Narrativa italiana Romanzi Occidente. Il diritto di strage
 

Occidente. Il diritto di strage Occidente. Il diritto di strage

Occidente. Il diritto di strage

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In "Occidente" Ferdinando Camon esplora - come in una allucinante discesa agli inferi - le ragioni profonde del terrorismo. Non punta tanto alla restituzione immediata del comportamento di una formazione neonazista, uno di quei gruppuscoli tristemente famosi per il loro coinvolgimento nella strategia del terrore che ha insanguinato l'Italia. A interessarlo sono piuttosto le motivazioni psicologiche più profonde e inconfessabili del suo leader: una maschera che s'imprime nella memoria anche per il suo rifiuto nevrotico della morte fisica, della morte 'naturale', che si sublima in una missione mortifera, in grado di arrestare il progresso collettivo e al tempo stesso di assicurargli sopravvivenza perenne.



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Occidente. Il diritto di strage 2009-12-01 13:00:13 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    01 Dicembre, 2009
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Un viaggio nell'incubo

Perché fra i non pochi libri che ha scritto mi sono procurato e ho letto Occidente? Camon ha la straordinaria capacità di analizzare i fenomeni non superficialmente, ma cercando di capire i motivi e questo considerando tutta una serie di variabili che vanno dalla situazione contingente in cui hanno iniziato a manifestarsi alla psicologia degli uomini che insieme sono stati soggetti attivi e passivi dell’accadimento.

Il nostro paese è stato travagliato da un lungo periodo di terrore, di matrice di estrema destra e di estrema sinistra, che necessita di una comprensione, per capire il perché, per trovare una giustificazione logica a un qualche cosa di illogico, per sapere, onde evitare che questi anni di piombo si possano ancora ripresentare.

Il romanzo di Camon, difficile soprattutto perché in una persona normale certi comportamenti e alcune motivazioni entrano in aperto e doloroso contrasto con la sua natura, è una discesa all’inferno per cercare di comprendere i motivi di questo orrore.

E’ un viaggio nell’incubo, nella follia di menti che, sconvolte, hanno con le loro azioni sconvolto un paese e la vita dei suoi abitanti.

Se con La vita eterna il racconto dell’autore era improntato a un velo di pietà per un mondo definitivamente sparito, qui a volte emerge la rabbia e non c’è la minima assoluzione per questi terroristi, anzi la loro condanna è nelle stesse parole che Camon ha fatto loro dire.

Non c’è nulla di più drammaticamente conclusivo dei concetti espressi da Franco, il capo dei neri, un individuo che teme la morte, anzi il solo pensiero che un giorno tutto dovrà finire gli rende impossibile la vita; e allora si fa lui portatore di morte, indiscriminatamente la esporta verso ignari cittadini, ritraendo il sottile piacere di liberarsi momentaneamente del suo incubo concretizzandolo in altri.

Per far questo si costruisce anche un’idea che sia lo specchio della coscienza, così da giustificare il suo odio e il suo crimine. In questo mondo ci sono gli eletti e lui è uno di questi, mentre tutti gli altri sono comparse inutili, o meglio sono utili quali vittime sacrificali per la purificazione di un sistema in cui l’apoteosi è solo il senso di onnipotenza del carnefice, in una convulsione di egocentrismo che prevede solo la sua esistenza.

E’ inutile dire che in simili individui non esistono né la pietà, né la consapevolezza dei propri limiti; uccidere diventa così una necessità quale respirare per vivere e le loro stragi non sono considerate atti criminosi, trovando giustificazione in una contorta e aberrante filosofia che non è alla base del loro comportamento, ma è stata adattata appositamente per fornire una motivazione dello stesso.

In realtà gente come Franco è il ritratto dell’insoddisfazione per ciò che realmente si è, rispetto a ciò che si vorrebbe essere, è la figura di frustrati, pavidi e in rotta con se stessi, ma che trovano sfogo al rancore che li pervade scaricandolo su altri, del tutto inermi ed incolpevoli, e proprio per questo idonei capri espiatori.

Camon ci ha fornito un quadro, un’analisi attenta e apolitica di un movimento, sondando gli aspetti psicologici dei componenti e mettendo a nudo l’altra verità che è in noi, quella paura ancestrale che a volte, come nel caso specifico, può portare a uno stato di follia individuale e collettiva. L’onnipotenza bramata dall’uomo è quindi il segno manifesto della sua debolezza, l’uccisione di altri, del tutto innocenti, è rivelatrice di una sete di vendetta per la propria condizione di immaturità.

Ma il terrorismo è anche rosso ed ecco allora il narratore che ci parla di Miro che, a differenza di Franco, non sogna di distruggere una società, ma brama cambiare un sistema, un fine da raggiungere con qualsiasi mezzo, anche con l’omicidio di coloro che rappresentano la struttura portante dello stato.

E’ una figura in apparenza solo migliore di quella di Franco, se non altro perché non c’è una vocazione nichilista, ma anche qui esiste quel diabolico potere, che si autoalimenta, di poter disporre della vita d’altri, una frenesia che sconvolge e travolge.

Nel caso di Franco è la visione dell’individuo che prevale, in quella di Miro invece è quella della massa, un fiume che avanza e che spezza tutto.

Nel primo si potrebbe dire che i mezzi sono il fine, nel secondo i mezzi servono a raggiungere il fine, ma in entrambi è presente un egocentrismo che li porta a considerarsi superiori a tutti e quindi a decidere anche per gli altri. E non è un caso se in una battaglia cittadina quasi si rendono gli onori delle armi.

Occidente è un romanzo sì difficile, ma è anche un capolavoro.

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