Gli indifferenti Gli indifferenti

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Calderoni Opinione inserita da Calderoni    17 Marzo, 2021
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Una recita ipocrita, stupida e immorale

Il libro dello scandalo. Gli indifferenti segna l’esordio di Alberto Moravia ed è uno dei romanzi imprescindibili della nostra letteratura. Su Gli indifferenti la produzione critica dal 1929, anno della pubblicazione, ad oggi è veramente amplissima. Vorrei, perciò, soffermarmi su alcune curiosità legate alla gestazione del romanzo. Moravia inizia a scriverlo nell’ottobre 1925, quando aveva solamente 16 anni, dopo che era stato dimesso da un sanatorio di Cortina d’Ampezzo, dove era stato per un paio d’anni per combattere la tubercolosi ossea che lo affliggeva dall’età di nove anni. Moravia, come scritto in una breve autobiografia letteraria datata 1986, ha composto il romanzo al mattino mezz’ora al giorno a letto perché era convalescente e si stancava subito. Una volta terminata la stesura, presentò il dattiloscritto a Cesare Giardini di Alpes (casa editrice presieduta da Franco Ciarlantini: questo nome tenetelo a mente per i successivi sviluppi editoriali), ma la risposta non fu immediata. Il giovane Moravia aspettò un mese a Stresa, poi tornò a Roma dove ricevette la notizia della pubblicazione a patto di pagare di tasca propria 50mila lire. Alberto le chiese al padre e nel luglio 1929 il romanzo Gli indifferenti uscì. Cinque edizioni, ognuna delle quali composta da mille esemplari, tutti venduti. Poi, la storia editoriale del primo romanzo di Moravia si interruppe momentaneamente per l’intervento del fascismo. Chi iniziò a osteggiarlo? Proprio il già citato Ciarlantini, che ricopriva anche il ruolo di responsabile dell’ufficio stampa del Partito Fascista. Ciarlantini si era fidato del suo redattore Giardini, che aveva riconosciuto da uomo di lettere il grande valore artistico dell’opera di Moravia. Inoltre, Ciarlantini aveva acconsentito per la pubblicazione anche perché era stato lo stesso Moravia ad autofinanziarsi. Per il regime e in primo luogo per Ciarlantini, però, Gli indifferenti aveva un carattere fortemente anti-fascista, poiché costituiva una critica a quella borghesia che aveva sostenuto l’ascesa al potere di Benito Mussolini e aveva permesso allo stesso fascismo di trionfare. In aggiunta a ciò, il regime non poteva accettare l’indifferenza prorompente nelle pagine di Moravia. Gli indifferenti, infatti, è un romanzo esistenziale che riflette sul conflitto emotivo e ideologico del rapporto dell’io con il mondo. La grande indifferenza che alberga in casa Ardengo non riguarda i sentimenti di Michele e Carla, i figli di Mariagrazia, ma più in generale la mancanza di assunzione di responsabilità verso sé e verso gli altri, venendo meno ogni principio d’autorità morale ed economica. Viene rappresentata, come detto, la civiltà dell’urbanesimo borghese e il racconto acquisisce slancio e fervore nel confronto polemico con il microcosmo familiare. Non si tratta di un’educazione sentimentale, ma di un’educazione alla realtà: è un’assuefazione al disgusto. Michele è disgustato dal fatto di giocare sempre un ruolo, di essere una maschera. Si pone Moravia su una linea biologica: a muovere i suoi personaggi sono bisogni brutali (denaro e sesso, proprio come ne La Romana). Non sorprende, dunque, che una famiglia in declino come quella di Mariagrazia cerchi di imparentarsi con un uomo ricco come Leo Merumeci. Quello che mette in scena Moravia è un perfetto teorema narrativo, tanto che il romanzo si conclude quando sta per esplodere lo scontro madre (Mariagrazia) e figlia (Carla), il cui minimo comune denominatore si chiama Leo. Inizia già nel primo romanzo a delinearsi quell’ossessione al realismo che contraddistinguerà tutta la carriera letteraria di Moravia. La sua scrittura è già piena di cose, ovvero di oggetti materiali legati alla sfera quotidiana. Nomina le cose e così facendo ne conferma l’esistenza, ossia le rappresenta. Gli oggetti sono riportati quasi intatti, come se fotografati perché il tempo narrativo è istantaneo. Servono per stabilire una continuazione tra scrittura e quotidianità. Oltre a meravigliosi intrighi sentimentali, colpiscono ne Gli indifferenti le descrizioni. Si può quasi intendere, a mio modo di vedere, la casa, arredi compresi, come il sesto personaggio del romanzo. È utile per offrire una quantità maggiore di realtà: i fondali e l’oggettistica fanno parte della recita. Dal canto loro, Michele, Carla, Mariagrazia, Leo e Lisa (amante di Michele), molto simili a marionette, ripetono ossessivamente il canovaccio di una recita ipocrita, stupida e immorale.

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lapis Opinione inserita da lapis    21 Mag, 2020
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Prigionieri della vita

Sono i ruggenti anni Venti. A Roma, i giovani dell’alta borghesia ballano il charleston al Ritz, sorseggiano indolentemente champagne e sfrecciano in automobile. Ma questa è solo la levigata e dorata superficie esterna della sfera; cosa si cela invece all’interno? Questo romanzo, con cui un giovanissimo Moravia esordì nel 1929, si pone l’obiettivo di esplorare proprio quell’interiorità, di rappresentare in modo disilluso e spietato quei meandri oscuri in cui albergano malessere, insoddisfazione, indifferenza.

