La morra cinese
Letteratura italiana
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Il defenestrato di Pineta e gli usi civici
Grandi novità a Pineta. Il piccolo paesino della riviera toscana ha cambiato la sua giunta e, in contrasto con quanto era avvenuto nei decenni precedenti, hanno vinto i partiti di destra. Amperio e Pilade sono disperati e si vedono già attorniati dalle camicie nere e dai fasci littori. Gli altri due vecchietti del Bar Lume sono, come al solito, di avversa opinione.
Nel frattempo, però, il vice-questore Alice, compagna del "barrista" Massimo e madre della loro primogenita Matilde, si trova per le mani un caso spinoso. Un giovane studente, che stava preparando la tesi per il dottorato alla Normale di Pisa, è precipitato davanti al municipio del paese, con tutta evidenza facendo un volo, non richiesto, da una delle finestre dell’edificio.
Direttamente o indirettamente coinvolti, oltre ai pochi impiegati presenti nel palazzo durante quella notte, un esimo barone dell’università toscana (relatore del defenestrato) e un nobile ultra-decaduto la cui famiglia, sino a qualche decennio prima, era proprietaria di una tenuta, il Bosco Torto, che ora è oggetto di accese battaglie politiche in vista della sua probabile vendita a una multinazionale.
Così, mentre i vecchietti, una volta tanto, sono più attratti dalla pupattola appena nata che dalle indagini di polizia, e Massimo si arrabatta per cercare di venire a capo di un brutto guaio relativo alla concessione d’uso di suolo pubblico, Alice, nella sua indagine, si imbatte in questioni sugli usi civici e in antichi manoscritti di importanza storica che potrebbero riscrivere pagine della letteratura italiana.
Che dire di nuovo sulle storie che vedono protagonisti i vecchietti del Bar Lume, dopo nove romanzi di successo e una ventina di racconti brevi?
Non possiamo considerarla certo Letteratura con l’iniziale maiuscola, nonostante l’autore scriva in un italiano impeccabile, ahimè cosa assai rara di questi tempi, e le trame siano ben congegnate e strutturate. Però, come, tornando a casa dopo una giornata di duro lavoro, noi si preferisce infilare i piedi nelle comode, confortevoli pantofole imbottite, piuttosto che continuare a soffrire dentro a più formali calzature da ufficio, così, scorrere le righe in cui si narrano le vicende del simpatico quartetto e del loro contorno, è andare incontro a una lettura accogliente, piacevole e, sotto molti punti di vista, tranquillizzante. Una lettura che non ci instilla soverchi dubbi o problemi esistenziali, ma che ci rilassa e diverte, fa fare qualche risata e, perché no, ci spinge pure a riflettere su alcune questioni più serie.
Per parte mia, poi, trovo poi estremamente rasserenante trovare concetti e considerazioni che sento mie nel profondo. Osservazioni, magari pure banali su cose banali, ma dette nella più assoluta serena sincerità, infischiandosene del politicamente corretto o della tendenza a evitare espressioni che possano causare anche la minima asperità, il minimo dissenso, nel lettore. Insomma, è come sedersi in salotto a sorseggiare una birra a fianco di amici fidati, parlando del più e del meno in totale rilassatezza.
Nella storia gialla Malvaldi non perde occasione di farci capire che, in fondo, lui scienziato è, e. anche in questo caso. la soluzione vada ricercata con spirito scientifico. Nella fattispecie, sebbene il titolo ci richiami alla mente il classico gioco della morra cinese, nel concreto dovremo riandare con la memoria a un noto enigma che riguarda la città di Königsberg e i suoi sette ponti. Idea, se non proprio nuova, certamente ben trovata e, comunque, funzionale allo svolgersi della trama che si sviluppa in modo non troppo intricato e cervellotico.
Insomma come al solito Malvaldi ci dona un libro distensivo e piacevole, per una rilassante seduta di lettura senza troppi problemi.
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Si può morire per un Bosco (Torto).
