Narrativa straniera Romanzi Le intermittenze della morte
 

Le intermittenze della morte Le intermittenze della morte

Le intermittenze della morte

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In un non meglio identificato Paese, allo scoccare della mezzanotte di un 31 dicembre, s'instaura l'eternità, perché nessuno muore più. L'avvenimento suscita a tutta prima sentimenti di giubilo e felicità, ma crea anche scompiglio in ogni strato sociale: dal governo alle compagnie di assicurazione, dalle agenzie di pompe funebri alle case di riposo e, soprattutto, nella chiesa, la cui voce di protesta si leva alta e forte: senza morte non c'è più resurrezione, e senza resurrezione non c'è più chiesa. Dopo sette mesi di "tregua unilaterale", con una missiva indirizzata ai mezzi di comunicazione, la morte dichiara di interrompere quel suo "sciopero" e di riprendere il proprio impegno con l'umanità.



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Le intermittenze della morte 2023-01-02 12:47:40 68
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68 Opinione inserita da 68    02 Gennaio, 2023
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Morte umanizzata

Un giorno, all’ interno dei confini di uno stato imprecisato, la morte sospende improvvisamente la propria presenza assentandosi dalla vita e lasciando spazio all’ immortalità. Quale meraviglia e sbalordimento, feste, bandiere esposte, l’ accostamento al divino, l’eternità come ricompensa, tutti i problemi risolti.
Ma come pensare di vivere per sempre, ciascuno è la propria finitezza, nuovi dubbi si pongono, sociali, economici, politici, religiosi, etici, filosofici,.
Un idillio di breve durata, i moribondi rimandano la propria fine, la Chiesa non ha più senso, niente resurrezione e aldilà, le agenzie di pompe funebri inoperose, Ospedali e istituti geriatrici sovraffollati, che farsene di una moltitudine di anziani da accudire, il sistema pensionistico in crisi, e le assicurazioni sulla vita?
Una gioia tramutata in angoscia ed emergenza, lo stato non sa come gestirla, c’è chi porta i propri cari a morire negli stati confinanti, la maphia controllerà e gestirà il nuovo business, c’è chi vorrà morire ed è destinato all’ immortalità, alcuni morti viventi preferiranno il suicidio.
Economisti, filosofi, esperti di ogni genere interrogati su soluzioni possibili, una calamità che riguarda presente e futuro.
Il paese naviga in cattive acque, potere confuso, autorità diluita, valori invertiti, perdita del senso di rispetto civico dilagante, stati vicini insorti, si cerca di ricostituire l’equilibrio socio-politico, ma la vita eterna è un problema irrisolvibile.
Una società divisa tra la speranza di vivere per sempre e il timore di non morire mai, un dibattito filosofico in atto, la morte sarà la stessa per tutti gli esseri viventi, ciascuna morte è personale e particolare, al di sopra ce ne sarà una più grande, quella che si occupa dell’ insieme degli umani, e dove è finito il senso normale di concedersi a essa quando la propria ora è giunta?
Poi, un giorno, la morte ritorna e tutto parrebbe ricomporsi, ma questa volta invia delle lettere viola, otto giorni per lasciare la vita, consegne puntuali come i decessi e nessuno è pronto a morire.
Quale il suo volto, chi si nasconde dietro queste missive, sicuramente una donna, da ricercare, ma in che modo, perizie calligrafiche, ipotesi, identikit, non ha un volto se non la propria essenza, non è selettiva, non ha preferenze, da sempre impegnata nel proprio compito.
Se qualcuno, un giorno, non risponderà alla sua chiamata si sentirà sola, derubata, inascoltata, infelice, una debolezza che ha qualcosa di umano, creando un volto da amare, aprendosi al senso di finitezza e al miracolo della vita, osservando l’ affetto che la circonda ma che non la riguarda, inoltrandosi nella profondità dell’ arte, ascoltando la dolce melodia di un violoncello, respirando il profumo di un sentimento nuovo, con la possibilità di sottrarsi e sottrarre a un destino già scritto.
Il romanzo di Saramago, per buona parte piuttosto monocorde, si apre a un epilogo sorprendente dopo un flusso di ossessioni protratte, di eventi razionali e deliranti, riflettendo su temi riguardanti presente e futuro prossimi ( l’ invecchiamento progressivo della popolazione, una massa di anziani da accudire, i problemi pensionistici ) per affrontare un dato di fatto, il senso di finitezza, l’ inevitabile condanna sancita dalla nascita e il desiderio, poco condivisibile ma sempre più radicato, di immortalità.
La morte, quella vera, un giorno si presenterà, non è dato sapere quando, la vita eterna sarebbe individualmente inaccettabile, socialmente impossibile, economicamente insostenibile, nel frattempo si può rimandare la propria condanna.
In che modo? Respirando i giorni nella propria interezza, concentrandosi sul presente, allontanando le voci di una fine imminente, concedendosi alla forza dell’ amore e dell’ arte, alimentando passione e desideri, disorientando e rimandando il temuto appuntamento prestabilito, consapevoli del tempo nel tempo, in una qualità di vita che allontani il desiderio impossibile e inopportuno di aggiungere giorni infiniti totalmente svuotati di senso.

