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Il grande Gatsby
 
Il grande Gatsby 2020-04-05 20:18:50 pierpaolo valfrè
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    05 Aprile, 2020
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Ruggenti anni Venti

Più che una nuova recensione sul Grande Gatsby, ce ne sono già una cinquantina su questo sito, vorrei condividere la testimonianza di una “conversione”. Ho visto infatti che i pareri su quest’opera sono abbastanza discordanti anche se, a guardare la votazione media, prevalgono i giudizi positivi.

Da ragazzo, troppo presto, mi capitò di vedere il film del ’74, quello con Robert Redford, mi annoiai a morte e forse questo fu sufficiente per tenermi alla larga dal romanzo per tantissimo tempo. Ho visto poi anche il film con Di Caprio, del quale però ricordo solo la sua grande bravura di attore. Bravura che purtroppo ha condizionato anche la mia successiva lettura, non riuscendo a immaginarmi il protagonista in modo diverso.

La spinta decisiva me l’ha data Piero Dorfles. Nel suo elenco dei “Cento libri che rendono più ricca la nostra vita”, il capolavoro di Fitzgerald era una mie delle lacune più vistose. Ma, a riprova che ancora non ero del tutto convinto, invece di acquistare il libro, ho scelto di ascoltarlo in audiolibro, basato sulla traduzione di Roberto Serrai per Marsilio (2011). Sulla traduzione ritorno tra un attimo.

Prima voglio dire che questo romanzo mi è davvero entrato dentro. La prosa di Fitzgerald, certo, lo stile lodato anche dai lettori più critici, il linguaggio cinematografico, il ritmo tumultuoso. Eppure…
Eppure questo romanzo ha una poesia, qualcosa che ti colpisce nel profondo che sarà difficile da dimenticare. Trovo infatti che senza il legame con il contenuto, la prosa di Fitzgerald, bella ed efficace quanto si vuole, rischierebbe di risultare uno sterile esercizio di stile.

Commuove il fallimento esistenziale di un uomo con una vitalità così grande e disperata, un personaggio dal quale non potremmo sentirci più lontani, quando è all’apice del suo potere, e che tuttavia ci conquista nel momento in cui mette a nudo l’origine della sua “fame”, la condanna ad avere successo per poter coltivare l’illusione di inseguire i propri sogni e il bisogno di essere amato. Una grande penna, certamente, ma dietro la quale c’è anche il graffio dell’acuto osservatore sociale e la sensibilità del poeta.

Ora che Il grande Gatsby è uscito finalmente dalla mia wishlist, mi ripropongo di leggere altre opere di Francis Scott Fitzgerald, perché questa lettura mi ha fatto scoprire una personalità affascinante. Mi sono infatti appuntato anche il saggio di Pietro Citati “La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald”, che può aiutare a capire meglio l’universo dello scrittore.

Dicevo della traduzione. A testimonianza di quanto questo romanzo mi abbia conquistato, dopo averlo ascoltato in audiolibro, l’ho anche acquistato nell’edizione proposta dal Corriere della Sera nei “Classici” in uscita in queste settimane. La traduzione è quella storica di Fernanda Pivano.

Come ricorda Roberto Serrai nell’interessante intervista che conclude l’audiolibro da me ascoltato, c’è una sostanziale differenza di approccio tra il modo di tradurre più recente e quello in voga alcuni decenni fa. Secondo Serrai, ai tempi della Pivano c’era molta cura nel calare il romanzo nell’ambito culturale del lettore italiano, cercando di attutire la distanza culturale rispetto al linguaggio dell’opera originale. Al giorno d’oggi, invece, si ritiene che debba essere data la massima fedeltà al testo originario, anche quando questo possa comportare un maggiore “straniamento” per il lettore italiano. Se ho inteso bene, si tratta di un diverso modo di rispettare il lettore: allora in modo più “protettivo”, oggi in modo più “trasparente”.

E’ un tema, questo delle traduzioni, che mi sta appassionando. L’ho constatato anche recentemente con La peste di Camus, che ho letto in una traduzione recente (Yasmina Melaouah, per Bompiani, 2017) e parzialmente ascoltato su Rai Play Radio, in una lettura di Remo Girone che direi basata sulla versione di Beniamino Dal Fabbro del 1948.

Non sempre si ha il tempo, la voglia o la capacità di affrontare un testo in lingua originale. Trovo che il traduttore abbia una grande responsabilità ed un grande privilegio: quello di calarsi interamente nell’anima dell’autore, per offrirci la sua opera nel modo più limpido possibile.
Un bellissimo mestiere.

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Commenti

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siti
06 Aprile, 2020
Ultimo aggiornamento:
07 Aprile, 2020
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Ciao Pierpaolo, mi piace il tuo approccio alla lettura, agli autori, ci vedo forse un po' del mio essere lettrice, per quanto concerne le tue riflessioni sulla piacevolezza della lettura, sull'incontro con l'autore, sulle variabili che l'accompagnano e sulle possibilità infinite di riscatto che possiamo escogitare mi trovi ancora più d'accordo, soprattutto sul tempo che dovremmo dedicare ad una giusta e ponderata scelta editoriale e alla superficialità ( legata al fattore tempo) che spesso segna negativamente opere tradotte che ci arrivano per le mani senza capire quanto siano state tradite.
Pierpaolo, una scrittura bellissima e ottimamente resa dalla traduzione.
Se non l'ho ancora fatto, voglio segnalarti una interessante breve ma intensa biografia che P. Citati ha scritto riguardante l'autore e signora. Mi ha aiutato parecchio a contestualizzare meglio le opere nell'esperienza esistenziale dello scrittore.
Caio Laura, grazie, a presto!
Sì Emilio, già segnato questo libro, spero di riuscire a leggerlo
Ciao Pier, hai un modo davvero originale e profondo di leggere un'opera e un autore.Hai fornito un pdv personale e nuovo di un romanzo che amo e sul quale è stato scritto di tutto...
ciao Bruno, grazie!
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