Io l'amavo Io l'amavo

Io l'amavo

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Chloé, la nuora, è infelice e Pierre Dippel decide di portarla in campagna. Ma nonostante tutti gli sforzi di Pierre, Chloé è inconsolabile: ha trent'anni e il marito l'ha appena lasciata con due figlie piccole per una donna più giovane. In quella cucina di campagna, appena riscaldata dal crepitio del camino, Pierre comincia a parlare. Di sé e della propria vita. Di quando aveva incontrato l'amore, quello con la A maiuscola, ma non aveva lasciato la famiglia. Di quanto aveva sofferto. E in questa inattesa confessione di un uomo creduto freddo e scostante, Chloé può trovare un messaggio indirizzato a se stessa.



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Io l'amavo 2015-05-23 09:37:13 mia77
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mia77 Opinione inserita da mia77    23 Mag, 2015
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Io l'amavo di Anna Gavalda

Nel 2002 Anna Gavalda pubblicò in Francia il suo primo romanzo, Je L'Aimais, ispirato dal fallimento del proprio matrimonio e questo nel romanzo si intuisce, si annusa, si sente. Solo una persona che è passata attraverso tutto questo può scriverne in un modo cosi’ minimalista e scarno, ma partecipe e sentito. Una storia comune a molti: un marito a cui capita di innamorarsi di un’altra, più giovane della moglie, che gli stravolge la vita e gli fa capire di poter vivere solo con lei. Decide, quindi, di “mollare” la moglie, che invece viveva “ancorata” alla loro storia, quasi aggrappata alla quotidianità del loro matrimonio. Il suocero, Pierre, uomo burbero e “stronzo” (infatti di lui Chloé dice “Non capivo questo uomo che si risparmiava frenando i suoi slanci. Non mostrare nulla per paura di sentirsi deboli” e ancora “Mio suocero rifiutava di farsi tirare dentro. Ascoltava le aspre recriminazioni dei figli senza mai rispondere”), decide di portarla nella sua casa in campagna per aiutarla a elaborare e metabolizzare il suo dolore, convinto che sia la soluzione migliore, condividendo la coraggiosa scelta del figlio. Lo stesso spiegherà a Chloé, in una lunga e tenera chiacchierata notturna, che sarebbe stata più infelice con il marito e che avrebbe pianto ogni giorno della sua vita coniugale (“Ogni pensiero mi faceva andare un po’ più a fondo”), perché avrebbe vissuto con un uomo intrappolato. Chloé conosce, così, un uomo completamente diverso da quello che conosceva, che sa trasmetterle le proprie emozioni, il cui passato è ricco di ricordi e forti sentimenti. Il vecchio brontolone le racconta la propria vita e il suo essersi sentito libero e amato solo con Mathilde (“Per qualche giorno ero stato me stesso” e ancora “Pregavo affinché lei non potesse più vivere senza di me. Non pensavo alle conseguenze delle nostra storia. Avevo appena scoperto che la vita era molto più bella quando si è felici”), vero Amore della sua vita (una donna che aveva incontrato quando aveva 42 anni, che gli aveva stravolto l’esistenza, facendogli capire il senso della vita). Pierre, però, sta dall’altra parte della strada (“La felicità era a portata di mano e l’avevo lasciata passare per non complicarmi l’esistenza”), ha vissuto e vive incatenato dal suo legame con la moglie Suzanne e per questo “sentirsi ancorato” ha rinunciato alla donna meravigliosa che lo faceva vibrare e sentire effettivamente vivo, rendendo la moglie una persona triste, depressa e sola (Pierre parla in questo modo della moglie: “L’ho soffocata. L’ho fatta appassire. Per me, è sempre stata quella che c’è. Nei paraggi. Sotto controllo. All’altro capo del filo” e ancora “Non l’ho mai guardata al di là del mio naso”). Ora, però, si domanda e chiede anche alla nuora se tutto questo è stato un bene per lui e la sua famiglia, se questo non deludere le aspettative altrui, questo indossare la maschera di freddo e taciturno uomo d’affari, di padre e marito inappuntabile e inattaccabile sia stato un sacrificio vano. Questa grande rinuncia, questa sofferenza amorosa lo ha portato a essere un «vecchio stronzo» e un uomo profondamente infelice e solo. E’ proprio intorno al concetto di felicità che ruota il dialogo tra la nuora inconsolabile e il comprensivo e saggio suocero, ormai convinto che “La vita è più forte di ogni cosa” e ancora «anche quando tu la neghi, è più forte di te, più forte di tutto». La scrittrice ci racconta una storia fatta di domande e risposte, di racconti, di ricordi, di deluse aspettative, di lunghe attese e di silenzi chiusi tra le mura di una casa, di una stanza fredda, illuminata dalla luce viva del camino, tutto descritto con uno stile minimalista dove, però, non mancano accenti ironici che rendono il libro una piacevole e semplice lettura che consiglio a chiunque. Inoltre io sono sempre stata affascinata dalla classe dei francesi, dal loro amore per il cibo e il buon vino, che accompagnano ogni momento della loro vita.
Alcune frasi del romanzo, a parte quelle già citate, che mi hanno colpita:
“Mi dicevo: Forza, piangi una volta per tutte. Esaurisci le lacrime, strizza la spugna, strizza questo corpaccione triste e poi volta pagina. Pensa a qualcos’altro. Metti un piede davanti all’altro e ricomincia da capo”;
“La trappola è pensare di aver diritto a essere felici. Quanto siamo sciocchi. Così ingenui da credere anche solo per un secondo di poter dominare il corso delle nostre vite”;
“Sento che diventerò diffidente. Riconsidererò tutta la vita attraverso un traditore. Non aprirò più la porta. Andatevene”;
“E’ la vita. E’ la vita di quasi tutti. Si tergiversa, ci si arrangia, teniamo la nostra piccola vigliaccheria fra le zampe come un animale domestico. La si accarezza, la si alleva, la si attacca. E’ la vita. Ci sono i coraggiosi e quelli che si accontentano. E’ talmente meno faticoso accontentarsi…”