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Le intermittenze della morte 2022-01-08 06:54:50 siti
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siti Opinione inserita da siti    08 Gennaio, 2022
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La porta del labirinto

Partendo dall'assunto che l’unica certezza che abbiamo, nella nebulosa che ci avvolge - una trappola come il “labirinto senza porte” che è la vita - è la morte, Saramago si diletta nel sospenderla per alcuni mesi, e dopo averne studiato l’effetto, soprattutto sociologico, nel cosiddetto consorzio umano, a ripristinarla ma con modalità diverse.

Il 31 dicembre la morte cessa di manifestarsi, lascia nel limbo i morituri, i malati terminali e gli anziani oltre misura per lo più; a pensarci, senza ipocrisia, tutto il fardello umano che faticosamente la società civile riesce a gestire: malattia e morte con le implicazioni connesse di accettazione, cura, sodalizio, compassione, benché ci si sforzi, rappresentano ancora eventi che fanno emergere tutto il limite degli uomini, persi nella sete di vita che malattia o vecchiaia dei propri cari paiono cristallizzare. È l'eterno conflitto della vita contro la morte, il risultato sappiamo tutti qual è. L’egoismo trionfa e apre la pista alla vera morte, quella dell’anima, per poi lasciare il passo a “sora nostra morte corporale”.

Questa prima ipotesi surreale, affascinante quanto le altre di Saramago, una per tutte la cecità lattea, ha il dono di immergerci in una serie di riflessioni che ci portano contestualmente a indagare sull’essenza umana, sul comportamento del singolo e di riflesso sulle ricadute che esso ha sulla rete di relazioni sociali. Vengono inscenati diversi quadri consequenziali alla diretta assenza della morte: l’eutanasia, il sotterfugio, la “maphia” (ovvero un sistema di gestione della impossibilità di morire appaltata dallo stato a un non stato), insomma situazioni che non hanno nulla di surreale, e che al contrario accompagnano l’amara constatazione che purtroppo ad esse siamo già pervenuti. Una riflessione quindi sulla difficile coesistenza uomo-morte che passa dall’assoluta negazione della stessa morte per giungere all’altrettanto scontata verità che tutto il nostro sistema sociale è basato su di essa. Si pensi solo alle religioni: è nota infatti la sensibilità dell’ateo Saramago verso queste manifestazioni culturali. Insomma, tutta la prima parte del romanzo merita davvero la lettura.

L’ipotesi successiva, passati alcuni mesi, è che la morte si manifesti nuovamente, portatrice ancora una volta di esistenziali sconvolgimenti, come è nella sua natura, e qui la narrazione inizia ad arrancare fino a stagnare in una rappresentazione, dai toni squisitamente teatrali e barocchi, della solitudine della stessa morte che, nella sua svolta di entità ormai personificata, si ritrova a gestire un errore procedurale. Non sempre i piani vanno come si vorrebbe e la soluzione a questa impasse è tutto tranne che ciò che ti aspetteresti da Saramago! Finale per me scontato e deludente che forse sarà meglio apprezzato da chi crede ancora “amor omnia vincit”.

