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Niente di nuovo sul fronte occidentale
 
Niente di nuovo sul fronte occidentale 2019-04-19 12:14:10 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    19 Aprile, 2019
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Un potente colpo alle nostre coscienze

Letteratura come dovere. Pubblicata in Germania nel 1929, l’opera principale di Erich Maria Remarque mostra tutto l’orrore della guerra, di quella “inutile strage”, così la chiamò il papa di allora, Benedetto XV. Un libro che va letto, perché ricordare è un dovere e quando lo si fa in uno stile così asciutto e pregevole, diventa letteratura della memoria.
Remarque aveva appena diciotto anni quando prese parte alla prima guerra mondiale, rimanendo ferito. La terribile esperienza in trincea, la perdita dei cari amici soldati, segnarono a fuoco la sua coscienza scuotendola nel profondo e scombussolandone gli equilibri in maniera irreparabile.
L’opera, una sorta di diario di guerra, ottenne subito un grande successo di pubblico e di critica, ma costò l’esilio all’autore a causa dell’esplicito messaggio pacifista. Nella prefazione all’edizione Oscar Mondadori del 1975 si legge “ I libri di Remarque continuano ad essere validi per la struttura morale e le qualità letterarie che li caratterizzano”.
Concordo in pieno. Il libro ha una prosa snella, senza fronzoli, si legge scorrevolmente e pur, trattando delle brutture della guerra, conserva in alcune pagine una potente tenerezza, soprattutto quando parla dell’effetto verso la madre, quando soccorre i commilitoni feriti ed agonizzanti. In mezzo a tanto orrore di corpi mutilati, di crani fracassati, di ventri squarciati, dell’odore di sangue, l’amicizia sincera del cameratismo rende umani quei soldati che sono costretti a uccidere per non essere uccisi.
Appena diciottenni i giovani sopravvissuti alle granate sono consapevoli che la vita che li aspetta sarà fatta di depressione e di smarrimento totale:
“Ritornando ora, siamo stanchi, depressi, consumati, privi di radici, privi di speranze. Non potremo mai più riprendere il nostro equilibrio”.

L’io narrante è un soldato, un certo Paolo, che mette a nudo la propria coscienza, l’unica cosa che non può essere distrutta dalle bombe.
Sono tantissimi i passi che mi sono segnata e che lascio al lettore scoprire e gustare: l’autore scuote le nostre coscienze con potenti immagini, coi suoi giudizi nei confronti della situazione storica che sta vivendo:

“oggi nel mondo si sono aperte enormi frontiere di conoscenza scientifica, ma gli orizzonti della responsabilità morale sono sempre molto limitati. L’uomo come tale è sempre quello di duemila anni fa, con la sua imbecillità, la sua crudeltà, il suo egotismo”.

Sono le parole dell’autore e sono valide ora come allora. Cos’è cambiato da quegli orrori? Le guerre e le crudeltà, anche sotto forme diverse, continuano a distruggere ogni forma di civiltà.

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Commenti

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E' da molto tempo che mi propongo anche io di leggerlo ma rimando sempre. Di Remarque ho letto solo "Tempo di vivere, tempo di morire" dove appunto la guerra si intreccia all'amore e nel tuo commento riconosco lo stile dell'autore. Ricordo che sulla guerra ho letto frammenti impressionanti, di verità crude come ad esempio l'odore dei cadaveri che cominciavano a scongelarsi durante la primavera, corpi sparsi ovunque sui quali si calpestava non potendo sempre fare le buche per seppellirli, addirittura il colore fluorescente dei gas emanati, insomma non ha fatto sconti alla bruttezza della guerra.
Bella recensione, Archeomari, grazie. Anch'io voglio leggere da tempo quest'opera.
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