito in camere separate e nessuna separazione ufficiale, un marito che si dedica a molteplici scappatelle, due figli ormai adulti. È elegante ed appartiene alla buona società di Barcellona. Il circolo musicale del Barri Gòtic porta all’invito del maestro seguito da una cena formale quanto ordinaria in contesti di siffatto genere. Tuttavia, per “Il Polacco” quello non è solo uno dei tanti incontri della vita fatto di legami occasionali e persone che non verranno a rincontrarsi, per lui Beatriz è, come per Dante, la sua Beatrice. A distanza di mesi l’uomo torna in Spagna, a Girona. Cerca di contattarla, le confessa di essere tornato per lei, di volerla rivedere, di voler andare in Brasile con lei. Ma Beatriz non concepisce questo sentimento, trova l’uomo privo di ardore, falso nelle sue dichiarazioni. Eppure è come magnetico per la donna. Lo respinge ma poi ne è attratta esattamente come l’uomo non può fare a meno di ammirarla e amarla in silenzio, in un corteggiamento goffo e inadeguato per lei che lo rifiuta ma sente di desiderare qualcosa di più.
«[…] Perché è importante? Perché ci parla di noi. Dei nostri desideri. Che a volte non ci sono chiari. Questa è la mia opinione. Che a volte sono desideri di quello che non possiamo avere. Di quello che per noi è irraggiungibile.»
“Il Polacco” di J.M. Coetzee, Premio Nobel per la Letteratura nel 2003, è un romanzo breve nelle dimensioni ma di gran contenuto. È un romanzo che ci fa riflettere sull’amore, sui sentimenti, sull’importanza dei legami nella nostra vita. Talvolta questo bisogno di amore è tale da spingerci a compiere gesti apparentemente inconcepibili, anche a mostrare quelle debolezze che non vorremmo che fossero viste, anche a mettersi a nudo rischiando di essere compatiti nel proprio più intimo desiderio.
Tra Beatriz e il pianista c’è un profondo senso di magnetismo che si scontra con le reciproche rigidità e le reciproche mancanze. Lui è un uomo con una figlia adulta che vive in Germania, a Berlino. Ben poco rivela della sua prima moglie. Vive l’amore per Beatriz come un senso di rinascita, un appagamento e un riempimento di giornate buie e vuote, è la sua musa e la sua ispirazione. Lei è scocciata da questo suo prenderla come tale perché si sente piena di difetti, imperfetta. Lo respinge ma al contempo ne è attratta. Lo respinge perché più vecchio, lo cerca perché vorrebbe qualcosa di più, un vero corteggiamento. Mente al marito anche se sa che non ce ne sarebbe bisogno perché alla fine è a se stessa che in primis mente. Non tanto per quel profondo o non profondo amore quanto, al contrario, perché mentre l’uomo mette a nudo le sue debolezze lei non riesce a spogliarsi dei suoi limiti.
Alla fine poesia e musica si uniscono in un tentativo dantesco che non riesce ma che lascia da un lato un retrogusto amaro per questa sensazione di solitudine persistente e dall’altro uno spiraglio di speranza in un finale aperto. Non siamo un po’ tutti, alla fine, anime sole?
«Il lutto è un processo naturale. Tutti i popoli del pianeta hanno rituali di lutto. Anche gli elefanti. Lei, Beatriz, ha perso presto sua madre. Una perdita che aveva lasciato un vuoto incolmabile nella sua vita. Era addolorata, piangeva, le mancava. Poi a un certo punto il lutto è finito e lei è andata avanti. Ma il Polacco non sembra essere andato avanti. Dopo averla persa, l’ha pianta e ha continuato a piangere, cullando la sua perdita come una madre che rifiuta di staccarsi dal figlio morto.»
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La (poco) Divina Commedia del Polacco
Si potrebbe sintetizzare l’ultimo romanzo di Coetzee, scrittore sudafricano Premio Nobel per la Letteratura nel 2003, come breve ma molto intenso. In poco più di 100 pagine infatti Coetzee riesce a realizzare un libro dal profondo contenuto, in cui traspare l’importanza che assume l’amore nella vita delle persone. Evidenziando quanto lo stesso amore vissuto univocamente da un uomo (“Cara Signora -dice il Polacco- , non sono un poeta. L'unica cosa che posso dire è che da quando ti ho incontrata la mia memoria è piena di te, dell'immagine di te”), seppur non ricambiato, possa spingere gli individui a mostrare le proprie debolezze senza paura di mettersi a nudo, anche a rischio di essere compatiti dal destinatario della propria passione.
L’uomo in questione è appunto Witold, “Il Polacco” del titolo, celebre pianista dal nome impronunciabile e grande interprete di Chopin che a seguito di una performance in una sala concerto di Barcellona incontra Beatriz, affascinante donna del Comitato organizzatore dell’evento, di cui si innamora perdutamente senza però trovare lo stesso sentimento nella controparte. Partendo da questo presupposto Coetzee tratteggia la figura del Polacco, talentuoso pianista si, ma al tempo stesso non dotato di quella “sensibilità” musicale che invece dovrebbe rappresentare un must per chi interpreta Chopin. Tuttavia visto che il concetto di arte è insito nel personaggio, Witold veste i panni di un novello Dante dei nostri tempi, dedicando appassionate poesie alla sua "musa" con il dichiarato intento di riuscire a scalfire l'anima di Beatriz andando oltre ai brevi momenti di passione vissuti.
Poesia e musica risultano così intrecciate ed in questo accostamento, nel goffo tentativo di emulare "Il Sommo Poeta" da parte del Polacco, si svela la grandezza di questo breve romanzo in cui la sublime arte della poesia, vista come strumento per raggiungere il cuore della sua Beatrice con l’intento di “corteggiarla, perché lei lo ami e lo mantenga vivo nel suo cuore”, ha un risvolto ironico con effetti tutt’altro che producenti. Perché Beatriz riconosce la grandezza del gesto, conscia che il significato ultimo di questa "Commedia" scritta per lei con il fine di renderla immortale, ha in realtà veramente poco di "Divina" ed anzi risulta piuttosto comica.