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Cecità, di gran lunga più meritevole
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Le intermittenze della morte 2020-05-12 23:07:42 aislinoreilly
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aislinoreilly Opinione inserita da aislinoreilly    13 Mag, 2020
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Il lato umano della morte

-ATTENZIONE SPOILER-

In una nazione ignota, in un tempo passato a noi sconosciuto, la morte smette di svolgere il suo temuto lavoro. L’unica cosa che sappiamo è che allo scattare della mezzanotte del 1° Gennaio, la gente smette di morire, solo lì. Al confine e nei Paesi circostanti le cose funzionano esattamente come sempre, niente sembra essere cambiato. Questo avvenimento provoca una catena di reazioni, a partire dalla cittadinanza che, euforica, scoppia in moti di patriottismo e festeggia la sua apparente salvezza. I problemi, però, non tardano ad arrivare: chi doveva morire ora si trova in un perenne limbo, gli anziani aumentano sempre di più, le compagnie d’assicurazione chiudono i battenti, le pompe funebri ripiegano sui funerali degli animali domestici. Anche la Chiesa sta attraversando un brutto momento, senza la morte non c’è resurrezione e non c’è salvezza eterna dell’anima. Nei sette mesi che seguiranno si instaurerà un labile equilibrio grazie alla scoperta che, non appena giunte oltre confine, le persone tornano a morire come sarebbe dovuto essere. Un giorno, però, il direttore della televisione riceve una strana lettera viola, la lettere scritta dalla morte stessa. Ella dà comunicazione del fatto che il giorno successivo tornerà ad operare come sempre, prendendosi le anime di tutti quelli che devono trovare la loro strada verso l’aldilà. La notizia devasta la nazione intera, ma non c’è molto da fare. L’unico compromesso che viene raggiunto è che ella dia comunicazione agli sfortunati, attraverso una missiva viola, del prossimo trapasso una settimana prima del triste avvenimento. La morte in cuor suo credeva di aver avuto una buona idea, in quel modo ognuno avrebbe potuto aggiustare le cose per poter morire serenamente. Chiaramente, conoscendo poco l’essere umano, sottovalutò le reazioni che furono tutt’altro che ponderate. Chi riceveva la tanto odiata lettera, non pensava di certo ai doveri! Ma una lettera non riusciva proprio a recapitarla, tornava sempre indietro misteriosamente. Così decise di verificare di persona chi fosse il fortunato che sarebbe già dovuto essere morto, ma continuava a vivere. Era un violinista, modesto, solitario e dedito alla musica. Lo spiò senza farsi vedere, poi decise di consegnargli la lettera personalmente, ma in “veste ufficiale”. Si presentò al violinista sotto forma di una bellissima donna, provocando il suo inevitabile interesse. Ma la vicinanza agli esseri umani la influenza e la rende più umana a sua volta: proverà finalmente cosa sia l’amore e rinuncerà al suo ruolo per restare al fianco del musicista.

José de Sousa Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, dà al Mondo questo splendido romanzo nel 2005. Nel contenuto e nella forma si riconosce perfettamente lo stile narrativo di Saramago. Un esempio è la quasi totale mancanza di punteggiatura, la poca che troviamo viene inserita in modo singolare e anticonvenzionale. I dialoghi non sono “contrassegnati”, si alternano all’interno della narrazione stessa, creando un flusso di coscienza quasi ininterrotto. Si è sempre dichiarato ateo e il suo scarso apprezzamento per la Chiesa si percepisce abbastanza facilmente. La morte serve, soprattutto per incutere timore e ottenere devozione dai fedeli. Senza morte, non c’è nemmeno un giudizio finale, e la distanza fra Dio e l’uomo aumenta inesorabilmente. La Chiesa non è felice per la guadagnata immortalità perché perde l’appoggio dei suoi fedeli. Ma Saramago ci tiene a precisare che il romanzo non vada visto come una riflessione filosofica sulla vita e sulla morte, quello che viene narrato è solo una situazione assurda narrata con tono ironico e sarcastico. Non mancano nemmeno le critiche alla politica che arriva addirittura a patteggiare con la Maphia (chi leggerà capirà). Insomma, in questo libro c’è veramente di tutto. La cosa bella è che non c’è confusione e disorganizzazione, tutto fila liscio dalla prima pagina all’ultima. La morte è la vera protagonista, tutto quello che accade prima della sua entrata in scena è solo un contorno, non ci sono eroi, tutti sbagliano e tutti vengono giudicati dall’autore stesso attraverso la sua voce narrante. La morte di Saramago è una creatura ultraterrena scheletrica, riservata e donna. Ha sempre svolto il suo lavoro uccidendo gli esseri umani, ma solo grazie al violinista si rende conto di non averli mai realmente conosciuti. Non sono solo involucri di carne che hanno una scadenza che lei deve fargli rispettare, sono un Mondo affascinante che non ha ancora esplorato. Così, come un bambino curioso che scopre ciò che lo circonda, la morte scopre la vita. Se non è poesia questa, ditemelo voi.