Tutto in queste pagine è volto a restituire questa soffocante e claustrofobica sensazione. Salotti bui, illuminati solo dalla luce fioca di una fredda lampada. Strade sferzate da una pioggia autunnale, che disturba ma non purifica. L’arco narrativo collassa infine in quarantotto ore di pura introspezione. Sulla scena, il dramma borghese di una famiglia in rovina, che sta per perdere tutto, ricchezza e posizione sociale, a causa di uno spregiudicato affarista, sedicente amico. Ingiustizia, umiliazione, vergogna dovrebbero accendere l’animo del giovane Michele, innescare una reazione di rabbia o di orgoglio, invece è come se in quel mondo di apparenza e falsità non ci fosse più spazio per sentimenti autentici.

“Un disgusto opaco l’opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto”. Per salvarsi da quell’aridità che gli asciuga la bocca e gli screpola l’anima servirebbe una goccia di sincerità, di fede. Una goccia di odio puro o di amore vero. Ma le emozioni non si possono cercare, o fingere, solo vivere; e senza passione, resta il disagio di una mente che pensa e si arrovella, incapace sia di lasciarsi scivolare sulla scintillante e vacua superficie di abitudini e convenienze, sia di trovare una via d’uscita. Mentre dentro di sé, una voce continua a reclamare "Non è questa la mia vita".

La forza di questo romanzo sta nell’urgenza di raccontare una condizione interiore che chiede di essere narrata: l’infelicità di vivere una vita vuota e insoddisfacente, una vita che non si vuole ma che non si è in grado di cambiare. Gli indifferenti sono dunque i giovani – e non solo -, di ieri come di oggi, trascinati dalla noia e dall’indolenza di chi ha tutto, ma in fondo incapaci di agganciarsi alla realtà, di appassionarsi, di agire davvero. Prigionieri della vita.

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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    30 Settembre, 2019
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Gli indifferenti ovvero i nichilisti di Dostoevski

Premetto, non sono un grande appassionato di autori italiani, ma per me Moravia è un Grande vero, una mente illuminata che ha creato libri belli e senza tempo.
Gli indifferenti è un libro veramente bello, scritto con uno stile asciutto, diretto, senza moralismi e patetismi.
Insomma una lettura che non può mancare se si ha passione per i tratti psicologici della società italiana e in special modo di quella giovanile.
Un libro scritto decenni fa, ma drammaticamente attuale.
Credo che l'idea germinale dell'autore sia stata un po presa dal grande genio Dostoevsskij e il suo concetto estremo di nichilismo.
Certo, bisogna anche vedere se esiste un autore che non sia stato influenzato dalla grandiosa e unica letteratura russa classica.
L'indifferenza è uno stato mentale che aliena i vari personaggi che affrontano o cercano di affrontare gli eventi della vita.
E' una indifferenza abbastanza snob, con il Moravia, sempre molto affascinato dall'alta borghesia romana e dai quartieri dei vip capitolini.
Perchè sono indifferenti: lo sono, poichè avendo tutto ciò che desiderano, alla fine non hanno più necessità di andarsi a sbattere per ottenere le cose. Lo sono, poichè i rapporti che intrecciano sono alterati dall'interesse economico e dallo status sociale.
A me piace molto leggere i romanzi di Moravia, poichè ho vissuto quasi tutta la vita in uno dei quartieri chic che egli ben descrive (anche se ora di quella signorilità non ne è rimasta quasi nulla) e quindi quando sfoglio le pagine, leggo dei palazzi, i giardini, le strade che ben conosco, mi ritorna alla memoria la gioventù e le amicizie oramai sparite per sempre, inghiottite dal tempo e dall'ineluttabile corso degli eventi.
Moravia era un grandissimo scrittore, quasi profetico. Conosceva bene la psicologia delle masse e soprattutto aveva ben presente come il contesto cittadino abbia una influenza decisiva sull'indirizzare la vita delle persone.
Un grande scrittore, un fine conoscitore dell'animo umano.
Poco tempo fa, sono venuto a sapere che c'è anche un museo a lui dedicato nel quartiere Prati. Eravamo vicini di casa, ecco perchè lo sento così vicino e familiare. Presto andrò a far visita al suo studio ove scriveva questi ineguagliabili testi, che arricchiscono la biblioteca di chi ha la fortuna di leggerli.

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siti Opinione inserita da siti    13 Giugno, 2019
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Anticipando Camus

1929. Ventidue anni per il giovane autore. La sua opera d'esordio.

Sarebbero sufficienti queste coordinate per capire il valore di questa opera se ricordassimo semplicemente che siamo in epoca fascista, che fare letteratura all'epoca, soprattutto per dissentire, era pressoché impossibile e che la stessa letteratura, se voleva calarsi nel reale, non aveva altra scelta se non quella di contribuire a celebrarne i fasti.
Eppure questo è un potente romanzo realista e segue capolavori quali La coscienza di Zeno (1923) e Uno nessuno e centomila (1926). Pirandello, Svevo, Moravia: giovanissimo e già capace di rappresentare la stanchezza, la noia, il disincanto, lo stallo più assoluto della classe borghese e di farlo, tra l'altro, sulla scia delle potenti letture che avevano riempito la sua giovinezza malata: Joyce, e Dostoevskij. Senza dimenticare lo stesso Svevo di Senilità. Impossibile non ricordare Emilio Brentani in Michele, con i dovuti distinguo. Realismo appunto a restituire una situazione di stallo totale. Tutto nella narrazione è funzionale a ottenere il più assoluto immobilismo: il tempo rappresentato, appena due giorni, lo spazio gestito nelle dicotomie aperto-chiuso, grande- piccolo, o attraverso atmosfere cupe, coltri polverose di vecchi tendaggi, luce soffusa o assente. I personaggi, cinque appena, al centro la famiglia monca e decaduta, una coppia, guarda a caso fratello-sorella, un trio con la madre, un quartetto con Leo, una cinquina esplosiva con l'amica della madre. Rapporti tesi, difficili, ambigui fra di essi, sulla scia di un latente erotismo declinato nelle sue più rocambolesche variazioni. Dialoghi pressanti, è tutto un vociare che tace la verità. Ambivalenza totale, rovelli interiori, consapevolezza assoluta e presa di coscienza della propria inettitudine, accettazione totale di essa secondo differenti scelte: Michele e Carla che Carlotta non può divenire. Un finale aperto e ambiguo. Un 'opera magistrale.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    02 Ottobre, 2017
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ils sont indifférents..