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Io l'amavo 2015-03-25 14:29:22 SARY
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SARY Opinione inserita da SARY    25 Marzo, 2015
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L'abbandono

Un dolore fortissimo in mezzo al petto, spasmi e tremori sconquassano il corpo. La solidità di un matrimonio stravolta dal tradimento di lui. Passano davanti agli occhi le immagini di felicità, flashback di ciò che è stato e non sarà più. E’ possibile che quei sorrisi rivolti a lei ora siano di un’altra? Cosa ne è stato degli abbracci intensi da marito e da padre di famiglia? Dove è finita quella voce roca nei momenti passionali e squillante nelle parentesi riservate alle figlie? E quell’odore che inebria e dà un senso di pace, l’odore della pelle del proprio uomo, ora chi vi si perde? Come si può spiegare l’abbandono alle proprie creature che nulla c’entrano con l’attrazione fisica del proprio papà nei confronti di un’altra donna, diversa dalla mamma principessa della casa? Le lacrime, maledette lacrime che scorrono come fiumi in piena senza tregua, sbucano nei momenti meno opportuni, non temono la gente, non provano vergogna, solo un bisogno di libertà ed espressione massima. Il lusso di cullarsi nell’autocommiserazione non è previsto per le madri, bisogna inserire il pilota automatico e marciare dritto, quel male interiore che rischia di oscurare tutto bisogna arginarlo, un buco nero che si inghiotte anima e tutto quanto. Chloè, la protagonista, un figura positiva accanto ce l’ha, il suocero. Dall’aspetto burbero ed austero, nasconde in realtà una grande capacità di amare. Di errori nel passato anche lui li ha commessi, rimediare ed imparare è un modo per ripagare il prossimo e sé stessi, sì, anche noi stessi dobbiamo perdonarci per ciò che siamo e facciamo. Il perdono. Si può perdonare? Ma come si fa? Voglio che qualcuno mi dica, scriva, urli e tramandi il perdono, quello autentico, non l’ipocrisia. L’autostima e l’amor proprio, ad un certo punto del calvario, risorgeranno più forti?
Breve, intenso, diretto e essenziale. Poche parole ben spese, frasi lapidarie efficaci, con una potenza espressiva forte. Due storie che si intrecciano, la visione della vittima e la versione del carnefice, si scontrano, prendono le misure, cercano un senso, un punto di incontro dove deporre le armi.
Scenari in secondo piano, descrizioni quasi nulle, dialoghi minimi e improvvisi, nel dolore ci sono poche parole.
Concludendo, una lettura che scatena rabbia e comprensione.

“Dopo quanto tempo si dimentica l’odore di chi vi ha amato? E quando si smette di amare? Datemi una clessidra”.

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