Inutile dire che è un libro che si legge da solo, a parte il “trauma” iniziale del peculiare stile narrativo di Saramago, si fa presto ad abituarcisi e ad apprezzarlo. La storia, poi, è bella e originale, travolge e stuzzica l’immaginazione. È un romanzo che consiglio un po’ a tutti, ma solo se disposti a leggerlo tutto d’un fiato perché è un po’ complesso da seguire in una lettura frammentaria. Consiglio e straconsiglio.
Buona lettura!

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Le intermittenze della morte 2019-10-18 06:49:21 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    18 Ottobre, 2019
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EROS E THANATOS

“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.”

Con “Le intermittenze della morte” Saramago realizza un arguto apologo, tra il romantico, il surreale e il grottesco, del rapporto tra eros e thanatos. Qui la morte è rappresentata come nella tradizionale iconografia medioevale, uno scheletro con tanto di falce e cappuccio (anche se poi usa la corrispondenza vergata a mano per recapitare ai morituri le sue fatali sentenze e la televisione di Stato per rendere pubblici i suoi messaggi), una forza potente a cui non è possibile far resistenza (ma che sbriga il suo millenario lavoro come un qualsiasi travet d’ufficio), la quale morte decide un giorno di travestirsi da giovane donna per avvicinare l’unico essere umano, un violoncellista cinquantenne che vive solo con il suo cane, che inconsapevolmente rifiuta di morire quando è giunta la sua ora. Entrata nella sfera privata della sua vittima, peraltro abbastanza grigia e routinaria (come del resto quella di quasi tutti gli “eroi” saramaghiani, esemplari di una solitudine feroce sopportata con estrema dignità e decoro), per la prima volta rimane coinvolta, complice anche la musica di Bach, dalle emozioni dell’umanità e, da fredda dispensatrice dell’estremo viatico qual era, decide di bruciare la ferale missiva e di rimanere al fianco dell’uomo nelle sue femminee fattezze (un po’ come accadeva agli angeli de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders).
Il romanzo, che inizia e si conclude con un’identica frase (“Il giorno seguente non morì nessuno”), è scorrevole e divertente, ma sconta il peccato di far entrare in scena i suoi personaggi principali dopo ben più di cento pagine. Prima infatti Saramago si esercita a simulare gli effetti (politici, economici, sociali, psicologici e perfino religiosi) di un’ipotesi assurda: la scomparsa della morte in un Paese immaginario. Quella che sembra un’ipotesi da paradiso terrestre si rivela, nell’implacabile logica dello scrittore portoghese, una sciagura di proporzioni inimmaginabili. Se la Chiesa ha bisogno della morte, perché senza la resurrezione e l’aldilà la sua presenza diventa superflua, il Governo da parte sua si preoccupa del pagamento delle pensioni e dell’inevitabile incremento demografico, gli ospedali dell’impossibilità di garantire le cure mediche a una pletora di malati terminali destinati a non perire mai, le imprese di pompe funebri del chiudersi dei rubinetti che portavano loro profitti apparentemente a prova di qualsiasi crisi e recessione economica, e così via. Con il suo inconfondibile humour, Saramago immagina come l’umanità riesca a reagire con opportunismo, praticità e un pizzico di cinismo anche a questa situazione d’emergenza: le compagnie di assicurazione modificano le clausole delle polizze vita inventando la “morte virtuale” a 80 anni, la mafia si getta a capofitto in un nuovo business, l’organizzazione del trasporto a pagamento dei moribondi al di là dei confini nazionali (dove si continua a morire regolarmente), lo Stato chiude un occhio su questi traffici e anzi (dal momento che gli toglie non poche castagne dal fuoco) fornisce alla mafia anche una sorta di supporto logistico. Tutto questo è descritto in maniera estremamente abile e ingegnosa (del resto Saramago è il re dei paradossi, di cui è disseminata l’intera sua letteratura), ma anche un po’ distante, come se la vicenda fosse vista con gli occhi di uno scienziato che stesse conducendo un esperimento in laboratorio. E’ solo quando viene ristabilito il naturale ordine delle cose, vale a dire quando la gente torna a morire come prima (con la sola variante che la morte consegna una settimana prima ai predestinati una lettera viola che annuncia loro l’imminente dipartita), ed entra in scena il violoncellista restio a morire, che il racconto acquista – per così dire – anima e corpo, mettendo da parte l’umanità nel suo complesso per scendere al livello – come è maggiormente nelle corde del nostro autore – delle singole esistenze individuali (umane e non, vedi la bella figura del cane che riecheggia quella del suo simile de “La caverna”). Ma ormai, come già accennato, sono già trascorsi i due terzi del libro e, nonostante l’intensità delle pagine finali, non è più possibile togliersi di dosso l’impressione che “Le intermittenze della morte” sia più che altro un esercizio di stile, una prova tutto sommato minore nella ragguardevole bibliografia saramaghiana.