Pensare che Moravia ha scritto questo romanzo quando aveva appena vent’anni, è sorprendente. Siamo negli anni ‘20/30, Carla, suo fratello Michele e la madre, Mariangela, appartengono a una nota famiglia della media borghesia, una media borghesia impoverita e sull’orlo del tracollo. Leo, uomo di mezza età, amante della madre e di poi della figlia, si insinua nelle esistenze dei protagonisti portando scompiglio ma anche riuscendo nell’intento di condurre alla luce quella che è la società fascista.
Questa viene infatti descritta quale falsa, utopica, convenzionale, menzognera, illusoria, di facciata, di apparenza. Meschinità e ipocrisie sono all’ordine del giorno, diventano costanti con cui convivere, con cui coabitare. I personaggi vi si assuefanno, sono indifferenti al dato, alla circostanza. Questa non rileva, è così e così deve essere. Soltanto Michele, tra tutti (un po’ come ne “La Ciociara” ove lo stesso ruolo è detenuto da un personaggio omonimo), si rende conto delle conseguenze di questa apatia, di questo laissez faire. Tanto che si interroga, cerca di smuovere le coscienze, di portare alla ribalta il dato, ma, senza successo.
Perché questa indifferenza, prima attrice delle pagine di Alberto Pincherle, non è altro che un’inerzia morale, non è altro che il lento consumarsi delle emozioni, emozioni e sensazioni che si tramutano in disinteresse per quel che circonda e che cedono di fronte alla vita sino a consacrare una condizione in cui quest’ultima non è vissuta bensì subita (basti pensare al comportamento di Carla con Leo, alla sua arrendevolezza innanzi al desiderio di lui e al disgusto di lei innanzi a quell’uomo in sovrappeso, calvo, anziano, consunto dagli anni che sono passati). Un’inerzia, un’indifferenza che è delineata, ancora, attraverso il canale del doppio binario: se da un lato Moravia la affronta nel suo rapporto verso il mondo esterno, verso gli altri, dall’altro, concentra la sua attenzione su quello che è l’aspetto interiore, su quel sentirsi inermi, incapaci, demotivati. Quale soluzione può dunque essere adottata se non quella di concedersi e abbandonarsi al disprezzo verso sé, all’autodistruzione?
Il tutto si palesa e si appresta alla realizzazione in un arco temporale di appena due/tre giorni e mediante una staticità di luoghi che sono quasi interamente concentrati presso l’abitazione della famiglia per spostarsi, al massimo, nei saloni destinati a incontri sociali o presso i locali dell’amante.
L’autore, ci rende destinatari di una scrittura precisa, realistica e ricercata, una scrittura forse lenta ma senza dubbio perfetta per la realizzazione degli intenti. E state pur certi che, giunti a conclusione, gli indifferenti non vi avranno affatto lasciati tali. Anzi. Il desiderio di entrare nell’opera, di spronarne gli attori, è una delle caratteristiche preminenti dell’elaborato, caratteristica che si perpetra dalla prima all’ultima battuta.

«Un disgusto opaco l’opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l’abbiezione di cui aveva pieno l’animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e le vita; “un po’ di sincerità” si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa, “un po’ di fede.. e avrei ucciso Leo… ma ora sarei limpido come una goccia d’acqua”.»

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    19 Giugno, 2016
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Siamo circondati da "Carla" e "Michele"...


Romanzo d'esordio di Alberto Moravia...e quello che davvero stupisce è che sia stato scritto da un Moravia poco più che ventenne!!! (anzi, iniziato quando non aveva ancora 18 anni).
Nel romanzo egli descrive, con grande realismo, le meschinità e le ipocrisie della società borghese degli anni '20/'30, tacciandola di essere falsa, di facciata, convenzionale e menzognera.
"L'indifferenza" protagonista di tutto il romanzo, non è altro che un'inerzia morale, un'apatia sentimentale, un lento e graduale spegnersi delle emozioni, un disinteresse nei confronti della vita, che invece di essere vissuta viene subìta.
Ma, soprattutto, l'indifferenza di cui parla Moravia non è tanto quella rivolta verso gli altri, ma quella verso se stessi...il sentirsi totalmente inermi e demotivati da cercare un'ultima disperata soluzione facendosi quasi violenza, disprezzandosi e autodistruggendosi.
La scrittura è sagace, precisa, realistica, e pur nella sua semplicità, è ricercata e formale...il ritmo è lento (circa 300 pagine per raccontare appena 3 giorni di vicenda), i toni sono seri, ma frequentemente mettono "in ridicolo" i modi di fare e di agire dei protagonisti.
Una "tragedia grottesca" insomma...
Tanti sostengono che Moravia non si presti alla lettura e/o rilettura a distanza di così tanti anni perché troppo circoscritto ad un preciso momento storico e sociale...io non sono d'accordo: questa apatia dei giovani protagonisti nei confronti di se stessi e di tutto ciò che li circonda è poi così lontana dal mondo degli attuali ragazzi così frequentemente annoiati e passivi nei confronti di una società, di cui riconoscono tutti i limiti e difetti, ma che non riescono a cambiare? Io credo di no...
Quanti "Michele" e quante "Carla" ci circondano, con la consapevolezza di volersi disfare del marcio che la società presenta loro, ma incapaci di agire in tale direzione?
Trovo molti aspetti di questo romanzo ancora attuali, purtroppo!
Le miserie di oggi non sono poi così diverse da quelle di ieri (se pur in contesti differenti).
Un grande Moravia.