A Pineta, sede del BarLume frequentato dai vispi “Vecchietti” protagonisti della famosa serie ideata da Marco Malvaldi, raramente si godono momenti di quiete. In quest’ultimo romanzo della serie i problemi sul tappeto non sono pochi: intanto c’è la vittoria delle destre che spodestano la vecchia giunta comunale, poi la questione dello spazio da occupare al di fuori del bar per tavolini e quant’altro, spazio naturalmente non gratuito che dovrà costringere i gestori a rifare conti, rimodulare tariffe, acquisire eventuale nuovo personale. Ma la notizia clou è il ritrovamento di un cadavere sul retro del palazzo comunale, è quello di un giovane ricercatore universitario, volato giù (buttato?) dai piani alti dell’edificio. Si tratta di Stefano Colamartino, 26 anni, incaricato di svolgere una ricerca su un vecchio carteggio custodito nella fatiscente villa del conte Serra Catellani: vengono anche alla luce una lettera autografa di Giacomo Leopardi, nonché preziose annotazioni su una probabile antica fonte termale in una zona (Bosco Torto) , oggetto di trattativa tra il Comune ed un’importante impresa. La scoperta non va rivelata, i prezzi lieviterebbero, ecco il principale motivo per cui l’assassino ha eliminato il povero Stefano. Chi sarà stato il colpevole? Le indagini condotte dall’abile vicequestore Alice sono lunghe e complesse: sono esaminati ora dopo ora gli spostamenti del personale all’interno del Comune, nei vari piani, con l’ausilio delle fotocamere e, finalmente, l’assassino è scovato e messo alle strette. Ovviamente i Vecchietti del BarLume danno il loro contributo, mettendo in luce buon senso e spirito pratico, tra una battuta di spirito e l’altra: una specie di indagine parallela, rievocando anche pettegolezzi del passato, nella saggia convinzione che spesse volte a pensar male si indovina.
Insomma, si può morire per un terreno boscoso che nasconde tesori naturali e che può far gola: non c’è naturalmente solo questo nel romanzo, altri argomenti affiorano qua e là, come, ad esempio, lunghe e complesse disquisizioni sui cosiddetti “usi civici”, cioè la possibilità dell’uso pubblico di zone di proprietà, uso che ne impedisce in certi casi la vendita. Complicata è anche l’indagine poliziesca: sono molte le persone indagate, tanto da indurre l’autore ad avvalersi di disegnini esplicativi (incomprensibili) dei locali comunali frequentati dai presunti colpevoli. Insomma, il tutto obbliga il lettore a continui esercizi di memoria che, per fortuna, sono stemperati dagli interventi dei Vecchietti con il loro umorismo e la loro ironia.
“La morra cinese” è il nono romanzo della serie del BarLume, il primo che ho letto. Devo ammettere che non mi ha particolarmente entusiasmato, forse colpa mia che non sono riuscito ancora a entrare nel particolare “clima” anche mediatico che circonda il BarLume. Belle le battute, simpatici i protagonisti, azzeccati i riferimenti ai problemi dei nostri tempi (pastoie burocratiche, luminari universitari spocchiosi e approfittatori, politicanti pronti sempre a farsi i propri affari, ecc.ecc.) ma il tutto sembra traballante, disarticolato, anche faticoso da leggere.
Forse è proprio azzeccato il titolo, “La morra cinese”, equivalente al nostro Carta,Forbice,Bastone: indica infatti una situazione disperata che non si sa come affrontare, ma dalla quale si cerca di uscire ad ogni costo. Mettendo a dura prova l’attenzione e la memoria del lettore.
Lo stile narrativo scorre via, a balzi e frenate: frequenti i colloqui nell’incisivo dialetto locale.
Esilarante qualche trovata, come quella del vicequestore Alice, che in cucina sull’etichetta del barattolo del riso scrive un bel “Ah!Ah!Ah!” e su quella del sale grosso “Clorurone di sodio”. Mica male, no?