Lo stradone Lo stradone

Lo stradone

Letteratura italiana

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Primi anni Venti di questo secolo nella «Città di Dio», decadente metropoli che assomiglia molto a Roma. Un uomo di circa settant'anni osserva dal settimo piano della sua palazzina le vicende dello «Stradone»; i tanti personaggi che lo percorrono incarnano tutte le forme del «Ristagno» della nostra società. Invecchiamento e conformismo, razzismo e sessismo, sopravvivenze popolari e «trentelli» rampanti, barbagli di verità, etnie in conflitto, il fantasma dell'integralismo islamico, la liquefazione di sinistre e destre e della classe media in un unico «Grande Ripieno»: nulla sfugge a questo narratore disordinato ma perspicace, che pare saper restituire meglio di chiunque - con ironia, cinismo, nostalgia, umorismo - il non senso del nostro presente. Racconta anche, l'uomo senza nome, la propria esistenza di «Novecentesco», aspirante storico dell'arte, funzionario di Ministero, uomo che ha creduto nel comunismo e poi si è fatto socialista e corrotto, con i suoi amori e, oggi, l'ossessione per la vecchiaia, la malattia, la pornografia; e ricostruisce infine con documenti veri o quasi-veri la storia di un quartiere i cui abitanti, operai e proletari, per secoli e fin oltre la metà del Ventesimo, hanno prodotto qui i mattoni di cui è fatta la Città: il quartiere più comunista e antifascista di tutti, forse visitato da Lenin - personaggio inatteso di queste pagine - nel 1908.



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Lo stradone 2019-07-02 14:37:16 Molly Bloom
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    02 Luglio, 2019
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L'uomo che fissava lo stradone

Per me è no! Un autore che ha iniziato a dedicarsi alla scrittura in tarda età e che tutto sommato non scrive male quando si impegna, anzi, devo dire che le prime pagine sono molto belle e mi hanno catturata dandomi alte aspettative, che purtroppo sono venute meno.
Il libro parla di un uomo di una certa età, non più giovane, osserva dalla finestra del suo appartamento ereditato dal padre lo stradone sul quale si affaccia. Si tratterebbe di Via Appia a Roma e quindi lo osserva, lo fotografa e lo analizza così come fa il telescopio Hubble sulla sua porzione di universo. Lo stradone è altrettanto vasto quanto una porzione di universo, soprattutto se si considera che le descrizioni che il narratore fa ripercorre un po' gli anni della storia e non si limita solo al presente. A tutto questo affianca anche la descrizione del proprio vissuto e delle proprie illusioni infrante.
Non mi è piaciuto perché mi ha dato l'impressione che l'autore abbia messo troppa carne sul fuoco, un minestrone di pensieri e temi che non sono amalgamati tra loro in armonia, certe descrizioni lunghe e secondo me non interessanti come per esempio di come una volta veniva creato il laterizio o la descrizione dell'urbe sotto prospettiva di un architetto (infatti lui è architetto) oppure la descrizione della realtà del pubblico impiego, che a me ha annoiato, mi sembrava un saggio o un trattato su determinate cose. Anche Hugo o Melville hanno trattato argomenti magari non proprio letterari ma hanno avuto una tale maestria nel renderli interessanti per un lettore! In Pecoraro non l'ho sentita questa dote. Peccato perché alcuni frammenti sono davvero belli e la stoffa senz'altro c'è, ma manca di armonia e a volte mi cade su certe descrizioni che preferirei non leggere, come ad esempio la sua frequenza di orinare perché al mattino beve litri di acqua da sdraiato (il mare in cui annega le sue angosce, quando si dice l'ubbriacarsi con l'acqua) oppure altri suoi bisogni galleggianti, che ben vengano - soprattutto quando si parla di postmodernismo- ma se buttati lì così senza criterio solo perché fa "scena" non mi piace, dovrebbe prendere esempio da James Joyce, in Ulisse descrive una liberazione di corpo magistrale, quella sì è "pupù" letteraria.
A volte crea anche delle belle ripetizioni di parole, che ritornano come dei ritornelli in musica, ma mi rovina il tutto con l'aggiunta di "di cui parlavo prima" o "di cui si diceva/dicevo", insomma il lettore non è stupido, si ricorda ciò che hai detto e per me è stato solo irritante e ha mandato in fumo un bel effetto.
A mio avviso dovrebbe correre dietro a meno conigli, metaforicamente parlando, se non ha una strategia per catturarli tutti assieme, non basta l'intenzione.
Mi hanno divertito i vari dialoghi brevi in dialetto romano tra i clienti del bar Porcacci, punto cardine dello Stradone, che spezzano il testo, come se fosse una melodia in sottofondo per chi legge, davvero bella come idea e riuscita secondo me.

"Se il mondo mi ha voluto scagliare in basso, pensai allora, eccomi, l'ho accontentato. Mi figuravo che tutta la gente che non-era-me, cioè tutto il genere umano, si fosse divertita a darmi l'illusione di poter raggiungere, se non la vita che volevo (quale vita volevo?), almeno una collocazione, una nicchia adatta alle mie aspirazioni, alle cose che mi sembrava di amare, per poi collocare lungo la mia traiettoria una serie di trappole nelle quali ero puntualmente caduto."

Un libro migliore di tanti altri nella letteratura italiana, senza dubbio, ma prosa da perfezionare sotto certi aspetti, come per esempio meno dispersiva e più attenta a mantenere l'interesse del lettore e tenere la sua curiosità in pugno.

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