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Le intermittenze della morte 2019-08-16 12:01:18 CRISTIANO RIBICHESU
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CRISTIANO RIBICHESU Opinione inserita da CRISTIANO RIBICHESU    16 Agosto, 2019
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I sentimenti della morte


Sono sicuro che molti, come me, considerano Saramago un genio della narrativa. Sinossi che definire originali è restrittivo consentono lo sviluppo di una trama che coinvolge il lettore per la sua originalità e consente all'autore di analizzare i meandri dello spirito di un essere umano grazie alle situazioni inverosimili in cui i personaggi vengono a trovarsi.
Che la morte (con la m minuscole, e capirete il perché se leggerete questo romanzo) decida di sospendere il proprio millenario compito di divina istituzione è un fatto impensabile che comporta numerose spiacevoli conseguenze in un'intera nazione, tanto da rendere auspicabile la fine di questo singolare sciopero.
Non è semplice immaginare quali siano i sentimenti di colei che ha il compito di porre fine alle nostre esistenze. L'autore da una sua interpretazione e il lettore, rapito, si lascia trasportare tra le sue elucubrazioni fiducioso.
Lo stile di scrittura è inconfondibile. La solita sensazione di esser presi per mano e condotti in un mondo immaginario ma reale è presente dalla prima all’ultima pagina.
Non si può far altro che levare il cappello e inchinarsi di fronte a tanta intelligenza e capacità descrittiva.

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Le intermittenze della morte 2019-04-04 09:25:14 marinablu
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marinablu Opinione inserita da marinablu    04 Aprile, 2019
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ANNO NUOVO VITA NUOVA

Qual è tra i desideri più anelati dall’essere umano? Quello più insito in ognuno di noi?.... Forse la vita eterna, ebbene cosa succederebbe se la morte smettesse all’improvviso di fare il proprio dovere? In perfetta linea con il suo stile narrativo, Saramago ci racconta di una favola moderna, ambientato in un luogo non precisato ragion per cui potrebbe essere ovunque e per tutti. Il primo giorno del nuovo anno, così all’improvviso senza nessuna avvisaglia, le persone smettono di morire, tra le prime reazioni sicuramente c’è stupore ma anche gioia tra la popolazione in generale che finalmente ha ottenuto ciò in cui ha sempre sperato, ma poco alla volta non manca anche la costernazione tra politici e religiosi. Poi arriva il dover fare i conti con la realtà, le famiglie sono costrette a prendersi cura di persone la cui vita non ha fatto il suo “naturale” o “innaturale” corso, persone che pur essendo in uno stato terminale non possono e non riescono a morire, le polizze di assicurazione sulla vita diventano prive di significato, le agenzie funebri sono ridotte a organizzare sepolture per cani, gatti, criceti e pappagalli, che ne sarà della fede quando non si ha più paura della morte, quando non ci sarà più la necessità di sperare almeno di continuare a vivere nell’aldilà? Ma giusto il tempo di far assaporare la vita eterna con gli annessi e connessi che la morte rientra in campo con un nuovo colpo di scena, dopo qualche mese infatti la morte rientra a far parte di nuovo della vita delle persone inviando una serie di letterine viola con le quali annuncia e preavvisa la dipartita dei destiantari....
In questo testo Saramago si riconferma “Saramago” caratterizzato dalla sua solita scrittura dove la punteggiatura è scarsa e all’improvviso, da bravo narratore quale è, interviene nel racconto per meglio spiegare il susseguirsi degli eventi e con opinioni al limite del personale, sembra quasi che al sorgere di un pensiero nella sua mente d’impulso questo venga scritto, cosicché il racconto nasce, cresce e si sviluppa dinanzi al lettore. Si riconferma “Saramago” perché da una situazione totalmente assurda (in questo caso la morte che cessa di esistere, ma anche in Cecità dove un’intera popolazione poco alla volta smette di vedere) riesce a raccontare l’essenza dei comportamenti umani nel bene e nel male e a fronte di un’iniziale situazione imprevedibile la serie di eventi che ne sussegue rende la situazione stessa perfettamente credibile. E’ “Saramago” perché riesce a dare personalità alla morte, una morte che, in prima persona, ci tiene a precisare che è una morte con la “m” minuscola non con la “M” maiuscola perché la Morte, quella vera, è qualcosa di talmente terribile che l’essere umano non riesce neanche a immaginare perché sarebbe la fine di tutto e non un naturale “rigenerarsi” della vita, è una morte umile che si cala nei panni dell’umanità, è un personaggio verso il quale, attraverso la potenza della parole di Saramago, si riesce a provare empatia.
E’ “Saramago” perché con geniale ironia, una pungente satira e una penna brillante ci fa riflettere su uno dei temi che più tocca la nostra sensibilità, un tema che per noi è faticoso comprendere e accettare quando tocca la nostra pelle e ancor di più quella delle persone che amiamo. Vorremmo che la morte non esistesse più ma saremmo in grado di gestire l’eternità? Per quanto ingiusta ci sembri la morte, sarebbe altrettanto giusta la vita eterna? Abbiamo il diritto, per noi stessi e per altri, di scegliere tra la vita e la morte?
E’ inutile aggiungere altro per spiegare quanto mi sia piaciuto questo romanzo, SARAMAGO (scelgo volontariamente tutto maiuscolo per la sua grandezza) egli stesso è la prova che una sorta di eternità esiste, in quanto nonostante fisicamente non sia più tra noi, la magnificenza e il suo genio rimane presente e vivo attraverso le sue opere.


