Narrativa italiana Romanzi L'altra madre
 

L'altra madre L'altra madre

L'altra madre

Letteratura italiana

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Genny ha sedici anni e lavora in un bar a via Toledo: gli piace giocare a pallone e fare il buffone sul motorino. Tania di anni ne ha quindici, e va ancora a scuola: le piacciono le scarpe da ginnastica rosa e i bastoncini di merluzzo. La madre di Genny ha quarant'anni, ma sembra più vecchia: passa il tempo a fare gli orli ai jeans, venti orli ottanta euro; ogni tanto, per riuscire a respirare, si deve attaccare all'ossigeno. La madre di Tania fa la poliziotta, ha un corpo asciutto e muscoloso, ed è una con cui è meglio non discutere. Un sabato pomeriggio, in una strada del Vomero, le vite di Genny e di Tania si incroceranno in modo tragico: e una madre deciderà di vendicarsi. A modo suo.



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L'altra madre 2023-03-08 16:11:32 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    08 Marzo, 2023
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Di mamma ce n’è una sola

Di mamma ce n’è una sola: ed è verità sacrosanta, niente e nessuno ci amerà sopra ogni cosa, contro tutti ed a dispetto di tutto, lei sola è l’emblema autentico di Amore con la maiuscola.
Naturalmente, non tutte le madri sono uguali; perché ogni madre è, prima di essere tale, una persona, per cui l’amore di mamma si manifesta diversamente secondo il contesto ed il modo di essere, di crescere e divenire della genitrice. Ogni madre è mamma, ma ciascuna lo diviene a suo modo.
Un retaggio dell’imprinting ambientale.
Tutte le madri amano però con cuore di mamma, ognuna è a sé stante nei confronti della propria prole, però tutte sanno perfettamente, nell’intimo, cosa significa, cosa comporta essere madri.
I simili sempre si riconoscono all’istante tra loro, è legge inscalfibile di natura; le altre genitrici saranno pure estranee, così come i loro figlioli, ma per il semplice fatto di aver partorito, una madre riconosce la compiuta maternità in un’altra donna, e tutto quanto a questo consegue.
Resta una persona estranea, la loro prole a loro solo appartiene, non è intrecciata nell’anima come la propria carne, l’altra è la madre dell’altro, l’altra madre. Comunque, Mamma.
“L’altra madre” è un gradevole titolo di Andrej Longo, non uno dei più recenti, e però un volume snello, slanciato, armonioso, come lo sono tutti i lavori dello scrittore ischitano di nascita e napoletano d’elezione. Un romanzo essenziale, veloce, può apparire scarno ed è invece pulito, più che conciso, perché la scrittura di Longo è così, non descrive, trasporta nei luoghi, negli ambienti, nell’intimo dei suoi personaggi, è il narrato che parla chiaro di per sé, riporta fatti e azioni che si spiegano da soli, senza tanti giri di parole. Andrej Longo è un autore dotato, abile, perciò la sua è scrittura efficiente, per quanto nodale. Pur essendo un racconto scattante è vigoroso, ha forma piena, compiuta ed esaustiva nel suo dire e sottolineare, soprattutto perché è un lavoro attuale, fuori tempo, parla dei momenti che restano sempre aggiornati all’odierno, vigenti, effettivi. Andrej Longo descrive una realtà che conosce perfettamente, che si ripete ciclicamente come la vita, parla di lavoro e di lavoro che non c’è, discetta sul bisogno e sul degrado che produce bisogno, ragiona degli umili, dei comuni, dei proletari e degli ambienti dove si svolge la loro esistenza. Ambienta tutte le sue trame nei quartieri usuali ad ogni grande città, nemmeno di estrema periferia ma siti a margine, spesso a ridosso se non proprio al centro più antico delle metropoli. Qui gomito a gomito risiedono piccoli delinquenti e dignitosi lavoratori, famiglie per bene ed altre disastrate, o forse solo sfortunate, misere o a disagio, tutti faticano a sbarcare il lunario, e vicini tra loro convivono canaglie e galantuomini, bricconi e uomini onesti, tutta la variopinta umanità che si riscontra nei quartieri popolari e popolareschi dell’habitat dell’autore, Napoli, o in analoghe grandi realtà urbane.
“L’altra madre” è un principio, un incipit, poi il racconto si riflette nei figli, come naturale derivazione.
Genny ha sedici anni, Tania ne ha quindici, sono due giovani simili, eppure profondamente diversi, sono gli altri figli, i figli dell’altra.
Sono ambedue bravi ragazzi, all’alba della loro giovinezza trascorsa troppo in fretta, che già intende catapultarli nel vivo dell’esistenza.
Genny ha lasciato la scuola, è orfano di padre, la madre è una donna gravemente malata, che si arrabatta a crescere il suo figliolo malgrado l’asma e la malagevole difficoltà di respiro, che la costringe a trascinarsi dietro la bombola dell’ossigeno. Non rinuncia però ad industriarsi in un lavoro clandestino, gravoso e mal pagato, cuce l’orlo dei pantaloni per pochi euro, quasi che il suo sforzo fosse grazia ricevuta per vivere. Per estremo dileggio e sberleffo nei confronti del suo gramo vivere, la donna non esita ogni tanto a fumarsi una sigaretta, che innesca inevitabilmente una tosse convulsa, stando ben accorta a non farsi beccare dal figliolo che le rimprovera il suo vizio pericoloso.
Anche Genny, come tanti giovani proletari, si arrangia con un lavoro precario, ed in nero: è barman tuttofare in un piccolo bar del rione, si occupa anche delle consegne a domicilio di caffè e colazioni, sfrecciando per il quartiere a bordo del suo motorino truccato, che manovra con innata abilità.
La sua vita si svolge così tra il lavoro, la cura della mamma invalida, il tifare per il Napoli, lo sfrecciare sul motorino, il militare nella squadra di calcio del rione, stando ben attento a non ficcarsi nei guai, a tenere le distanze dagli amici di una vita, suoi coetanei, che per pari bisogno come il suo hanno però preferito intraprendere scorciatoie malavitose.
Tania invece è unica figliola di una famiglia monoparentale più che dignitosa, il papà li ha abbandonate, ma madre e figlia sopravvivono benissimo da sole, la donna ha un impiego disagevole ma sicuro, è infatti in Polizia, in servizio operativo sulle volanti. La giovane come tutte le sue coetanee ama lo shopping, le feste, i bei vestiti, ma sa perfettamente fin dove può spingersi nei suoi sogni e nei suoi desideri, una ragazzina con la testa ben piazzata sulla testa, l’orgoglio e la gioia della mamma.
Finché un giorno i destini dei due giovani, e per estensione delle loro madri, si intrecciano tragicamente, e da qui tutto il romanzo precipita inesorabilmente, con crudele irruenza, in una turbolenza di furia, di rabbia, aspra e cattiva, dura e idrofoba.
Longo descrive letteralmente una discesa agli inferi, e ritorno; delinea a chiare lettere, e però con pochi tratti incisivi, l’essenza del dolore, il peso amaro della croce, l’algia e lo struggimento dell’anima violata dalla sventura e dal patimento per la perdita di quanto più caro hai al mondo.
Il peggior strazio che esista, quello che ti lacera, ti macella, fa scempio delle carni, del cuore, del cervello, è disperato pianto perenne, supplizio, martirio, e non ti fa comprendere più nulla:
“…ora non lo sa più quello che è giusto e quello che è sbagliato. Non sa più niente.”
Tutto il racconto sembra ruzzolare allora da qui in poi rovinosamente in una vicenda da grand Guignol, un film scontato e prevedibile di un borghese piccolo piccolo che reagisce con rabbia cieca ad un evento assurdo e crudele, insensato e irragionevole, gratuito, che rintrona, altera la coscienza, ti sconvolge la mente.
Andrej Longo però non è autore scontato, e rassetta, riordina, regola la vicenda come è giusto che sia, in un confronto tra la madre e la madre dell’altro, l’altra madre.
Comunque, Mamma.




