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Alla ricerca del tempo perduto
 
Alla ricerca del tempo perduto 2018-02-16 07:27:31 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    16 Febbraio, 2018
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ALBERTINE SCOMPARSA

La repentina e inattesa partenza di Albertine e la di poco successiva e non meno inaspettata notizia della sua morte gettano il narratore in uno stato di profondissima prostrazione, che rischia di minare il suo già fragile equilibrio psichico. In estrema sintesi, “Albertine scomparsa” potrebbe essere descritto alla stregua di una meticolosa, ossessiva e claustrofobica analisi delle strategie messe in atto dal protagonista per sopravvivere al dolore, e di come quella tra esse più potente sebbene in gran parte involontaria, ossia l’oblio, riesca, dapprima timidamente e poi in maniera sempre più incisiva, a fagocitare e cancellare tutto, a dispetto di qualsiasi volontà di perpetuazione del ricordo. Tutta l’opera di Proust può essere in fondo letta come la lotta incessante tra la memoria e l’oblio. Se però la memoria è destinata a trionfare sul piano della creazione artistica, in quello delle esperienze, delle sensazioni e dei sentimenti è il secondo a prevalere inesorabilmente, sia pure seguendo un percorso non rettilineo ed uniforme. Questo processo può essere suddiviso a grandi linee in cinque fasi. Nella prima – come ben sa chi ha subito un grave lutto – si assiste impotenti a una moltiplicazione del dolore: ogni luogo, ogni situazione, ogni circostanza fa ricordare la persona che non c’è più, rendendo più atroce il senso di vuoto da lei lasciato. Il rimpianto del narratore non è per una sola, ma per innumerevoli Albertine, tante quante sono le occasioni di ricordarla, e ciò porta a una continua, inevitabile recrudescenza della sofferenza. Inoltre il dolore provocato dall’assenza di Albertine fa rinascere in lui (giacché ogni dolore ha il potere di essere contemporaneo a ogni epoca della vita in cui si è sofferto) tutte le inquietudini sperimentate sin dall’infanzia. Come un nuotatore che si trovi ad affrontare una mareggiata, ciò che soprattutto gli interessa in questi momenti è di non essere sopraffatto dalle ondate crudeli dell’angoscia. Anche la speranza di dimenticare Albertine è però straziante, perché porta con sé come conseguenza necessaria che anche tutti i vari “io” che l’hanno amata dovranno morire. Nella seconda fase, forse la più subdola, il ricordo di chi è scomparso colpisce a tradimento, sotto la forma di stimoli involontari. Ad esempio, al protagonista è sufficiente il rumore dell’ascensore per rammentargli che l’unica persona di cui vorrebbe ricevere una visita non c’è più; e questo vale per una notizia letta su un giornale, per una musica ascoltata per strada, e così via. In questa fase, ancora lontana dall’elaborazione del lutto, il sentimento che prevale è la tristezza, la malinconia. Solo più tardi, in una terza fase, interviene nella vita di colui che soffre la concorrenza decisiva delle attrazioni e dei piaceri della vita: è qualcosa di irresistibile, a cui non è possibile sottrarsi, e che porta a una momentanea scomparsa del dolore. Il prezzo da pagare però per questo inizio di guarigione è il rimorso. Il narratore, di fronte al rinascente desiderio per le altre ragazze o per Venezia, si sente come se tradisse il ricordo di Albertine, preservato finora come una preziosa reliquia, e questo senso di colpa si aggiunge a quello di avere in qualche modo contribuito, con la sua ossessiva gelosia e la sua egoistica volontà di possesso, alla fuga, e di conseguenza alla morte, della ragazza. E’ solo in un quarto, assai più tardo momento, che si giunge alla vera e propria dimenticanza. La sofferenza, come inizialmente accadeva per l’oblio, emerge solo di quando in quando e il narratore si sente ora simile a quei mutilati che sentono a tratti il dolore di un arto amputato o a coloro che, dopo una lunghissima malattia, si sentono una volta guariti in un certo senso diminuiti, avendo la stessa occupato un grande spazio nella loro vita. Il rimpianto e il senso di vuoto non durano comunque a lungo, perché alla fine sopraggiunge l’indifferenza totale. Con un “coup de théâtre” da moderna soap opera, scarsamente verosimile e infatti destinato a rivelarsi infondato, Proust fa addirittura “risuscitare” Albertine per far provare al suo protagonista di non provare più nulla per il suo antico amore.
Le pagine di “Albertine scomparsa” sono tra le più autobiografiche scritte da Proust, il quale vi rievoca molte delle sue esperienze personali, in primo luogo quella con il pilota Agostinelli. Sotto questa luce esse sono anche estremamente crudeli, spingendosi quasi fino al masochismo. E’ fin troppo evidente come mai come in questo libro il protagonista giunga a svelare la propria meschinità e la propria grettezza. La sua sofferenza non gli impedisce infatti di continuare a nutrire sospetti nei confronti della presunta doppia vita di Albertine e di provare gelosia per azioni e comportamenti che ella – dal momento che è morta – non può più compiere o adottare. Egli arriva addirittura all’aberrante decisione di mandare prima Aimé a Balbec per investigare sul passato di Albertine e di convocare poi Andrée per appurare le vere inclinazioni sessuali dell’amica. Ma anche quando è già riuscito ad archiviare il trauma sentimentale, il protagonista è colto da vere e proprie crisi isteriche, nei confronti prima di suo padre e poi, a Venezia, di sua madre, perché le richieste del tutto naturali dei genitori rischiano di intralciare le sue febbrili fantasie amorose. Insomma, non stupisce che il destino del narratore sia quello di finire temporaneamente – come si vedrà nell’ultimo tomo della “Recherche” – in una clinica per malattie nervose, nel tentativo di rimettere in sesto una personalità gravemente lesionata. Nel frattempo, in attesa di ritrovare il Tempo perduto, Proust sembra chiudere, se così si può dire, molti dei cerchi aperti all’inizio dell’opera: ad esempio, il tanto agognato soggiorno a Venezia (città simbolo dell’inconscio del narratore) avviene dopo infiniti progetti e rinvii, iniziati – come si ricorderà – nel primo volume, quando egli era ancora un fanciullo; nelle ultime pagine, poi, il narratore si reca a Tansonville, nella residenza di Gilberte, dove ha modo di rievocare i momenti acerbi del suo amore adolescenziale, scoprendo che quanto allora aveva desiderato era stato, a sua insaputa, vicinissimo a realizzarsi; e infine la prossimità a Combray rimanda alle sue lontane vacanze estive con le quali si era aperta la “Recherche” e alle sue romantiche passeggiate “dalla parte” di Méséglise e di Guermantes.

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