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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    26 Giugno, 2015
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L'indifferenza che fa la differenza.

Inizialmente, prima ancora di leggerlo, non capivo a cosa si volesse riferire Moravia con questo titolo "Gli indifferenti", è infatti di per sè un pò vago in quanto si può essere indifferenti a mille cose o ad una in particolare e soprattutto il termine può avere a seconda dei caso un'accezione negativa o positiva. Poi ho letto il romanzo, in sei giorni, ed ho concluso pensando che non si poteva trovare titolo migliore, praticamente perfetto, calza come un abito di sartoria al romanzo.

Questo è il primo romanzo "vero" di Moravia, lo finisce all'età di 22 anni e per farlo pubblicare è costretto a pagare di tasca sua. Il romanzo poi una volta uscito riscuoterà un grandissimo successo e ancora oggi viene considerato una delle sue opere migliori, se non addirittura la migliore in assoluto (anche Dacia Maraini la pensa così). In quest'opera Moravia anticipa un movimento che poi verrà ripreso in Francia qualche anno dopo, l'esistenzialismo, e che vedrà in Camus e Sartre due massimi interpreti. E proprio Camus, 20 anni dopo, scriverà "Lo Straniero", opera per molto versi simili a questa, soprattutto nei contenuti.

"Gli Indifferenti" racconta della vicenda di una famiglia borghese ma da poco caduta in miseria, costretta a vendere casa per pagare alcuni debiti. I personaggi sono il vero fulcro del romanzo, sono pochi, ma ognuno ha un ruolo determinante. La famiglia è composta da Mariangela, madre di due giovani, Carla e Michele, i veri protagonisti della storia, poi c'è Leo, il creditore ma allo stesso tempo amante di Mariangela, uomo accecato dal sesso e dai soldi. Infine c'è Lisa, cinica amica di Mariangela. Mariangela è gelosissima di Leo, e non si accorge nè del fatto che Leo la sta costringendo a cedere la casa dove vivono nè soprattutto del fatto che Leo da qualche tempo sembra più interessato a Carla che a lei. Lisa invece ha scoperto l'attrazione di Leo per Carla (ricambiata), ma nasconde tutto per rivolgere le sue attenzioni verso Michele. E poi ci sono i veri due protagonisti della storia, gli indifferenti, i due figli. Carla, che inizia un tira e molla con Leo, prima cede alla sua passione, poi ci ripensa, poi cede ancora e così via. Non è attratta da lui, ma lo fa solo per noia e per dimostrare alla madre che può e sa essere indipendente. L'altro figlio, Michele, è invece l'esaltazione dell'indifferenza. Pensa continuamente il contrario di quello che fa, vorrebbe agire, ma un secondo dopo ci ripensa. Viene più volte insultato e maltrattato da Leo ma non riesce mai a rispondere o a farsi rispettare, e le poche volte che apre bocca poi chiede scusa. Anche quando viene a scoprire che Leo e Carla hanno una storia non riesce a mostrare un minimo di odio nei suoi confronti e addirittura è costretto a fingere dei sentimenti che non prova. L'emblema dell'indifferenza, o forse peggio ancora della passività.

Il romanzo finirà poi in un modo abbastanza prevedibile, d'altra parte l'indifferenza dei protagonisti parla chiaro, ma il senso del racconto è unico ed innovativo per quel tempo.
La scrittura è pulita e semplice, non ci sono periodi lunghi o frasi complesse, la lettura risulta molto scorrevole e piacevole.

In definitiva un libro molto interessante, probabilmente il più bello scritto da Moravia e con un significato ancora profondo ed attuale.

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Belmi Opinione inserita da Belmi    25 Mag, 2015
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Non ti lascia indifferente...

Scritto nel 1929, questo romanzo rappresenta l'esordio del giovane Moravia nel mondo della letteratura del Novecento.

Non so voi, ma io ho sempre preferito essere amata oppure odiata piuttosto che rimanere indifferente agli altri; l'indifferenza è proprio un'emozione, se così si può definire, che reputo intollerabile.

Moravia, con il suo romanzo, ci catapulta in una realtà in cui l'indifferenza la fa da padrone.

Una realtà in cui il pensiero principale dei giovani protagonisti (Carla e Michele) è "E' la fine", ma pur essendone consapevoli, non riescono ad uscire dal loro torpore, dallo loro stato di indifferenza.

""Vediamo" pensava "si tratta della nostra esistenza... potremmo da un momento all'altro non avere di che vivere materialmente"; ma per quanti sforzi facesse questa rovina gli restava estranea; era come vedere qualcheduno affogare, guardare e non muovere un dito"

"Nessuna azione di Leo, per quanto malvagia, riusciva a scuotere la sua indifferenza; dopo un falso scoppio di odio, egli finiva sempre per ritrovarsi come ora, con la testa vuota, un poco inebetito, leggerissimo."

Moravia ci racconta la vita della borghesia fascista; in poco più di 48 ore, ci mostra una realtà che ci fa male.

""Come si fa?" disse la madre; "non si può mica sempre dire la verità in faccia alla gente... le convenzioni sociali obbligano spesso a fare tutto l'opposto di quel che si vorrebbe... se no chi sa dove si andrebbe a finire.""

Il realismo dell'autore non ti lascia indifferente; vorresti entrare nel romanzo e scuotere i protagonisti, spronarli. Leggi i loro pensieri ma poi vedi le loro azioni così incoerenti.

Un Moravia cinico, amaro e mai volgare. Già con "Il disprezzo" mi aveva convinto, questo è una conferma.