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Le intermittenze della morte 2019-03-18 09:00:45 Molly Bloom
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    18 Marzo, 2019
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Inaspettato

Davvero originale l'idea di Saramago per questo libro, la morte che va in vacanza, e mette in subbuglio un paese intero sia in seguito alla sua scomparsa che in seguito al suo ritorno, critica con una ironia molto fine e intelligente la chiesa e lo stato, che da sempre sono state due istituzioni a capo dell'umanità, e la scomparsa della morte provocherà un guaio non indifferente per loro. Salta fuori anche la maphia, iena dello stato, che in accordo con quest'ultimo, svolgerà i suoi affari sporchi. Ci sono poi le agenzie di pompe funebri, le assicurazioni e gli ospedali che in qualche modo dovranno reinventarsi l'attività.....e poi c'è lei, la morte, che nel finale del romanzo sarà molto umana, da tutti i punti di vista.

Un libro tempestato di ironia, di situazioni paradossali ma alle quali magari a volte abbiamo pensato. L'eternità è il nostro sogno, che lo possiamo raggiungere attraverso la Chiesa e la Resurrezione, nella speranza di una vita futura (ma chi lo sa con certezza?), ma quando questo sogno si avvera nella realtà, è molto probabile che non saremmo in grado di affrontarla, non siamo ne preparati e ne capaci. Mi ha fatto venire in mente Il Grande Inquisitore di Dostoveskij in merito alla libertà, come corrispondente qui di eternità: nonostante sia una condizione ideale e desiderata, paradossalmente noi non siamo capaci di gestirla. Abbiamo sempre bisogno di una guida, di una laccio al collo, di una impostazione, nello stesso modo abbiamo bisogno della morte.

Suggestivo il brevissimo studio di Chopin, opera 25, numero nove, di 58 secondi, citato nel libro, perché "quello che impressionava l morte era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell'accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell'aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire."

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Le intermittenze della morte 2018-10-09 15:20:00 ChiaraC
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ChiaraC Opinione inserita da ChiaraC    09 Ottobre, 2018
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Forse

Onestamente non il miglior libro di Saramago.
La trama parte in modo davvero avvincente, per carita': allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre la morte cessa di esistere. In questo piccolo paese (il Portogallo, probabilmente), non muore piu' nessuno, neanche coloro che si trovano coinvolti in incidenti aerei, neanche le vittime di incendio. Nessuno. Tutti restano al massimo in uno stato di coma permanente.
Le manifestazioni di giubilo cessano tuttavia quando i cittadini si accorgono che l'assenza della Morte e' in realta' una bella gatta da pelare: con il suo classico stile pessimista/inquietante/ angosciante Saramago ci descrive una realtaa' fatta di semi-cadaveri che si ammassano negli ospedali, famiglie esasperate dalla sopravvivenza dei loro cari ormai centenari e tanto, altro ancora.

