Mi limitavo ad amare te
Letteratura italiana
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Quale destino
Sarajevo, 1992, una città assediata sotto il tiro dei cecchini appostati, bambini ospitati in un orfanotrofio in attesa di una madre che non tornerà, un tempo sospeso di cui non si ricorda nulla, orfani alla ricerca di cibo, …” con proiettili in tasca che scambiano come figurine”…, …”immersi in un’ aria da terremoto”…, spari e bombe, che ..” non sono ne’ fantasmi ne’ eroi, solo comparse di una guerra in atto”...
Omar, dieci anni e nessun amico, Senadin, suo fratello, che cerca di consolarlo, Nada, una bambina senza un anulare che continua a disegnare, Danilo, quattordici anni e una promessa fatta per il futuro, vivono una condivisione casuale e necessaria, ciascuno con una storia, un viaggio della speranza che li sottragga a morte certa trasferendoli in un paese, l’ Italia, in grado di salvarli, una fuga da un luogo non luogo dove un giorno forse ritorneranno, assenze condivise e un desiderio che si è fatto legame ..
…” è che non ci siamo scelti, per caso sono stata testimone del suo dolore ed è bastato ad unirci”…
Bambini dentro la guerra che non hanno scelto di venire al mondo, una sospensione tra vita e morte indirizzata da amore, casualità, indifferenza.
Madri e figli, un legame forte e indiscutibile, due volte infranto, madri assenti, altrove, morte ammazzate, suicide, sacrificate, percosse, a loro volta figlie, un amore perduto, svanito, da riallacciare, il desiderio di rientrare nel grembo materno, la certezza di non avere avuto una madre, abbandonati ingiustificatamente, la rabbia e il risentimento nella propria solitudine altrove.
Ciascuno vive e racconta una porzione di storia, quella vita spezzata sul nascere, destino già scritto, percorso diverso, accettando o rifiutando il se’.
Omar sconterà l’ ossessione di riabbracciare una madre svanita nel nulla, Nada non ha mai conosciuto la propria madre, vive in simbiosi con il fratello Ivo che si trova al fronte, Danilo è partito sospinto dal desiderio di una genitrice che ha pensato alla sua salvezza.
In Italia saranno ospitati da un orfanotrofio in attesa che la guerra finisca, sperando in un ritorno più volte rimandato, anche quando saranno deposte le armi, un ritorno che non ci sarà o sarà diverso da come lo si credeva, che non avrà più niente da dare. E allora quella terra lontana sarà la propria terra, il presente e il futuro in una nuova famiglia, la scuola l’ inizio di altro, l’ accettazione della solitudine restituirà un senso perduto.
Che cosa sarà di questi bambini nel corso degli anni, che cosa rimarrà delle macerie della loro infanzia, dei luoghi della memoria, dei legami spezzati, dei sogni, della solitudine condivisa, orfani prematuri, sottratti a una famiglia che non è mai stata, ingoiata dalla crudeltà delle bombe, con padri altrove o semplicemente deposti?
Che cosa li ha resi quello che sono, passato, presente, traumi, ricordi, paura, rabbia, risentimento, emozioni, sentimenti, la dolcezza di uno sguardo, la tenerezza di un incontro, la condivisione di una sofferenza, il rifiuto di una nazione che non si sente propria, una solitudine acclarata, altri giorni e altri legami, una nuova lingua, come sopravvivere alla propria madre e crescere altrove?
Tutto e’ cambiato e in parte sopravvissuto a se’ stesso, alcuni traumi rimangono, c’è chi ancora attende e ha smesso di vivere, sopraffatto dalla rabbia ( Omar ), chi si è sottratto al passato, coltivando le proprie passioni e aprendosi a orizzonti diversi ( Nada ), chi ha accettato una nuova famiglia ( Senadin ), chi si rende conto tardivamente di quanto poco conosca di una vita infarcita di errori, indifferenza, banalità, estraneo ai sentimenti, ai sogni, alle sofferenze altrui (Danilo ).
Rimane quel sentimento condiviso, anche se oggi non è come prima, in primis dentro di se’, persone che appartengono a categorie diverse,…” separate da questa cesura”…, un affetto germogliato da bambini che permetterà di vivere insieme ma che non terra’ uniti. Contemporaneamente c’è una nuova madre che non è mai stata figlia, che lo è diventata quasi per caso, e un infante che non possiede tracce di memoria ma un presente e un futuro da scrivere….
“ Mi limitavo ad amare te “ è un romanzo stratificato che nasce da una guerra insorta in periodo di pace a tratti descritta in tutta la propria crudezza, un conflitto che genera altro, l’ affannoso protrarsi della sopravvivenza nel senso di una vita, scoppiata, persa, da ricostruire, capire, infrangere, metabolizzare.
