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Il Duca
 
Il Duca 2022-09-26 13:40:11 Lonely
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Lonely Opinione inserita da Lonely    26 Settembre, 2022
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Il Conte Cimamonte

Il Duca è l'ultimo erede di un casato ormai estinto, I Cimamonte. In realtà il suo titolo nobiliare sarebbe Conte, ma a Vallorgana tutti lo chiamano il Duca, un titolo anch'esso ereditato da suo nonno per il quale «la gente di Vallorgàna ritenne che il titolo di conte non rendesse giustizia a una tanto grande nobiltà. E se marchese era troppo poco e principe era forse troppo, duca, invece, faceva al caso».
I suoi genitori, dopo un luttuoso incidente in Kenia, lo lasciano erede di un patrimonio consistente, tra cui una villa immensa con tanto di ettari di bosco a Vallorgana, appunto, nella Val Fonda, proprio dove lui decide di ritirarsi a vivere.
Nelso, il tagliaboschi che si occupa anche di tagliare gli alberi nella proprietà del Duca, un giorno va a fargli visita per avvertirlo che un confinante, ha sconfinato appunto, e ha raso al suolo alberi per tre ettari e mezzo di terreno appartenenti al Duca.
E' Mario Fastreda colui il quale ha il terreno al limitare con quello del Duca e che ha bisogno di altri ettari di terra disboscata per costruire una strada e una malga, per gli alpeggi del suo bestiame e per scopi turistici, visto che molti avventori ora usano fare passeggiate in montagna e ristorarsi nei rifugi raggiunti. Questo è il motivo apparente per cui Fastreda ha sconfinato nel terreno accanto, adducendo il fatto che dato che quei terreni sono rimasti abbandonati per anni, per uso capione gli appartengono.
Il Duca che fino ad allora era vissuto quasi isolato dal resto del mondo immerso a contemplare la natura ha un moto d'orgoglio e come si risvegliasse da un lungo torpore, risponde alle provocazioni, e così si mette in moto una faida che ha un'escalation anche violenta, che alcuni, come il prete del paese e lo stesso Nelso, tendono a quietare tirando in ballo il buon senso e l'animo nobile del Duca, altri invece alimentano parteggiando per l'uno e ostacolando l'altro.
«Come hai potuto dimenticare, mi dicevo, che la discordia, indossando le sue mille maschere, è qui intorno che volteggia? Non sapevi forse che la discordia non dorme? Che sa aspettare. Che non si distrae. Che ha sempre il fine ben chiaro. E poi, anche di questo avresti dovuto essere bene al corrente, la discordia è sempre pronta a sguinzagliare il caso, che tra le frecce al suo arco è quella più velenosa. E questa freccia, il caso, per conto della discordia, predispone fili e poi li imbroglia, sperimenta le intersezioni piú improbabili, s’inventa trame, sovrappone, accosta, divide, strabilia e da ultimo inchioda.»

Il Duca non si spiega però tutto questo astio e rancore, e vuole approfondire e scoprire il vero motivo di tanto odio, e così, studiando le origini della sua famiglia e le gesta dei suoi antenati casualmente scopre la causa dell'odio di Fastreda.
«Cosa vuoi», mi disse Nelso. «L’odio è così. È un sentimento potente. Anzi: il più potente di tutti. Non ha mica ragioni precise. È una roba che uno ha dentro. Puoi scavare fin che vuoi, andare avanti e andare indietro, ma il motivo non c’è. L’odio sta là, dentro di me, dentro di te, dentro di tutti. Questa è la verità».

Ma il romanzo è ben altro: è sentimenti, è odio e amore, rancore e pregiudizio, invidia e gelosia, orgoglio e coraggio;
è un elogio alla natura, alla sua forza e alla sua bellezza, che incute pace e timore, perché non la si conosce mai abbastanza.
E' lotta di potere e lotta di classe «Disse che io, Cimamonte, sarei comunque un figlio della cultura dei pochi; e che lei, nipote di Fastréda, sarebbe invece figlia della cultura degli ultimi. E ancora: che la cultura dei pochi è quella di chi, per mezzi e tradizioni, vive in un mondo di pensieri dal quale i piú sono esclusi; e che la cultura degli ultimi, la quale, fatalità, sarebbe anche la cultura dei piú, è quella di chi, giorno per giorno, deve subire la vita, indirizzandola con il metro del buonsenso."
Ma la storia è soprattutto una ricerca nel passato, un indagine sulle radici, sulle origini, perché nel passato risiede la verità.
Perché noi siamo oggi ciò che i nostri avi erano allora.
E non mancano le solite irrisolte questioni filosofiche: siamo il frutto della nostra stirpe o dell'ambiente che ci circonda? E il Duca, in perenne conflitto, nell'essere se stesso o essere come i suoi avi si aspettano che sia, si domanda, siamo sangue o aria?
«È l’aria che conta, urlai perciò alla voce del mio pensiero, non il sangue. E non parlo affatto dell’aria chimicamente scomponibile, e misurabile, e valutabile nella sua maggiore o minore salubrità, ma dell’aria che si respira nella vita che si vive, del piú potente tra gli elementi, del soffio senza sonno che opera giorno e notte, che conforma, orienta e decide. Ma come potevo non sapere, disse allora la voce del mio pensiero, che i veri sapienti hanno oggi scientificamente dimostrato che prima di tutto conta il sangue? O per meglio dire gli equivalenti evoluti e progrediti e perfezionati del sangue stesso, e cioè la molecola biologicamente trasmissibile, il gene, il cromosoma.»
E allora siamo davvero liberi nelle nostre scelte? Davvero liberi dal vincolo del sangue? Quanto influisce il nostro passato sulla nostra vita e sui nostri comportamenti? E soprattutto quanto dobbiamo rimanere fedeli ad esso?
Il Duca è un libro che ti affascina sin dalla prima pagina e che divori fino all'ultima, trascinandoti dietro una serie di riflessioni e sensazioni che ti rimangono dentro, la libertà di scelta, la storia che svela la verità, il senso della vita, la grandezza della natura e le piccole meschinità umane.
La prosa di Melchiorre è semplice e colta e con una sottile vena ironica e accattivante ci catapulta in un mondo sconosciuto dal quale risulta difficile staccarsi.

«Eccolo. Questo è il luogo. Vallorgàna. Ed è uno di quei luoghi, e se nel mondo siano tanti o pochi non saprei, che sono cani e sacri al tempo stesso, i quali, una volta che se ne sia vinta l’ostilità naturale, hanno la forza inspiegabile di possedere loro le persone, e non viceversa. Luoghi simili hanno una natura gelosa. Pretendono una fedeltà totale. E cosa danno in cambio? Una libertà maiuscola magari, ma arrivarci sarà forse un calvario. Tu non puoi sapere se chi resta abbia vinto o abbia perso. Sai però che questo luogo ti ha preso: il che significa che gli appartieni e, paradosso, che ti appartiene. Deve essere una specie di fusione, di con-fusione se preferisci. E se alcuni, com’è evidente, non avvertono minimamente questo bisogno di con-fondersi in un luogo, e ciò nonostante, o forse proprio per questo, vivono beati, altri, che il luogo vorrebbero invece trovarlo, girano tutta una vita come dispersi e infelici, cercando sempre senza trovare mai.»

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Commenti

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Claudia, non conosco l'autore, ma la tua esaustiva recensione e l'eccellente valutazione non possono non porlo in particolare evidenza.
In risposta ad un precedente commento
Lonely
27 Settembre, 2022
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Ti ringrazio,! Neanche io lo conoscevo ma devo dire che mi ha piacevolmente stupito!
Un saluto
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