Poi, un altro bel giorno, come se niente fosse, la morte torna a far visita, e decide di mandare una lettera per avvisare del suo ritorno: la manda a tutti, tagliente, efficace, e se la ricevi sai che in una settimana sai morto. La manda anche a un violinista che, pero', la rimanda indietro. E la morte non ha altre alternative se non fargli visita di persona...


Tutto molto interessante ma, c'e' un ma: verso la fine del libro vi sono circa trenta pagine che secondo me potevano benissimo essere tagliate, in quanto appesantiscono il testo e sembra quasi che Saramago le abbia aggiunte per non far sembrare il libro troppo corto. La morte, inoltre, e' descritta in modo troppo sentimentale e costruito. Il finale, inoltre, un po' banale.

Nel complesso e' un libro piacevole per i novizi, ma non aspettatevi un capolavoro. Se siete lettori esperti e siete indecisi tra questo e altri suoi libri, meglio optare per "Cecita'" o "Il Vangelo secondo Gesu' Cristo".

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Le intermittenze della morte 2018-03-19 10:45:40 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    19 Marzo, 2018
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Morte, oh Morte.

«Salvo alcuni rari casi, come quelli dei già citati poveri moribondi dallo sguardo penetrante che l’hanno scorta ai piedi del letto con l’aspetto classico di un fantasma avvolto in lenzuola bianche o, come pare sia successo a proust, nella figura di una donna grassa vestita di nero, la morte è discreta, preferisce non far notare la sua presenza, specialmente se le circostanze la obbligano a uscire per la strada. In generale si crede che la morte, essendo, come qualcuno ama affermare, la faccia di una medaglia di cui dio, dall’altro lato, è la croce, sarà, come lui, per sua stessa natura, invisibile. Non è proprio così, Noi siamo testimoni attendibili che la morte è uno scheletro avvolto in un lenzuolo, abita in una sala fredda in compagnia di una vecchia e ferruginosa falce che non risponde alle domande, circondata da parti imbiancate lungo le quali sono disposti, fra le ragnatele, un certo numero di schedari dagli enormi cassettoni colmi di cartellini. È comprensibile dunque che la morte non voglia apparire alle persone in quella tenuta, in primo luogo per ragioni di estetica personale, in secondo luogo perché gli infelici passanti no muoiano dallo spavento nel ritrovandosi davanti, svoltando un angolo, quelle grandi orbite vuote. In pubblico, sì, la morte si rende invisibile, ma non in privato, come hanno potuto comprovare, nel momento critico, lo scrittore marcel proust e i moribondi dalla vista penetrante. »

