Weyward
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DONNE, NATURA E LIBERTÀ
ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER
Weyward racconta la storia di tre donne (o, forse, di tutte le donne) a cavallo tra tre secoli: Altha, incantevole guaritrice del 1600; Violet, irriverente adolescente del 1940; Kate, insicura donna londinese degli anni Duemila.
Ciascuna di loro vive un’esistenza ai margini, pagando lo scotto della propria diversità. “Weyward”, come spiega anche l’incipit filologico-letterario tratto da una breve citazione di Macbeth (poi sostituita nell’edizione finale), significa proprio “bizzarro, stravagante, strano”, esplicitando il modo in cui tutte le donne appartenenti alla casata W. siano percepite dalla società in cui vivono.
Una società che, a prescindere dall’epoca storica, è fatta dagli uomini per gli uomini. Uomini che tentano di sopprimere e reprimere donne forti e indipendenti per natura, imponendo loro decisioni e destini al fine di ridurle ancora una volta sotto il loro potere.
Inoltre (un po’ come ad esplicitare il legame ancestrale e atavico tra forza generatrice delle donne e quella della natura), le Weyward manifestano una particolare inclinazione alla magia: non un semplice legame viscerale con la terra e i suoi abitanti del mondo animale, quanto una vera e propria capacità di governare la natura entrando in sintonia con essa. Tale diversità, così manifesta, costituisce la disgrazia e allo stesso tempo la fortuna di una intera stirpe, personificando, dal punto di vista narrativo, l’animo indomito e fiero del genere femminile.
E così Altha, che ha ereditato le sapienti doti di guaritrice da sua madre, crea ungenti e pozioni per curare gli abitanti del suo villaggio, in aperta opposizione con i metodi del medico della valle. Per questo subirà un processo per stregoneria (di cui ci racconta i dettagli in prima persona), durante il quale viene torturata, umiliata e seviziata in vari modi da uomini morbosamente attratti dalle sue capacità.
Violet Ayres, che vive con suo padre e suo fratello Grham in una tenuta signorile nella campagna fuori Londra, sarà sedotta, illusa e infine stuprata da un suo cugino in congedo dalla guerra. Rimasta incinta, dovrà scontrarsi con le ire del padre, pagando con l’estromissione dall’eredità il prezzo del suo rifiuto.
Infine, Kate Ayres vive in una prigione dorata nel centro di Londra dove, tra lusso e ricchezza, è vittima del suo compagno e aguzzino Simon. La sua è una storia di violenza domestica del ventunesimo secolo: lui la picchia, la stupra, la priva di qualsiasi forma di libertà, impedendole persino di andare a fare la spesa senza il suo consenso. Quando Kate rimane incinta, decide di scappare nel cottage ereditato da sua zia Violet (di cui ricorda a stento le sembianze), dove riscoprirà le sue origini e troverà la forza di iniziare una nuova vita.
Tre storie collegate da un fil rouge, quello del patriarcato nudo e crudo, in cui le donne appaiono per la prima volta protagoniste assolute della loro storia. Non c’è spazio per uomini giusti, nel romanzo della Hart: Grahm (nonno di Kate e fratello di Violet) avrà un piccolo riscatto nel finale, ma nell’universo Weyward non esiste una presenza maschile in grado di suscitare le simpatie del lettore. Perfino l’amore romantico è escluso in questa visione dei rapporti uomo-donna: Altha, anche se non dichiaratamente, vivrà tutta la propria vita all’ombra del suo amore per la vecchia amica Grace; Violet e Kate, nonostante ci raccontino le sensazioni di una iniziale infatuazione per i loro uomini, subiscono velocemente la rottura dell’incantesimo in favore di violenze e abusi, decidendo di proseguire ciascuna la propria vita in solitudine, lontane dal rapporto con l’altro sesso.
