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IL FALLIMENTO DEL SOGNO AMERICANO
“Così vivono gli uomini di successo. Sono buoni cittadini. Sono fortunati. Sono riconoscenti. Dio sorride loro. Se ci sono dei problemi, si adattano. E poi tutto cambia e diventa impossibile. Più nulla e nessuno che sorrida loro. E allora chi riesce ad adattarsi? Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna, e ancora meno per l’impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l’impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l’incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti.”
Seymour Levov, detto lo Svedese, è stato durante la Seconda Guerra Mondiale un idolo per la popolazione ebraica di Newark: bello, intelligente, benestante, perfettamente integrato – nonostante le sue origini giudaiche - nella società americana, e in più un autentico fuoriclasse nel baseball e nel football. Nathan Zuckerman, il narratore, lo incontra quasi cinquant’anni dopo i tempi della propria adolescenza, nel corso della quale aveva avuto, come molti suoi coetanei, un’adorante infatuazione per il mitico Svedese, e – a sorpresa – lo trova una persona che, dietro la sua maschera di bonaria affabilità, rivela una superficialità e una banalità che, sbrigativamente, attribuisce alle conseguenze di una vita di agi e di successo, facile, viziata e senza intoppi. Ma quando, poche settimane dopo, nel corso di una riunione di ex compagni del liceo, Nathan incontra il fratello di Seymour e viene a sapere da lui non solo che lo Svedese è nel frattempo morto di cancro, ma che la sua vita apparentemente serena ed equilibrata è stata in realtà distrutta da un’immane tragedia familiare, egli capisce quanto sia stato erroneo il suo giudizio, e quanto poco siamo in grado di comprendere le esistenze degli altri. “Pastorale americana” diventa così una sorta di risarcimento postumo, il commosso e meditato tentativo di ricostruire la vita dello Svedese andando al di là delle apparenze e dei luoghi comuni, scavando nei meandri di una mente che è sempre rimasta un segreto per tutti, una cassaforte di pensieri, di dubbi, di emozioni e di rimorsi di cui Nathan, naturale alter ego di Roth in virtù del comune mestiere di scrittore, cerca pazientemente di trovare la combinazione. E siccome lo Svedese, per il suo ottimismo, la sua intraprendenza, la sua razionalità, la sua tolleranza e il suo autocontrollo ben rappresenta le virtù dell’uomo americano medio, la sua storia ben si presta ad essere letta come una metafora dell’America la quale, nel periodo intercorso tra la Guerra Mondiale e il Vietnam, ha perso progressivamente la propria innocenza e la propria fiducia nel futuro, precipitando in un circolo vizioso di dubbi sul proprio ruolo e di sensi di colpa per i propri misfatti, per quanto perpetrati in buona fede. Come è possibile che dal buono, altruista e pacifico Seymour sia potuta venir fuori, nonostante l’incrollabile dedizione paterna, una astiosa e violenta terrorista come la figlia Merry? In questo incredibile salto generazionale sta tutta l’irrazionale brutalità di un crollo di valori e di ideali che trasforma in pochi anni la “pastorale americana” del titolo nel suo inquietante contrario. Il romanzo è così diviso tra la lacerante nostalgia di una perduta età dell’oro e il tormento di un presente in cui il rimpianto scava voragini di angoscia come un silenzioso ma inguaribile tumore maligno.
La bellezza del romanzo di Roth non risiede solo nella sua valenza metaforica. Anzi, il suo aspetto forse più originale è il ruolo che esso attribuisce all’arte, e alla letteratura in particolare, di riuscire là dove la vita fallisce: nella comprensione degli altri. Se la pretesa di capire il prossimo è (come il narratore intuisce dopo la deludente cena con lo Svedese) “una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci”, allora forse solo la penna di uno scrittore, con la sua fertile sensibilità da rabdomante delle emozioni, può penetrare nei reconditi angoli dell’interiorità di un individuo ed esprimere quel groviglio indecifrabile di pulsioni contraddittorie che è la sua anima. E quella di Roth, il quale sa cogliere benissimo quegli attimi capaci di generare una catena di reazioni incontrollabili, tali da cambiare per sempre un’esistenza, è una penna cui si può affidare con la massima fiducia l’ambiziosa missione di metterci in condizione di vedere gli altri con la stessa, e forse (questo è il miracolo dell’arte) ancora maggiore, nitidezza di quanto siamo in grado di vedere noi stessi.
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Purtroppo altri libri letti di Roth non sono assolutamente a tale livello.
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