È il 31 dicembre di un anno non definito quando, allo scoccare della mezzanotte, per l’essere umano giunge la tanto agognata eternità perché nessuno, semplicemente, muore più. Ma non è tutto oro, quel che luccica. Ben presto gli ospedali si riempiono, i moribondi vengono trasferiti nelle abitazioni in attesa di una dipartita che non arriverà (salvo appoggiarsi alla maphia per essere trasportati fuori dal confine dove Morte – perché il La davanti è un qualcosa di innominabile e ben oltre le nostre aspettative e visioni – al contrario ancora lavora), le case di riposo e di cura non hanno più posto, le assicurazioni sulla vita rischiano il collasso, la chiesta stessa perde la sua ragion d’essere e il Governo non sa come arginare il fenomeno. Di fatto, dopo sette mesi sopraggiunge dal nulla una missiva, una missiva contenuta in una busta viola in cui viene comunicato che, appunto, Morte, è pronta a tornare al lavoro e che a partire dalla mezzanotte della giornata stessa l’essere umano ricomincerà a morire ma con una nuova modalità: i prescelti riceveranno una busta con una lettera del medesimo colore violetto e avranno a loro disposizione otto giorni per poter sistemare gli affari in sospeso, far pace con chi hanno litigato e salutare i vari affetti. I decessi tornano a riprendere il loro regolare corso, certo, Morte si aspettava una diversa reazione da parte del genere umano vista la geniale e altruistica concessione, ma tutto va bene e scorre regolare fino a quando una delle tante comunicazioni torna ripetutamente indietro. Una, due, tre volte. Incessantemente. Che cosa farà dunque la nostra cara Morte per far fronte a questo inspiegabile intoppo?
Scritto con una penna rapida, acuta, riflessiva e ironica, “Le intermittenze della morte” riesce a far riflettere il lettore sul binomio vita con sofferenza e vita con morte. Lo scrittore riesce a mettere in luce pro e contro di ogni situazione: nel momento in cui nessuno più decede, il sistema finisce con l’essere sovraccaricato da moribondi, la soglia di vita si innalza sfornando un numero inferiore di giovani rispetto a quelli che in futuro dovranno essere accuditi, i familiari non riescono più a far fronte a quei moribondi di cui devono ininterrottamente prendersi cura tanto da dover ricorrere a carissime organizzazioni criminali per ovviare al “problema”, quando viceversa la morte torna a operare si ha un sovraffollamento di decessi a cui i medici legali non riescono a far fronte e le reazioni delle persone “informate” della imminente dipartita sono diametralmente opposte a quelle auspicate tanto che nessuno si preoccupa di pensare ai propri affari e di congedarsi dai propri affetti. Di fatto, protagonista indiscussa dell’opera è proprio Morte, con il suo scheletro, le sue orbite vuote, la sua falce, la sua stanza imbiancata e le sue lenzuola a far da abito. È una morte umanizzata che unisce emozioni e sensazioni nonché fisicità. Detto carattere subentra in particolare nella conclusione del componimento, momento in cui questa interviene personalmente per sanare la “lacuna” e in cui per la prima volta nella storia finisce con il riposare tanto che nessuno, quel giorno, muore.
Un elaborato semplicemente geniale.

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Le intermittenze della morte 2017-08-11 12:04:43 AsiaD
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AsiaD Opinione inserita da AsiaD    11 Agosto, 2017
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LA MORTE CHE NON TI ASPETTI

Ironico, satirico e riflessivo. L'opera di Saramago ti porta attraverso le sue immaginarie visioni che rende incredibilmente reali a riflettere su un binomio naturale che l'essere umano vive con sofferenza, vita-morte. Immaginando un mondo dove per un periodo di tempo la morte decide di scomparire (con la m minuscola perché la morte non si arroga il diritto di superiorità sulle altre morti con cui si è divisa equamente il mondo così come lo conosciamo ed i regni animali), strappandoti spesso un sorriso ti porta a riflettere su quanto questo "nemico" del genere umano sia in realtà necessario per tante ragioni. Rende la vita ancora più preziosa da un lato ma si dimostra indispensabile per alcune , chiamiamole sovrastrutture, come la religione che entra in crisi in quanto le sue stesse fondamenta si basano sull'esistenza della morte. È divertente vedere come anche in un caso estremo come questo un’organizzazione criminale, che qui ironicamente ha il nome di Maphia, riesce ad avere la meglio, a trarre profitto dal disagio grazie ad un accordo segreto con lo Stato. Geniale a mio avviso il modo di raccontare questo accordo paradossale ma che cela motivazioni molto più realistiche, come l'impossibilità per lo Stato di occuparsi di "cose sporche" agli occhi del popolo ma che si rendono necessarie per cui decide di delegarle alla Maphia, albori di un rapporto che nasce su un definito contorno di ruoli e responsabilità ma che chissà dove potrà mai portare. In realtà Saramago non ce lo dice perché ci traghetta in una seconda parte della storia che è come se fosse un secondo libro perché ha tutt'altro obiettivo, tutt'altra tematica che io ho trovato un po' distaccata dalla prima parte della storia. Una morte umanizzata, che prende sembianze umane ma non solo in termini fisici, ma anche sensoriali perché acquisisce emozioni, sensazioni che la portano a lottare contro il suo stesso destino e compito, una Joe Black al femminile. Molto interessante anche questo lato del racconto più romantico, il tutto condito dallo splendido stile di Saramago con un utilizzo sublime della punteggiatura e della esposizione dei dialoghi che solo un vero genio letterario come lui può utilizzare senza appesantire la lettura.
Forse in quest’opera ho amato più il suo stile che la storia in sè a tratti molto interessante ma che forse non ho apprezzato fino in fondo proprio per questa distanza tra le due parti del libro che mi ha lasciato la sensazione di non avere né un fine né un finale.

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