Non mi ha lasciato indifferente, anzi mi ha fatto riflettere anche sulla società di oggi; molte persone sono capaci di vivere così, in uno stato di torpore e pur avendone le possibilità non ne vedano la necessità e la ragione di uscirci.

Lo consiglio.

Buona lettura!!!

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    05 Mag, 2013
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Cedo la parola...

Per commentare il romanzo-capolavoro di Moravia, questa volta … me ne sto zitto (!). E cedo la parola al prof. Angelo Fàvaro: si occupa di letterature classiche, di ibridazioni fra le arti e la letteratura, di teatro, e collabora con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma “Tor Vergata”, e con l’Associazione Fondo Alberto Moravia, di cui è Presidente Dacia Maraini.
Nessuno più di lui è titolato a commentare, visto che ha ideato e progettato la terza edizione del convegno internazionale “Alberto Moravia e la Ciociara – Letteratura. Storia Cinema” in programma per il 10 maggio a Palazzo Caetani a Fondi, nei luoghi del romanzo “La Ciociara”.
Queste le sue parole:
“Gli indifferenti come disse Moravia sono una tragedia senza la tragedia: una considerazione soltanto, se rileggiamo il romanzo, oggi, adesso, e ci concentriamo sul personaggio di Michele, sulle sue esitazioni, sulle paure, sulle reticenze, sulla sua coscienza rivoltata, vi ritroveremo la nostra gioventù. Gli indifferenti sono un grande romanzo sull’infelicità e sulla pulsione beffarda all’azione che confligge con l’impossibilità d’agire. È lo spettacolo della vita che viene messo in scena, quando la vita non si riesce a vivere. Quando non si riesce a cambiare il mondo che non si accetta e non si ama.”
Io, nel mio piccolo, posso solo dire che mi riconosco perfettamente in quello che Angelo ha detto dal profondo della sua cultura.
La mia mente va al sentimento di vuoto che ho provato quando, da giovane, ho chiuso le ultime pagine del romanzo, immaginando la festa alla quale Mariagrazia e “gli indifferenti” si stanno recando. Segno che l’autore aveva colpito il bersaglio. Nel centro del mio cuore.

Bruno Elpis

Nel mio sito ho pubblicato l’intervista realizzata con Angelo Favaro su Moravia. Davvero, è una ghiotta occasione per chi ama o sta studiando questo autore. Il link è il seguente:
http://www.brunoelpis.it/le-interviste/568-intervista-a-angelo-favaro-ideatore-dellevento-convegno-internazionale-alberto-moravia-e-la-ciociara-letteratura-storia-cinema-in-programma-per-il-10-maggio-a-palazzo-caetani-a-fondi-nei-luoghi-del-romanzo

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aivlis Opinione inserita da aivlis    03 Febbraio, 2013
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La palude (che originariamente doveva essere il ti

Carla e MIchele sono due personaggi di un'Italia fascista decadente. Vivono con coscienza la loro condizione sociale, disprezzano i pregiudizi, gli opportunismi, le falsità del mondo borghese in cui sono immersi...ma. C'è un "ma" che è il fulcro di tutta la questione su cui ruota il romanzo: essi non riescono a reagire, non riescono a muoversi nella palude, nella melma che gli immobilizza e li trascina giù; essi sono consapevoli della tragica situazione in cui si trovano ma non riescono a muoversi, preferiscono conformarsi e lasciarsi trascinare giù.

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SaraD. Opinione inserita da SaraD.    03 Febbraio, 2013
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GLI INDIFFERENTI..

Alberto Moravia, appertenente alla corrente letteraria realista, esplora nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell'alienazione sociale e dell'esistenzialismo. Questo romanzo d'esordio (scritto in giovanissima età) ha dato un'impronta importante nella panoramica delle sue opere.
Il romanzo si potrebbe racchiudere in una domanda, la stessa che si pone il personaggio di MIchele ad un tratto del libro: "Ma allora?". Domanda che Moravia lascia senza risposta. Egli si impegna sul profilo psicologico dei personaggi e questo può deviare il significato del romanzo in quanto, ad una prima analisi, emerge la critica di una data società e la manifestazione di sentimenti pessimisti che, poi, Moravia stesso ha smentito dicendo che il suo intento era quello di fondere la tecnica del romanzo con quella del teatro: infatti il libro comincia con: "Entrò Carla". L'entrata è del tutto teatrale, come del resto tutto il libro, grazie appunto a questa analisi psicologica dei personaggi.
Un elemento importante è, sicuramente, l'indifferenza, una noia che porterà Carla e Michele, l'una a vivere nell'ipocrisia, senza passione, l'altro ad alienarsi. In qualche modo i due fratelli, deboli, proseguiranno nella loro noia indifferente, sebbene in due modi diversi.
Alla base c'è la debolezza, cioè la loro incapacità di essere felici o, quanto meno, di cercare di raggiungere la felicità: Moravia affida questo ruolo alle due giovani figure di Carla e Michele.
Per quanto riguarda Leo, Lisa e Mariagrazia, rispecchiano la colonna portante di tutto il teatrino della società borghese di quegl'anni, ne Gli indifferenti. I due giovani, avendo difronte questi tre esempi, decidono lo stesso di non tentare di cambiare le cose.
Un libro molto profondo a mio avviso, nel quale le chiavi interpretative possono essere svariate e Moravia ne mette molte a disposizione, se pur tra le righe. Si potrebbero scrivere migliaia di parole su questo romanzo e ciò, per me, è indice di un grande scrittore.