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Andrej Longo
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L'altra madre 2017-08-11 15:57:23 ant
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ant Opinione inserita da ant    11 Agosto, 2017
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Genny , Napoli e tante donne di valore

Il protagonista è sicuramente Genny, sedicenne napoletano che si destreggia bene non solo tra tazze e caffè del bar dove lavora, ma anche come calciatore e come motociclista, a fare da sfondo a tutte le traversìe di Genny c'è l'insostituibile Napoli col suo fascino millenario. Ma l'anima di questo libro, l'essenzialità , quel qualcosa in più che me lo ha fatto apprezzare particolarmente è rappresentato da 3 donne: Pinuccia la padrona del bar dove Genny va a rilassarsi e a incontrarsi con gli amici, una donna determinata e decisa che sa il fatto suo; poi c'è la mamma di Genny, sarta su commissione, gravemente malata, ma instancabile e pronta ad annullarsi per cercare di regalare momenti di serenità al figlio; ed infine Irene, poliziotta, tenace, determinata e apparentemente burbera. Le vite di queste 3 donne sono tutte intersecate con quello che succederà a Genny. In una Napoli disincantata e spietata, dove il confine tra la fanciullezza , i sogni e le aspirazioni di ogni adolescente devono , purtroppo, fare i conti a volte con un vivere troppo al di fuori della norma, ecco che il lettore viene catapultato in un thriller che lo tiene incollato al racconto senza potersi staccare. Il fulcro del libro gira tutto intorno a uno scippo finito male, ad agire Genny e il suo complice Salvatore, ad essere scippata Tania, la quindicenne figlia della poliziotta Irene, che , urtata, picchia la testa e muore. L'odio e la ferocia che questo gesto scatena in Irene sono indicibili, Irene si mette alla caccia degli autori del gesto che ha portato sua figlia al cimitero. Tutto da scoprire il finale, ma vi assicuro che nonostante la base di crudeltà ed efferatezza, non mancheranno grandi gesti di umanità e sensibilità.
Concludo estrapolando un passaggio a riguardo di una filastrocca che la mamma di Genny cantava al figlio x farlo dormire:
"passano i minuti e passano le ore
passa la gioia e pure il dolore
passa la notte e il giorno bello
passa la vita col suo fardello
...e quello che passa non torna più indietro"

