Pagano Pagano

Pagano

Letteratura italiana

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Il volume contiene una prefazione di Gordiano Lupi e due postfazioni di Francesca Mazzucato e Patrick Karlsen. Pagano è la risposta a una serie di domande. Come vivono gli intellettuali del nostro tempo? Qual è la condizione dei letterati onesti, nella popolosa giostra dell’industria culturale? Qual è il ruolo giocato dallo Stato e dalla morte della patria nelle vite degli intellettuali e dei letterati postmoderni? Quali sono le reali condizioni contrattuali proposte dalle aziende agli umanisti, e a quale prezzo si può conquistare autonomia e indipendenza? Che senso ha studiare storia quando la storia d’un popolo non è più condivisa da mezzo secolo abbondante? Che significa “espressione del territorio”? Cosa rimane, infine, d’una generazione già vecchia a trent’anni, scavalcata da cambiamenti epocali, frastornata dall’impossibilità di diventare adulta, costretta soltanto a conservare? Pagano è il credo di chi è estraneo alla corruzione e alla decadenza, e non vuole smettere di combattere. All’ultimo sangue.



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Pagano 2007-10-21 10:12:49 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Ottobre, 2007
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Una lettura indispensabile

Pagano, abitante dell’isola di Pag, in Croazia, e come tale con quel senso di isolamento dal mondo esterno che è proprio di chi vive in un luogo circoscritto dal mare.

Ma Pagano anche secondo il vero senso della parola, cioè chi non segue la morale corrente, soprattutto quella religiosa.

In entrambi casi l’individuo è solo, isolato, una sorta di corpo avulso da una realtà rifiutata, da un mondo in cui l’omologazione è la costante a cui l’esistenza è finalizzata.

Chi non accetta il sistema, da chi lo presiede viene definito un sovversivo, o peggio ancora, secondo l’ottica spregiativa, un anarchico.

Gianfranco Franchi è un pagano, perché rivendica la libertà insita nell’individuo al momento della nascita, perché non accetta che ci sia un mondo di tanti uguali omogenei condotti per mano da alcuni diseguali che si avocano il diritto di determinare il corso della nostra vita.

E’ sempre stato un “ribelle”, fin dalla scuola, ma ora la sua protesta è più universale, e spazia in tutti i campi, ivi compresa la cultura, rivendicando quell’autonomia di giudizio propria di ogni essere libero e non di un suddito inconsapevole o accondiscendente.

Non sto a spiegare la trama, se di trama si può parlare in un libro che è una via di mezzo fra un lungo monologo, una riflessione e anche un’autobiografia.

Che le pecche del sistema evidenziate siano note non costituisce certo motivo di originalità, ma il punto di vista su cui basa l’osservazione rientra nel puro spirito anarchico, senza che però ci sia da temere un’irrazionalità nell’affrontare le varie tematiche.

Franchi è sincero e si proclama seguace di Max Stirner, uno dei padri dell’anarchismo, le cui idee possono essere o meno condivisibili, ma che non escludono l’esattezza della valutazione della situazione.

E’ uno scenario, in cui la consapevolezza di non poter accettare uno stato di fatto che non può che peggiorare, porta l’autore a quell’isolamento che lo fa sentire straniero, anzi pagano, in mezzo ai suoi simili, ombre che si agitano convulsamente per realizzare fini che non sono loro.

E’ un mondo che ancora riesco a vedere in modo distaccato, perché ciò che ho fatto ho fatto, nel senso che la mia vita si avvia verso quella fase discendente della parabola che conduce alla meta comune che tutti cerchiamo di ignorare.

Ma un giovane, perché Franchi è giovane, che aspettative può avere da un mondo senza futuro?

Non può pertanto osservare in modo distaccato, perché la sua esistenza come uomo e intellettuale è totalmente sbarrata dal muro di convenzioni, dall’incapacità e dall’ignoranza dilaganti, dall’atteggiamento dei più che, credendo di vivere al meglio, vegetano.

E’ giovane Franchi, è disilluso, si sente isolato e allora escono dalle pagine del suo libro tutte le rabbie accumulate e che si vanno accumulando. Ce n’è per tutti, anche nella ricerca storica dei motivi per cui si è arrivati a tanto, e spesso ho avuto modo di concordare con le cause da lui identificate, ma soprattutto rimpiango di non avere più quella forza interiore che lui tramuta in un grido lancinante nel grigiore del silenzio, un urlo di libertà, fermo e al tempo stesso inerme, di chi dell’anarchismo ha fatto uno sbocco esistenziale.

Pagano non è un libro da leggere come tutti gli altri, non sono pagine che servono per trascorrere il tempo, non sarà certamente osannato dai critici asserviti al sistema, ma è una grande riflessione sul destino di questa umanità, e pertanto richiede prima di tutto l’umiltà di accostarvisi come a una verità rivelata, e poi la ponderazione dei vari passi, il riconoscersi in ciò che siamo diventati, cioè sudditi inconsci di un mondo in cui la legge naturale dell’uomo che nasce libero è violata a favore chi nasce più libero degli altri.

Dopo queste premesse, è lecito chiedersi se Pagano sia un bel libro e la mia risposta è che Pagano è un libro necessario, anzi indispensabile se l’uomo vuole ancora sperare in un mondo diverso.

Leggetelo, ma soprattutto meditatelo, perché la vita è solo nostra e non possiamo permetterci il lusso di devolverla agli interessi altrui.

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