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pupa Opinione inserita da pupa    05 Gennaio, 2013
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Gli albori del Realismo

Sostanzialmente "Gli indifferenti" è la storia di una famiglia borghese romana, i cui componenti raggiungono il loro epilogo nella noia e nell'indifferenza, intesa come inerzia morale, incapacità a vivere, abulia morale ed inettitudine. Quest'opera di Moravia ha rappresentato una lezione di Realismo estremo negli anni del Surrealismo e del Decadentismo in crisi. L'autore ha immesso nell'arte narrativa un mondo inconsueto; la realtà che ha tradotto e i modi linguistici di cui si è valso hanno accusato franchezza morale e una disinvoltura tecnica veramente singolare nella nostra letteratura contemporanea. Nel romanzo colpisce la convergenza d'un contenuto ostensivamente immorale e squallido con un'espressione secca e sbrigativa, disadorna e impoetica. i protagonisti contrassegnati da un distacco intellettuale che permetteva d'alienarli dall'autore e di atteggiarli in una parvenza d'oggettività fredda e scostante da poter sembrare quasi una diagnosi clinica. L'autore rappresenta nel romanzo modi di vita e una società in disfacimento in cui gli uomini appaiono impegnati solo esteriormente, ma sostanzialmente increduli e scettici. È questa la lezione data dal Realismo moraviano come si presenta nella nostra cultura. La tecnica narrativa si rileva in tutta particolare essenza poetica compositiva: si parte da idee astratte, l'indifferenza, la noia, l'immoralità, il sesso e l'ambiente e da questi temi vengono sviluppati i personaggi, l'intreccio, il clima storico sociale. Anche i protagonisti sono concepiti prima come tema e poi sviluppati come attori: è in questo senso che Moravia è narratore deduttivo. I suoi protagonisti non hanno svolgimento interiore, appena li presenta già sappiamo tutto di loro, conosciamo i tratti psicologici e i loro comportamenti, agiscono come vengono descritti inizialmente, senza colpi di scena. Tecnica narrativa che l'autore traspone nei propri personaggi: parte quasi sempre da una tesi da dimostrare e gli attori sono solo mezzi statici nei quali si accumulano e si ammucchiano le varie vicende.

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Laura4libri Opinione inserita da Laura4libri    19 Giugno, 2012
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Indifferenti, apatici e insensibili

Romanzo d'esordio di Moravia, narra tre giorni della vita di una famiglia borghese in decadenza nell'Italia degli anni venti. I personaggi sono pochi: la madre, vedova, che disperatamente cerca di mantenere legata a se il più giovane amante Leo. Leo, seppure più giovane di Mariagrazia, uomo adulto, di pochi scrupoli, che invece cerca di prendere le distanze dall' ex amante e aspira semplicemente a divenire unico proprietario della casa della famiglia grazie ad un ipoteca, e nel frattempo cerca di sedurre la giovane figlia Carla. Carla, una scialba ventiquattrenne, il cui unico fascino, dalle parole di Leo, sembra essere solo la giovane età. Infine Michele: un adolescente, non è ben chiara la sua età, perennemente in disputa con "l'uomo" Leo, di cui in parte accetta i consigli ma che non rispetta come figura maschile. Michele è descritto come insicuro, incapace di agire, suoi sono i lunghi monologhi su ciò che vorrebbe fare, ma che invece non riesce per noia e mancanza di carattere. Alla male assortita compagnia si avvicina Lisa, amica e probabilmente coetanea della Madre, ex amante di Leo, la quale cerca di sedurre il giovane Michele.
Fra questi personaggi si consuma la squallida vicenda: tre giorni spesi nell'inerzia di piovose giornate, cene e pranzi, conditi da dialoghi pungenti, pensieri mal celati, bugie e sotterfugi per ottenere ciò a cui i singoli aspirano, ben poco, viene da dire. Il tutto ambientato in vecchie case, un tempo lussuose che ora invece sono specchio dei proprietari, la stessa madre e Lisa, ma anche Leo; tutti e tre personaggi in declino, prossimi alla vecchiaia, dalla quale cercano di sfuggire legandosi a giovani amanti. In questa visione decadente della vita, la giovinezza rappresenta forse la delusione maggiore: posseggono la forza, l'età, la vita davanti, ma non sanno cosa farsene e si fanno trasportare dagli eventi incapaci di agire indipendentemente.
Romanzo cupo, decadente, sia nei toni che negli ambienti: sembra di assistere ad un film in bianco e nero. Personaggi mirabilmente belli nella loro "bruttezza" di esseri umani a cui non viene offerta nessuna opportunità di riscatto.
Un linguaggio a tratti d'altri tempi, ricco ma allo stesso tempo semplice e mai volgare: non indugia dove non è necessario. Non un romanzo per tutti: in circa trecento pagine succede veramente poco, ma è il modo, la tecnica utilizzata nel non raccontare praticamente nulla, se non attimi di vita quotidiana, che cela la grandezza dell'autore.

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macchiolina Opinione inserita da macchiolina    01 Febbraio, 2012
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Un maestro delle parole

Leggerei il racconto tenendo conto che è stato il primo romanzo esistenzialista italiano. Ma lo leggerei anche per il gusto di assaporare la potenza della scrittura di Moravia, le bellissime descrizioni di ambienti,stati d'animo,sogni,passioni che egli ci regala. In questo bellissimo racconto d'esordio i protagonisti sono tutti come ciechi nei confronti di coloro che li circondano.E' come se ognuno recitasse la propria parte senza saper ascoltare quella degli altri.E' come trovarsi sulla scena di un dramma dove si susseguono una serie di monologhi e dove gli attori,quando non è il loro turno,spariscono addirittura dal teatro.Ogni personaggio è chiuso irrimediabilnente nella propria ossessione: la madre nella gelosia che prova nei confronti dell'amante;la figlia nella sua decisione di concedersi all'amante della madre,che vede come unico modo di poter cambiare vita e che in realtà la porterà ad entrare a pieno titolo e finalmente rassegnata nella vita borghese;l'amante nel suo desiderio di possedere la figlia e i beni famigliari;il figlio nella consapevolezza della propria totale,completa,irrimediabile indifferenza.Anche se in alcuni momenti sembra che questo suo malessere sia dovuto più che al desiderio di una vita meno ipocrita e borghese,all'insoddisfazione di una vita priva di mezzi. -

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ahab Opinione inserita da ahab    19 Agosto, 2011
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gli indifferenti?