Bel testo, bravo Longo

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L'altra madre 2016-09-14 04:18:44 Natalia Marino
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Natalia Marino Opinione inserita da Natalia Marino    14 Settembre, 2016
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Una poliziotta in borghese piccola piccola

È la sfrenata corsa del Sì a marcare la distanza tra il quartiere di Secondigliano, dove Genny e i suoi sedici anni abitano insieme alla madre malata di cuore, e il bar di via Toledo, dove l’adolescente cerca di tenersi stretto al suo lavoro. Anche Irene corre, di mattina presto, prima di indossare i panni della poliziotta disincantata. Lo scontro tra queste due vite e la battuta d’arresto inferta loro costituisce l’intelaiatura del romanzo di Andrej Longo, "L’altra madre" (Adelphi, 2016).
In questa riproposizione del tema del ribaltamento dei ruoli tra vittima e carnefice, l’autore conduce il lettore attraverso una Napoli il cui confine tra centro e periferia perde nitidezza quando ad oltrepassarlo è un motorino guidato con scaltrezza o un’auto della polizia a sirene spiegate; tuttavia, troppo difficile era aggirare gli stereotipi che questa ambientazione prepotentemente reclama e Andrej Longo, nonostante una grande sensibilità nel tocco, non sempre ci riesce.
Il motivo è quell’ambizione di raccontare per mezzo di un italiano regionale che, lì dove non si esercita con perizia da storico della lingua, rivela una mimesi del parlato inefficace, incatenando i personaggi a ruoli che, più che dal disegno originale dell’opera, sembrano imposti dal contesto in cui si muovono. Tipizzazione che spesso urta (Genny e i suoi motti 'devono' suscitare il sorriso perché è un ragazzo di estrazione popolare che non ha gli strumenti per osservare il mondo, Irene 'deve' essere rude, fredda perché è una poliziotta che cresce da sola sua figlia in una realtà difficile, Tania 'deve' coordinare al giubbino delle scarpe rosa e indossare jeans attillati perché è un adolescente), a discapito di un’astuta strutturazione del romanzo, che si propone di far trattenere il fiato a partire da quel primo capitolo cui segue una lunga analessi, cadenzata al ritmo dei giorni di appena due settimane di maggio.
Val la pena concedersi la lettura di queste pagine per la strenua volontà di trascinare il lettore in quel punto d’osservazione dove ogni azione mostra il cortocircuito che la scatena ed erompe, sorprendente, l’empatia.

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L'altra madre 2016-04-29 22:47:19 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    30 Aprile, 2016
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Genny e Tania

Non sapevo nulla di questo libro, né di questo autore, ma quando l'ho visto ho sentito l'impulso di doverlo prendere...ed ho fatto benissimo.
Un tuffo in una Napoli non proprio da cartolina.
Uno spaccato di quella parte della nostra società che non vorremmo vedere, che non vorremmo esistesse, ma c'è...
Ragazzi ai margini, alcuni senza possibilità di salvezza, altri che potrebbero ancora farcela.
Potrebbero.
Le vite di Genny e Tania si sfiorano in una strada del Vomero per pochi attimi, ma il loro futuro è compromesso per sempre. Per entrambi.
Mi sono arrabbiata, mi sono emozionata, ho pianto...
Ho pianto il dolore inconsolabile di una madre.
Ma ho pianto anche il dolore di un ragazzo nato nel posto sbagliato.
E poi ho pianto il dolore silenzioso...dell'altra madre, perché il dolore materno non conosce vittime e colpevoli.
E a voler cercare davvero il colpevole qui, finisce che ti perdi e non ti trovi più...
Ti perdi per le vie di una Napoli ferita, sanguinante, vile...ma a guardare bene, dentro quei bar fatiscenti, dentro quei casermoni senza colore né dignità, dentro gli occhi di un sedicenne con un piede già oltre il confine del bene, c'è ancora del buono, un piccolo germoglio da proteggere, una debole luce di speranza.
Divorato in un giorno, perché non riesci a staccartene, la scrittura è incalzante e trascinante, con quella sua "napoletanità" così presente, ma che non infastidisce chi napoletano non è (come me).
Duro, graffiante, verace...

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