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L'acqua del lago non è mai dolce
 
L'acqua del lago non è mai dolce 2021-06-08 15:27:13 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    08 Giugno, 2021
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Donne in cerca di guai

Alla nascita tutti noi lasciamo il rassicurante liquido amniotico in cui ci siamo beatamente crogiolati per nove mesi, per tuffarci in un altro fluido, il gran mare della vita, acque molto più tribolate, in verità.
Iniziamo sorpresi, tant’è che la nostra prima azione riflessa è il pianto, e annaspiamo, inghiottiamo l’aria che ci brucia i polmoni, così come l’acqua salata soffoca il naufrago.
Ci assale il panico, poi l’istinto si fa sentire prepotente, reagiamo, iniziamo a galleggiare, pian piano prendiamo confidenza con il nostro nuovo habitat, e soprattutto con la nostra nuova condizione, che ci vuole inetti fin quando non iniziamo a nuotare da soli in piena autonomia.
Per giungere all’autodecisione, serve un passaggio obbligato, necessita chi ci insegna a nuotare bene.
Colui che ti insegna ti plasma, inutile girarci intorno, come ci insegna così ci influenza, passiamo da liquido a liquido, ma è tutto qui, poi è dove vieni immerso e come ti educano a gestire l’immersione che ti condiziona l’esistenza.
Ciascuno a suo modo, quindi: dipende da vari parametri.
Per prima cosa, è questione di istruttori, di chi ci indica i movimenti giusti, quelli specifici, articolati, che sono anche i più fluidi, ci insegna le tecniche natatorie migliori, quelle più adatte ai diversi tipi di correnti che ci capiterà di incontrare nel gran viaggio esistenziale.
Magari ci fornisce pinne, canotti, barche, panfili per navigare: in un modo o nell’altro ci vengono fornite opzioni e strumenti sul come stare a galla in ogni circostanza, con la testa fuori dall’acqua, respiro sincrono e profondo tra una bracciata e l’altra.
I nostri educatori ci guidano ad interagire, nel modo che loro ritengono più giusto, con gli altri frequentatori del nostro elemento, sospingendoci verso alcuni e non altri, suggerendo e suggestionando le nostre scelte, fanno il loro meglio per renderci abili nell’intrecciare legami, alleanze, rapporti di vario genere, e sfuggire ai predatori ed alle insidie.
In base non tanto a quello che è più etico, equo, idoneo, ma a quanto a loro appare tale, secondo il proprio vissuto.
Che non è però geneticamente trasmissibile, e non necessariamente l’ideale.
Vivere è sinonimo di navigare nel gran mare dell’esistenza, non è solo una metafora.
Navigare nel mare, si badi bene, che ha una concentrazione salina pari a quella del liquido amniotico.
Ben diverso, del tutto differente, è trovarsi a nuotare nelle acque del lago.
Più di quella dei fiumi e delle sorgenti, l’acqua del lago non è affatto un’acqua dolce, semmai è un’acqua pesante, infida, invischiante, e nuotarci, sguazzare, essere costretti a vivere in quella, non è affatto facile.
È difficile, faticoso, rischioso, non gratifica e meno che mai ti senti come nel liquido natale.
Ti muovi a fatica, a tentoni, procedendo poco alla volta; con attenzione e diffidenza, dietro un aspetto placido, nel lago si nasconde un habitat fangoso, avvinghiante, predatore, comunque scomodo e disagevole, l’acqua del lago non è mai dolce, è più spesso amara, ardua e impegnativa, talora cattiva.
In estrema sintesi, questo è il tema duro, rabbioso, amaro, tutt’altro che dolce del romanzo “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito, scrittrice affatto esordiente, ha dei trascorsi interessanti, ma che qui si presenta al suo meglio, uno step superiore, un libro che comprova il pervenire ad una maturità piena, intensa, compiuta.
Una bella lettura, una storia ben costruita e realizzata, con un linguaggio asciutto, mai dolce, semmai acre. Uno stile di scrittura particolare, a periodi lunghi, con elenchi, pensieri a ruota libera, fiumane di parole che però restano, impregnano il lettore, costringendolo a riflettere.
Le acque dense faticano ad evaporargli da dosso, restano.
Non sono acque dolci, non è come al mare, dove appena esci dall’acqua e ti sdrai sulla riva, già inizi ad asciugarti: qui ti immergi nella lettura, fatichi a riemergere, ti senti preso dalla storia e soprattutto dalla protagonista, che malgrado un nome beneaugurante, non ha un’esistenza facile; e però per un lettore, una lettura così intrigante, che ti coinvolge, è quanto ogni buon lettore richiede, è un’esperienza positiva, lieta, gaia.
Gaia è il nome della protagonista, una giovane che vorrebbe il mare ed invece per i casi della vita ha il lago come scenario della sua difficile esistenza, come ostica è stata la vita anche per la propria madre Antonia.
Il lago è così, ci sono i laghi idilliaci come quelli alpini, chiari e trasparenti, e quelli dalle acque torbide, come quello di Bracciano, per esempio.
Anche se non per tutti il lago è necessariamente dannoso:
“… cosa accade se in un lago butti insieme una persona buona e una cattiva, qualcosa si contamina, qualcosa viene sciacquato via, qualcosa si mescola e s’assorbe…”