“Gli indifferenti” di Moravia è una lettura che risale a un po’ di tempo fa (forse tanto). Per scrivere questa opinione, allora, ho dovuto riaprire il libro, rileggerne qualche passaggio, rinfrescarmi la memoria, grazie anche ai segni, appunti, note e punti interrogativi con cui uso “sporcare” le pagine dei libri.

Ma veniamo agli “indifferenti”. Personalmente ritengo che sia un romanzo appena sopravvalutato, forse perché alquanto elementare nell’allegoria e la cui trama, piuttosto forzata e non so quanto volutamente scandalosa (almeno per quei tempi, parlo del 1929), pecca di intrecci in cui l’elemento dominante, l’indifferenza, compare in maniera forse un po’ troppo ripetitiva.

È vero, l’indifferenza non è quella verso un’umanità corporea da strada, verso vite ai margini di un mondo “imperfetto”. Fosse così, tutta la storia dell’Uomo non sarebbe altro che un’evoluzione dell’indifferenza e ciò che separa l’“oggi” dal passato non sarebbero altro che sfumature.

L’indifferenza dei personaggi di Moravia scaturisce da un senso quasi di impotenza nel determinare ciò che accade, col risultato che il vuoto per la mancanza di ogni speranza nella propria esistenza finisce per ritorcersi verso gli stessi protagonisti. A loro stessa insaputa.

Ma l’allegoria, inquadrando il libro nel contesto storico in cui fu scritto, è molto evidente. L’indifferenza è quella della borghesia di allora, prona al fascismo e incapace di opporre una qualsivoglia strada politica. Sotto questo aspetto allegorico il libro è alquanto elementare, dicevo, e, a parte questo, concede solo vaghi temi esistenziali, per i quali un Sartre o un Camus o un Kafka potrebbero offrire, a mio parere, molto di più.

E poi il titolo: gli indifferenti. Trovo che non sia perfettamente corretto, in quanto i due protagonisti, Carla e Michele, avvertono un disagio intorno a loro fino a provare persino una certa insofferenza. Ora, l’indifferenza presuppone, invece, una totale assenza di emozioni o di sentimenti, mentre loro in ogni caso il sentimento di insofferenza lo avvertono. E anche della stessa borghesia di allora più che di indifferenza si deve parlare di incapacità di costruire un modello alternativo a quello del fascismo. Di certo non si può parlare di indifferenza: la politica è fatta di scelte, e l’indifferenza è assenza di scelta. Qui il discorso si fa un po’ troppo storico e, pertanto, mi fermo.

La prosa è realistica e questo rende la lettura agevole. Ma l’ostinazione con cui Moravia vuole rimarcare il concetto di indifferenza, porta, a mio parere, a intaccare lo stile. Del resto la stessa attenzione alla costruzione della storia ha sviato l’autore dalla cura della costruzione del periodo o nella ricerca di metafore o altro. Addirittura per tre volte (forse quattro, non ricordo bene, ma di certo tre) usa l’espressione “non più immobile di…”
Questo, sia chiaro, non sminuisce affatto l’opera e il suo valore letterario (me ne guarderei bene!). Voglio solo dire che, personalmente, sarei più portato a una certa attenuazione dei meriti di cui, chissà, forse a giusta ragione, gode il libro.

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Ophélia Queiroz Opinione inserita da Ophélia Queiroz    18 Agosto, 2011
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Gli indifferenti_Moravia

Ho interpretato questo romanzo in senso un po' diverso rispetto a qualche altro lettore che ha commentato prima di me e che temo ne abbia semplificato un po' troppo il messaggio. L'indifferenza di cui parla Moravia non è certamente quella per i mali della società, per i barboni per strada! E i personaggi non sono superficiali...sono piuttosto annichiliti, completamente smarriti, disposti a tutto, anche alla depravazione, pur di trovare una via d'uscita alla noia e allo squallore borghese. Carla e Michele sono le vittime di se stessi, della loro identità, non sono indifferenti alla miseria che vedono per strada (non ricordo neanche una pagina del romanzo in cui emerga questo aspetto), sono indifferenti a se stessi, disprezzano se stessi, e tutto ha una piega molto "esistenziale". Non è mia intenzione "fare una recensione alle altre recensioni" ma ci tengo a sviare chi passa per questa pagina dall'impressione che questo romanzo (che per altro adoro) sia stato scritto per fare una bella tirata d'orecchie a tutti quelli che rimangono insensibili di fronte al bisognoso che chiede una monetina; la grandezza di questo romanzo secondo me sta nell'analisi impeccabile della psicologia di questi due giovani, talmente demotivati e senza speranza da cercare volontariamente la propria rovina, talmente apatici da trovare l'ultima disperata soluzione nella violenza brutale contro se stessi, contro la propria vita. Rinunciare a qualsiasi forma di purezza, non credere più che nessun tipo di amore possa salvarti, abbandonarsi alla distruzione...mio dio che libro meraviglioso...

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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    13 Giugno, 2011
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Un romanzo attuale...