L’ esistere, la condivisione, l’ amore, per una madre, per un figlio, per la famiglia, per gli affetti più cari, per se’ stessi, è destituito agli albori della vita medesima inseguendo i giovani protagonisti in un viaggio della disperazione e della speranza, un percorso del tutto personale, monco, ondivago, anche autodistruttivo, rigettando la vita medesima, o semplicemente non riconoscendola e non legittimandola, immersi nella fragilità di una mancanza definitiva, privati delle sue coordinate primarie.
È allora che diventa fondamentale la semplice testimonianza di un dolore condiviso, un legame che nasce e si mantiene in un percorso di sofferenza.
Il romanzo di Rosella Postorino non eccelle per picchi poetici e letterari, a volte la trama è spezzettata in eccesso e perde fluidità, ma è un testo che richiede attenzione, pazienza, attesa, pause, riflessione, un racconto di relazioni e archetipi relazionali, che privilegia microstorie e soggettività cangianti all’ interno di un’ unica voce e dei significati di un’ unica storia….
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Scappare dalla guerra, e poi?
"Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te." Izet Sarajli
La guerra in Bosnia, ed in particolare l’assedio di Sarajevo, fanno da sfondo a questo romanzo che ci racconta la storia ed il rapporto tra quattro ragazzini scappati da una Sarajevo nella quale risuonano le bombe.
Vivono tutti in un orfanotrofio e si decide di tentare di metterli in salvo facendoli scappare in Italia con un pullman che riesce superare tra non poche difficoltà tutti i controlli di sicurezza.
Tra questi bambini ci sono i due fratelli Sen e Omar, la cui madre li andava a trovare tutte le settimane e che Omar ricorda averlo incitato a scappare in occasione dello scoppio di una granata e che, da allora, è sparita. Omar non smetterà però mai di crederla ancora viva e di aspettarla.
Poi c’è Danilo, un ragazzo leggermente più grande affidato dalla famiglia al pullman nella speranza che si salvi almeno lui.
E infine Nada, niente, come dice il suo nome, con gli occhi azzurri e alla quale manca un dito di una mano. Orfana di entrambi i genitori, ha smesso di aspettarsi promesse mantenute dalla vita, una delle tante le viene fatta proprio da Danilo, durante il viaggio. Ha un fratello più grande, Ivo, che rimane in Bosnia per arruolarsi a combattere.
Tra i tre (Sen rimane sempre un po’ sullo sfondo) nasce un bel sentimento di amicizia, seppure diversamente declinato, che non si perde quando arriveranno nell’orfanotrofio in Italia.
La madre di Danilo verrà poi in Italia dalla Bosnia e lo porterà a vivere con lui, Sen e Omar verranno adottati. Nada, di carattere complesso, non troverà una famiglia disponibile ad adottarla. I protagonisti crescono e la storia procede con ciascuno di loro che seppur in modo diverso si porta dietro il suo passato.
E’ ben costruito narrativamente il diverso adattamento dei quattro (includendo anche Sen) alle vicende personali ed è proprio questa parte del racconto a mio parere ad indurci alla riflessione su quanto sia difficile coniugare il passato con il presente, gli affetti che non si vogliono abbandonare anche se non ci sono più e quelli nuovi che la vita ci offre. E anche quanto il passato incida sul presente.
Dobbiamo essere felici per forza o è un nostro diritto cercare chi ci ami come noi crediamo sia giusto?
E ancora: quanto un paese nuovo ed i suoi abitanti possono aiutarci a dimenticare il passato se noi vogliamo chiudere con la nostra storia una porta da non aprire mai più? O solo chi ha vissuto storie simili può davvero capirci e consentirci una giusta elaborazione del nostro tempo passato ed una serena accettazione del presente?
Le storie dei quattro protagonisti saranno alla fine tutte diverse. Il finale, che vuole riappacificare tutti pur in un nuovo equilibrio, mi ha lasciata insoddisfatta, forse mi attendevo una conclusione meno frettolosa, ma tant’è.
Ho inoltre trovato ben fatta la descrizione della famiglia adottiva di Sen e di Omar, così attaccata alla religione da renderla totalizzante, anche a scapito di chinarsi ad ascoltare le necessità dei figli che hanno adottato. Triste realtà purtroppo.
Il romanzo si inserisce nel solco delle riflessioni su adulti e bambini scappati dalle guerre, non è né il primo né, credo, sarà l’ultimo. Già allo Strega del 2022 l’argomento era rappresentato. Questo “Mi limitavo ad amare te” non rimarrà negli annali della letteratura, è tuttavia di piacevole lettura.