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Uno studio in rosso
 
Uno studio in rosso 2022-09-04 17:39:56 Mian88
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
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4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    04 Settembre, 2022
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Rache

«La ringrazio di cuore per avermelo presentato. Non si dice forse “il modo migliore per studiare l’umanità è osservare l’uomo?”»

L’incontro tra John Watson, ex medico militare appena rientrato nel Regno Unito dalla guerra in Afghanistan a causa delle ferite alla spalla e al ginocchio e Sherlock Holmes, avviene più per necessità che per caso. Alla ricerca di un appartamento in cui abitare da un collega gli viene presentato il suo futuro coinquilino con cui andrà ad abitare in quel del 221B di Baker Street. Già dal primo sguardo Holmes lascia dedurre di essere munito di una profonda capacità intuitiva e ragionamento deduttivo che si mixa e confà con quello che è il suo naturale alter ego, Watson, uomo di scienza e logica. Uno sguardo che già fa intuire all’investigatore la provenienza del medico e anche il suo trascorso quale degente a causa delle ferite riportate. Sistemati in quel dell’appartamento ecco sopraggiungere un telegramma di Scotland Yard che richiede l’intervento intuitivo dell’investigatore a seguito di un omicidio che nasconde un misterioso rompicapo da risolvere. Andare, non andare, che fare? Holmes, curioso, decide di recarsi sul luogo seguito da Watson. Ben presto ricollega tutti i tasselli e, proprio quando il caso sembra essere risolto, un’altra morte si palesa a rimescolare gli equilibri. Gli indizi confermano e fanno supporre che i delitti sono stati compiuti per mezzo della stessa mano, Scotland Yard brancola nel buio, Holmes sa che risolverà il caso ma che il merito andrà interamente alle forze dell’ordine. E chissà, certamente o quasi, non sbaglia. Un filo rosso da seguire, un susseguirsi di certezze e valutazioni che faranno combaciare ogni tassello del puzzle.

«È sempre sbagliato confondere lo strano con il mistero. Il crimine più banale è spesso il più misterioso perché non presenta aspetti nuovi o speciali da cui trarre conclusioni.»

Corre l’anno 1887 quando Arthur Conan Doyle pubblica il suo romanzo intitolato “Uno studio in rosso”, prima opera all’interno della quale fa il suo ingresso il famoso e di poi leggendario Sherlock Holmes coadiuvato dalla fedele spalla John Watson e già da questo primo scritto si evince e si delinea il carattere forte e vincente di una serie di opere che per ovvi motivi han finito con il lasciare il segno.
Se da un lato colpisce lo stile narrativo adottato che vede Watson narrare e una rottura degli schemi a partire dalla seconda parte del narrato quando il lettore viene catapultato alle origini del delitto in un’epoca e in un tempo lontano dai fatti, ad avvalorare la portata del componimento è altresì la struttura dei personaggi che sono costruiti in modo solito e accattivante. Ciascuno con i suoi caratteri principali, ciascuno con le sue debolezze e forze. La fusione spalla-spalla che si interseca tra i medesimi rende ciascuno parte indispensabile del mistero e fa sì che nessuna delle due voci principali prevarichi l’altra quanto, al contrario, l’accompagni.
A ciò si aggiunge un intrigo solido, funzionale, lineare, che non fatica a conquistare il conoscitore e che trattiene tra le pagine incuriosendo e coinvolgendo. Altrettanto interessanti sono le ragioni storiche che portano Doyle a stendere l’opera nonché tutti quei retroscena che accompagnano le sue opere, non solo gialle ma anche fantasy e storiche. Uomo di gran fantasia, lo scrittore è riuscito senza difficoltà a trasporre la sua genialità tra le pagine e a rendere uniche le sue storie in modo semplice e genuino.
Un primo capitolo da scoprire, leggere, assaporare e gustare in totale e completa tranquillità.
Sia per chi già conosce e ha letto del personaggio, sia per chi desidera avvicinarvisi, è e resta un titolo che merita di essere assaporato.

«Ormai dovrei sapere che quando si presenta un fatto che contraddice una lunga catena deduttiva è stato invariabilmente mal interpretato.»

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