Questa sembra una storia di crescita, il racconto di un rapporto madre - figlia, ma direi invece che è un di più, non è solo questo, almeno.
La madre, Antonia, è una donna disincantata, fortemente delusa dell’esistenza, che l’ha costretta ad una gravidanza da giovanissima, con tutti gli orpelli che questo significa per certi tempi, certi ambienti, certe difficili condizioni lavorative.
Non si perde d’animo, è encomiabile per determinazione, lealtà, capacità di sacrificio ed impegno, ma ancora una volta i suoi sforzi e le sue speranze non le arrecano alcun frutto, dopo essersi illusa ancora una volta di essersi costruita finalmente una vita normale per quanto modesta, a suo modo di vedere a misura di mulino bianco, con un altro uomo e altri figli, tra cui Gaia.
La vita le riserva evidentemente solo burrasche in mare aperto anziché porti sicuri, sbaglia sempre rotta anche se incolpevolmente, ancora una volta la brutalità dell’esistenza che si accanisce più spesso contro gli ultimi le presenta crudelmente un conto salato, quasi che il dio Nettuno godesse nell’accanirsi particolarmente con i più meschini, scacciandoli dal mare: come in effetti accade nella realtà, spesso, se non sempre.
Il nuovo marito di Antonia perde le gambe in un incidente sul lavoro, una delle tante frequenti disgrazie nel crudele mondo dell’edilizia, e per di più resta un disabile privo di qualsiasi supporto sociale, poiché era uno dei tanti, troppi, sfruttati in nero, senza assicurazione e garanzie.
Altro non resta alla famiglia che traslocare altrove, fuori Roma, sfuggire alla miseria incombente inseguendo per sopravvivere un sito meno oneroso, trovandolo ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano. Un lago, non il mare.
Antonia prova a salarne le acque, prova a crescere Gaia secondo la sua tenacia ed i suoi intendimenti, ad inculcare valori e sacrifici, l’amore per lo studio, la rinuncia a cellulare, televisore, capelli lunghi e curati, modernità, piacevolezze dell’esistenza varie, vuole ad esempio, giusto per capirci, che lo studio, ed i sacrifici che comporta, riscattino lei e la figlia:
“Leggeremo insieme se non capirai, studierò con te, ce la dobbiamo fare, ce la dobbiamo fare per forza”.
La donna non capisce che è la sua rabbia, non quella della figlia, commette l’errore madornale di non capire che non basta insaporire le proprie aspirazioni per renderle gradite anche agli altri, alla propria figlia, semplicemente la carica di pesi e aspirazioni che sono suoi, non della giovane, nessuno è necessariamente uguale a chi lo ha generato.
La giovane non può accettare supinamente la propria insoddisfacente condizione sociale senza una reazione sua, normale dopo tanta costrizione, restituisce una risposta personale cruda, dura, esasperata, non ha maturità e strumenti per gestire le difficoltà accettandole supinamente senza un riscontro emotivo di pari crudezza, come è logico che sia.
Perciò questo non è un racconto di crescita o di rapporto complesso tra madre e figlia, tutt’altro, è invece una critica dei tempi, della morale consumistica e della società che vanta assoluta mancanza di etica, che vuol dire assenza completa a tutti i livelli di protezione, assistenza e supporto a tutti i livelli del vivere civile per gli ultimi, i più fragili, gli esposti, i deboli e gli indifesi.
Perciò Gaia reagisce a suo modo, per esempio non è che non studia per ribellione, affatto, ma studia Filosofia, un indirizzo di studi che richiede un iter professionale lungo e produttivo molto oltre un tempo utile a breve. Una crudele, e sottile, forma di rivalsa nei confronti della madre, cui seguono altre reazioni meno sottili ma ugualmente amare, per quanto prevedibili o scontate.
L’esistenza di Antonia prima, e di Gaia poi, affonda, ma non perché c'è acqua intorno a loro, vanno a fondo solo quando l'acqua entra in loro.
Devono agire diversamente, non permettere che le cose che accadono intorno a loro entrino in loro e le facciano affondare. Non è un caso che le acque del lago siano diverse, mai dolci, definirle così è una presa in giro, un ossimoro crudele, lo capisce perfettamente Gaia, lo sa seppure inconsapevolmente anche Antonia, sono donne in cerca di guai in una realtà dove il lago è un luogo di detenzione per i non allineati alla morale corrente, dove relegare gli anarchici, i diversi, quelli che restano indietro, come in effetti avviene.
Complimenti a Giulia Caminito, ha scritto un bel romanzo, toccante e reale, attuale, moderno, e senza lieto fine, come è giusto che sia: dopotutto, l’acqua scura del lago è densa e scura come un caffè amaro, amaro come la vita.

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Bruno, so che questo libro è in corsa per lo Strega e forse anche per il Campiello. La valutazione che ne dai è molto incoraggiante. Da tener d'occhio, dunque!
In risposta ad un precedente commento
Bruno Izzo
09 Giugno, 2021
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Emilio, io dei candidati allo Strega ne ho letti solo la metà: ma di questa metà, è il migliore, a mio modesto parere. Non mi meraviglierei se risultasse vincitore. Un caro saluto!
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