Un romanzo attuale che per i contenuti che presenta può essere presentato in qualsiasi epoca.
Per quanto l'autore pare che lo abbia scritto in giovanissima età, evidenzia la superficialità della mente dei personaggi, che appaiono apatici e indifferenti di fronte alla vicende della vita, incapaci di sentimenti ed emozioni autentiche.
Ma si può calare benissimo nella realtà del nostro quotidiano in cui la folla passa indifferente ed algida davanti al barbone morto sul marciapiede, si scosta con disgusto di fronte al povero che stende la mano per un'elemosina di pochi euro e schiva con indifferenza l'estra-comunitario che ti offre calzini o altra mercanzia e che non ha altri mezzi per sopravvivere.
Che dire? A me a volte qualcuno mi ha confidato: "ho fame, signora comprami qualcosa" ed io ho allungato 5 euro per non essere del tutto indifferente, perchè tutto sommato io mi sento una persona di buon cuore, sono sensibile, ma questo non basta a diversificarmi dalla folla dei perbenisti che passano in fila davanti a chi è bisognoso, indifferenti e senza rimorsi.
Una volta, secondo Moravia era la borghesia a rappresentare "Gli indifferenti" ora secondo me non c'è più differenza fra borghesi e le altre categorie di persone che si dimostrano totalmente apatici nei confronti del prossimo.
Consiglio questa lettura a tutti per una doverosa riflessione che abbracci anche il nostro modo di vivere.
Saluti.
Ginseng666

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chicca Opinione inserita da chicca    28 Mag, 2011
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70 anni e non li dimostra

Opera prima pubblicata nel 1929, in questo libro sono racchiuse le tematiche care a Moravia che verranno poi ampliate nei successivi romanzi.
Moravia realizza un affresco dell'ambiente borghese degli anni Venti, dove la voglia di ribellione di Michele, la sua impotente insofferenza nei confronti della società e i personaggi che lo circondano, si dimostrano inetti e soffocati dalla noia. Trovo questo romanzo per tanti versi ancora attuale e stimolante e ne consiglio vivamente la lettura a tutti quanti.

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Rosaliaa Opinione inserita da Rosaliaa    27 Mag, 2011
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L'embrione

Moravia scrisse il suo primo romanzo (questo) quando era ancora un pupo e si sente: con realismo (un po' imperfetto) analizza la borghesia degli anni '20, una sorta di età del jazz alla romana. I protagonisti soffrono di non soffrire, circolo vizioso che non si cocluderà con la rivolta, ma che avrà scampo solo nella rassegnazione borghese-necessaria-infinita, che non terminerà (forse) se non in età avanzata con La Vita Interiore ma che, vedremo, fallirà. C'è scampo? Chi lo sa. Intanto vediamo in germe i primi temi ricorrenti dell'autore romano: la borghesia (cattiva, manipolatrice, stupida e indispensabile, come una matrigna) e il sesso (contributo freudiano).

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Debs Opinione inserita da Debs    25 Ottobre, 2010
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Un classico

Un classico della lettura del 900...e come molti classici lascia a taluni l'inspiegabile quesito di come una storia così possa aver segnato le pagine della letteratura dello scorso secolo. A mio parere questo romanzo racchiude in sè molta più attualità di quanto apparentemente sembri. L'inettitudine, la passività e la noia dei protagonisti sono gli stessi che coinvolgono la nostra società, la frangia ridotta e benestante del globo. L'ambiente nei quali si muovono i personaggi è quello della borghesia benestante, dove i protagonisti hanno tutto e non sono contenti di nulla. Sembrano rassegnati dalla loro condizione di noia e insoddisfazione perenne, rincorrono il brivido in vie di dubbio gusto e sembrano alienati gli uni dagli altri. Carlo e la sorella sembrano due emeriti sconosciuti, sembra che a nessuno importi nulla degli altri, ma cosa ben più grave, importi qualcosa di sè stesso. L'atmosfera che si respira è tediosa e soffocante. Ma forse è proprio il ripudio verso figure cosi indifferenti nella vita spinge il lettore, una volta chiuso il libro, ad agire e a vivere la vita.

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paolodal Opinione inserita da paolodal    17 Luglio, 2010
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rinunciamo all'anestesia!

Dovremmo rinunciare all'anestesia, almeno qualche volta. Capolavoro indiscutibile del '900, in quanto descrive mirabilmente i caratteri della borghesia di quest'epoca. Stupisce come Moravia, appena diciottenne, avesse gia' sviluppato questo tipo di sensibilita'. Descrizione intima avvincente di persone di buona famiglia, incapaci di soffrire, ed incapaci di gioire. Personalmente, io, cresciuto nel riflusso degli anni 80, in un Nord dove, fra i padroni delle fabbrichette ed i loro operai non si capisce chi sia piu' sfigato, non ho mai pensato che la differenza sociale fosse una caratteristica rilevante della nostra societa'. Ringrazio Moravia per avermi fatto capire che l'uomo, imborghesito, perde la capacita' di soffrire e amare veramente. Troviamo piu' comoda l'anestesia del nostro piccolo benessere, del nostro orticello di piccole comodita' faticosamente conquistato. Perdiamo empatia. Non piangiamo piu' se qualcuno muore. Non ci rallegriamo se l'amico ha successo.
In generale per altre cose non la penso come Moravia, ma quando uno e' un Grande bisogna dirlo, seppur ''obtorto collo''.

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faye valentine Opinione inserita da faye valentine    06 Luglio, 2010
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Totale indifferenza

Mio primo e ultimo libro di Moravia, Gli Indifferenti narra la storia di intrighi sentimentali all'interno di una famiglia che di intrigante nulla ha. Una serie di vicende a tratti voyeuristiche, a tratti paradossali, che dovrebbero mettere in luce appunto l'indifferenza e la passività dei protagonisti di fronte alla vita. La storia narrata potrebbe ispirare una soap opera e il ritmo della narrazione a questa ben si adatterebbe, in quanto è a dir poco lento. Un romanzo che ha suscitato in me una totale indifferenza... siamo ben lontani dall'Inetto per eccellenza Zeno Cosini!!! non lo consiglio, leggete Svevo piuttosto!

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