I miei stupidi intenti
Letteratura italiana
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UNA FAVOLA PER ADULTI
Ho comprato questo libro nell’ambito di un incontro con il giovane autore. Di Zannoni ho apprezzato la verve sciolta e lo stile scanzonato, meno i contenuti degli argomenti trattati.
Falsi luoghi comuni e banalità del tipo “sbagliato giudicare”, “gli animali non hanno coscienza, senso della morte” mi hanno lasciata un po’ perplessa. Ho così messo il libro da parte, in attesa di sbollire la delusione e approcciarmici poi in maniera più aperta.
E ora eccomi qui.
Il romanzo, nel complesso, è piacevole. La scrittura semplice, pulita. La trama è articolata e appassionante e amalgama sapientemente scene amene a situazioni crude, drammatiche che non sfociano mai nel melenso.
E tuttavia, andando a fondo, emergono due limiti propri del filone narrativo favolistico.
Il primo è la mancanza di sfumature, acutezza, profondità nello stile di scrittura. Quel che si apprezza del romanzo è la storia in sé, mentre la prosa è incapace di illuminare l’universo intangibile del non detto e del non visto, di dare forma compiuta a pensieri e riflessioni, di creare suggestioni. Manca, in buona sostanza, di quel “quid indefinibile” che fa grande un autore e i suoi libri.
Il secondo limite riguarda il tratteggio dei personaggi. Pur servendosi della faina per marcare la distanza dagli stereotipi di genere, Zanoni non riesce poi a discostarsene, ponendosi nel solco della tradizione favolistica, che vuole gli animali interpreti di vizi e virtù umane e motivati solo da istinti predatori e di sopravvivenza. L’autore pesca a piene mani dall’immaginario collettivo e riadatta figure quali: la vecchia volpe avida, il brutto anatroccolo, il cane fedele, il lupo cattivo e via dicendo, con il risultato che alla fine i personaggi non sono ascrivibili né alla sfera umana, né a quella animale.
Soprattutto, l'autore pecca nel qualificare i sostantivi umano e animale del comune senso loro attribuito e aggettivato di diritto nel nostro vocabolario. L'umano, senza articolo, equivale all'aggettivo compassionevole, mentre l'attributo animale è sinonimo di aggressivo, crudele.
E se pur apparentemente non si schiera, non impartisce colpe e assoluzioni e riconduce tutto alla sfera della necessità e del naturale corso della vita, Zannoni si fa comunque sottilmente interprete di falsi stereotipi che fanno dell'uomo un essere superiore agli altri animali.
Archy impara a leggere e a scrivere, apprende le nozioni di Dio e del tempo e con ciò si umanizza e si eleva rispetto ai suoi simili per sentimenti, coscienza, intelligenza.
Nulla di più fasullo.
Nota personale. Scienziati autorevoli, quali Mario Tozzi, hanno ampiamente documentato come non sia l’intelligenza, il linguaggio, i sentimenti a marcare la differenza tra umani e animali, bensì l’accumulo, inteso come accaparramento di risorse oltre il normale bisogno per vivere.
Questa prerogativa, che finora ha determinato la supremazia degli umani rispetto alle altre specie, oggigiorno, depredato e sterminato tutto, ne sta provocando l’inesorabile estinzione.
Non raccontiamoci più favole...
Archy
«Ma come in quel momento mi sentii più perduto, e debole, e invisibile.»
Archy è una faina. Una faina figlia di una madre anaffettiva e priva di amore verso i propri figli e fratello di altre faine che da quella stessa madre sono odiate e ritenute inutili. Perché deboli, perché obblighi, perché nati quasi per rubare ossigeno ed energie. Il padre di questi fratelli è assente e la madre non esita a sbarazzarsi di chi nasce inutile o nel tempo lo diventa. Questa è la stessa sorte di Archy, Archy che tra queste pagine racconta la sua storia ma narra anche di quelle sorti che lo portano ad essere allontanato proprio da quella madre. Una madre che non esita a venderlo alla volpe, Solomon, per qualche provvista e per togliersi il peso di quel figlio ormai zoppo. Perché Archy cade nel tentativo di dare la caccia a un nido, cade proprio da quel nido posto ad alte altezze e da quel momento resta menomato. La sua zoppia lo accompagnerà a vita. Da questo momento ha inizio il suo percorso con Solomon e Gioele, il cane della volpe. Usuraia e furba è la volpe che introduce la faina alla parola di Dio.