Questa visione così polarizzata dell’esistenza femminile, insieme alla forzatura dell’esperienza magica, fanno storcere leggermente il naso di fronte ad un romanzo che risulta complessivamente ben scritto e ben costruito. L’espediente narrativo del finto manoscritto di Altha, chiuso in un cassetto di una antica scrivania opportunamente aperto al momento del bisogno, aiuta a mantenere insieme tutte le donne Weyward, guidate nel loro agire dalla comune antenata; le vicende che porteranno Violet a scoprire gli abusi del padre sulla madre, e quelle che condurranno Kate a scoprire la maledizione di cui è vittima il vecchio Friedrick, sono tutti dei piccoli misteri che tengono il lettore incollato al romanzo durante l’intero svolgimento del racconto. Anche il finale, in cui le storie di Violet e Kate si sovrappongono nel momento cruciale della morte del padre di quest’ultima, aiuta a simpatizzare con il senso di “sorellanza” che l’autrice vuole comunicare (tra le donne W. in primis, e successivamente tra tutte le donne del mondo).
Eppure, resta qualcosa di poco incisivo; qualcosa di quasi surreale e allo stesso tempo molto prevedibile, che non consente una reale identificazione con nessuna delle protagoniste del racconto (nonostante si percepisca chiaramente che l’intento dell’autrice sia quello di accomunare in un unico cerchio di abusi e violenze tutte le donne di tutti i secoli).
In conclusione: un buon libro di esordio, che fallisce nella sua pretesa di essere un racconto “universale” dal momento che racconta una visione estremamente personale e parziale del rapporto uomo-donna e di quello tra donne e società.
Indicazioni utili
- sì
- no
Tre volti, tre storie, tre epoche
Romanzo d’esordio di Emilia Hart, australiana, è “Weyward” opera tradotta da Enrica Budetta e che intreccia tre storie e tre epoche e tre volti di donna.
Una lotta costante e continua contro il patriarcato per mezzo delle Weyward che sono caratterizzate da un forte e profondo legame con la natura.
«Avevo la natura nel cuore mi disse. Come lei e come sua madre prima di lei. C’era qualcosa in noi – le donne Weyward – che ci teneva legate al mondo naturale. Lo sentiamo, continuò, proprio come sentiamo la rabbia, il dolore la gioia. Gli animali, gli uccelli, le piante ci lasciano entrare riconoscendoci come simili. Ecco perché le radici e le foglie si piegano così facilmente sotto le nostre dita, per creare tonici che portano conforto e guarigione. Ecco perché gli animali accolgono il nostro abbraccio. Perché i corvi – quelli che recano il segno – vegliano su di noi ed eseguono i nostri ordini, perché il contatto con loro potenzia le nostre abilità.»
Altha è la più lontana nel tempo. Lei narra le sue vicende in prima persona intorno al 1600. La storia è messa per iscritto da colei che ha imparato a leggere e scrivere e che a sua volta era una Weyward e come ogni donna di questa famiglia era destinata a diventare madre di una bambina. Ha donato ad Altha le sue capacità e le sue conoscenze. Questo per le donne del tempo era molto pericoloso e poteva condurle anche a essere perseguitate e a finire in tribunale.
Anni Quaranta. Violet Ayres vive con il nobile padre e il fratello nella tenuta di Orton Hall. Chi era sua madre? Perché è morta? Elizabeth Weyward Ayres è scomparsa quando Violet era troppo piccola ecco perché la piccola cresce con in particolare la tata MetCalfe. È sempre vigilata dal padre, ogni suo gesto è monitorato e controllato. Non è apprezzata la sua passione per la natura. Come riscoprire il destino della madre, le sue origini e ancora il contatto con la natura?
Infine vi è Kate, l’ultima Weyward, la donna del nostro tempo che è vittima del fidanzato violento, che è incinta e che fugge da lui rifugiandosi nel cottage ricevuto in eredità dalla prozia Violet. È ferita, non vorrebbe nemmeno portare a termine la gravidanza, ma è un’altra donna coraggiosa ed essendo una vera Weyward darà luce a una piccola figlia.
Tre volti, tre storie, tre vite che si uniscono tra loro sino a ricostruire una vicenda collegata nel tempo e nello spazio. Tante le tematiche trattate anche se certamente la prevalente è quella del patriarcato, del maschilismo e dell’agire femminile nei secoli. Tra narrativa e realismo viene ricostruito il volto di una società e al tempo stesso il coraggio di queste donne troppo spesso vittime.
Forse non la storia più originale di sempre ma certamente un romanzo che ha qualcosa da dire e un messaggio importante da destinare.