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Morte accidentale di un amministratore di condominio
 
Morte accidentale di un amministratore di condominio 2022-07-30 09:50:42 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    30 Luglio, 2022
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Una morte accidentale che accidentale non è.

Il bravo ispettore di polizia Mario Fagioli aveva già dato il meglio di sé quando, infiltrato in una cosca calabrese, aveva dimostrato coraggio e furbizia: ora, prossimo alla pensione, vivacchia nel commissariato romano di viale delle Medaglie d’Oro, senza grandi prospettive, rimpiangendo il passato e tirando sera mangiando pizzette e compilando turni di lavoro. E’ sempre sottotiro del commissario capo, però, che tenta di scuoterlo affidandogli compiti poco impegnativi: questa volta dovrà recarsi nel più bel condominio della zona, “Parco della Vittoria”, un palazzo pretenzioso degli anni settanta, con tanto di portiere e giardino condominiale, dimora di autorevoli personaggi della Roma che conta (procuratori, questori, politici e funzionari o le loro vedove). Ai piedi di uno scalone viene rinvenuto il cadavere dell’amministratore condominiale, Michele Noci, inquilino del palazzo, marito di Mimosa, moglie ricchissima, rassegnata e devota: arzillo e gran donnaiolo, nonostante l’età avanzata, aveva il compito principale di visitare periodicamente gli altri condomini controllando che tutti pagassero le quote spettanti e vigilando su tutto e tutti, aiutato da Sadu, portinaio rumeno avido di soldi, gran faccendiere e confidente delle anziane inquiline, maritate e non. Il cadavere è lì, l’ispettore cerca di allontanare curiosi e impiccioni, osserva segni e postura: arriva il medico legale, la polizia scientifica, tutto sembra convalidare l‘ipotesi di una caduta accidentale, proprio quello che il commissario si aspetta, data la notorietà degli inquilini e le eventuali rogne che potrebbero subentrare, ma il nostro ispettore non è troppo convinto, ed inizia ad indagare, piano per piano, con pazienza ed insospettabile tenacia. Il palazzo è un covo di pettegolezzi, le vecchie si spiano a vicenda: il focoso amministratore che, tra l’altro, assume Viagra credendolo un integratore, è notoriamente l’amante fisso di tal Cavallona, così detta per la falcata equina, dei piani bassi, e contemporaneamente è concupito da Rosa Tea, moglie di un notaio dei piani alti, segretamente innamorata di Michele, un mai dimenticato amore di gioventù. Fatto sta che per una serie di sfortunate coincidenze, il poveretto cade dalle scale preso a ombrellate dalla Cavallona dopo aver assaggiato dei dolci di Rosa Tea avvelenati (ma poco, poco, solo per spaventarlo) con stricnina: ma non basta, mentre l’amante fissa tenta di rianimarlo iniettandogli dosi spropositate di Strofantina, sopraggiunge la moglie, Mimosa, che, per vendicarsi finalmente dei tradimenti, gli dà una padellata in testa. Insomma, una sorta di omicidio colposo collettivo, ma il bravo ispettore vuole individuare la causa vera della morte e la vera colpevole: non se ne parla proprio, lo redarguisce il commissario, troppi soni gli inquilini di spicco, accidentale sembra la caduta ed accidentale deve essere la morte. Tutt’al più, se si deve incolpare qualcuno, arrestiamo un povero giardiniere, abusivo occupante del locale caldaie, o il malcapitato ed infido portiere rumeno.
Fagioli, dopo aver saggiamente consigliato giardiniere e rumeno di allontanarsi da Roma, torna tra le quinte, sconsolato e amareggiato: per fortuna c’è sempre Lidia la verdurara, e il calendario sulla scrivania che gli suggerisce di avere pazienza. All’agognata pensione, grazie anche al riscatto della laurea, manca sempre meno, sempre meno…
Un altro piccolo capolavoro di Giuseppina Torregrossa, che, con il suo stile garbato e ironico, delinea personaggi della quotidianità, descrivendone nei minimi particolari vizi (tanti) e virtù (poche). Protagonista è il rassegnato ispettore Fagioli, un passato da ribelle che cerca ma non riesce a trovare nel lavoro di poliziotto la soluzione delle sue aspettative di giustizia: viene risucchiato in attività che non premiano la sua professionalità e, quando finalmente si batte cocciuto per risolvere il caso descritto nel romanzo, gli viene impedito di agire, secondo quanto insegna il ben noto motto latino “quieta non movere, mota quietare”: disilluso, cerca nel cibo e in Lidia le uniche fonti di consolazione nell’attesa dell’imminente pensione.
La Torregrossa è molto abile nel passare dalla descrizione del carattere del buon ispettore, sfortunato e malinconicamente rassegnato, alla sottile perfidia con cui si addentra nei meandri di tutt’altro mondo: quello in cui la fanno da padroni i cosiddetti potenti, rappresentati da un amministratore spregiudicato e sciupafemmine, sicuro sempre del proprio fascino di conquistatore, abituato a considerare le donne come oggetti da usare ed a zittire critiche ed insinuazioni.
Il romanzo è godibile e si legge con curiosità. Potrei aggiungere che si tratta di un tipico libro da portarsi in vacanza, per trascorrere qualche ora serena e tranquilla.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
"Chiedi al portiere" di Giuseppina Torregrossa e altri romanzi della scrittrice.
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