«Il prima e il dopo non si erano mescolati, uno aveva soffocato l’altro annullando la differenza.»
Da questi brevi assunti ha inizio la crescita e lo sviluppo del libro ma anche la sua stessa evoluzione. La storia narrata dalla faina prenderà una sua forma e una sua connotazione, ma procederà passo passo tra perdite, riflessioni, analisi e tematiche forti ivi comprese quelle relative alla religione, alla famiglia.
«Il loro sonno, così tranquillo, mi impressionò. Non capivo se quella vita fosse orribile o meno, se essere confinati in un recinto confortasse o avvilisse. Da dove li stavo guardando io, ne avevo pietà, così come gli altri; eppure quei musi suggerivano che loro ne avessero di noi.»
È possibile accettare se stessi per come si è? È possibile far della propria esistenza una ragione essenziale del vivere e per vivere? È possibile che l’esistenza non sia soltanto qualcosa di fine a se stesso? Per Zannoni Archy non è altro che un pretesto, un artificio consolidato da sempre, un artificio narrativo per porsi e porre al prossimo domande sull’esistenza. Zannoni fonde instintualità e ragione, fonde il vivere con il sopravvivere, i legami affettivi, l’anaffettività, la responsabilità e la morte. Cosa allontana e/o avvicina l’uomo alla bestia?
Bernardo Zannoni, tra filosofia e riflessione, narra della tensione interiore che tiene perennemente Archy in bilico. Lo porta ad elevarsi alla dimensione umana tanto che giunge anche a domandarsi chi è Dio. Archy finisce con il sentirsi quasi più umano che bestia, sente perfino il senso di colpa per questo suo lato più bestiale e istintivo. Si tortura perfino per alcuni suoni comportamenti che altro non sono che insiti alla sua natura.
«Anche io mi sento così, disse.
Mi girai verso di lui.
Così come?
Desolato. Abbandonato»
Tante le strade che percorrerà Archy nel suo vivere. Strade che lo porteranno a perdere amori, la sua famiglia, che lo porteranno a imparare a leggere e scrivere, a scoprire dell’amicizia, a instaurare determinati rapporti, a cadere e a rialzarsi. Tra presente e passato. Tra altri animali del presente e del passato. Tra maestri di vita e perdite. Legami sfilacciati e cadute.
«Questo è il mio ultimo stupido intento: scappare, come tutti dall’inevitabile. Semmai Klaus tornerà che dia il mio corpo alla terra, o al fiume.»
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La cultura che non ti cambia dentro
Il libro ha un bellissimo incipit, davvero molto interessante. Mi piace anche il genere, ma mi disturba la mancanza totale di empatia di Archi, la faina protagonista della storia. Il suo non è un cammino di evoluzione o di apprendimento, di umanizzazione, lo sembra ma non lo è. Archi resta quello che era, anche dopo che ha imparato a leggere e a scrivere e dopo che ha incontrato Dio. Anzi l'incontro introduce nella sua vita, come in precedenza in quella di Salomon, un livello di finzione e di ipocrisia ulteriore. La cultura rende Archi più subdolo e non ha la meglio sull'istinto, ma è al servizio dell'istinto sia in Archi che nel suo maestro Solomon. L'istrice che a un certo punto della storia ospita Archi è evidentemente un ingenuo e la compagna ha ragioni da vendere a volere la faina fuori della porta di casa e a guardarla con sospetto. La totale mancanza di slanci in questi animali rende la storia ossessiva e senza aperture. Mi aspettavo un libro duro come la collina dei conigli ma con gli stessi slanci invece no. Per me al libro manca qualcosa di necessario a livello di sostanza anche se la scrittura è ottima, l'incipit bellissimo.