Addio, mia amata Addio, mia amata

Addio, mia amata

Letteratura straniera

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Grazie alle sue armi di difesa personale – la tesa abbassata sugli occhi per principio, il sopracciglio inarcato per la stessa ragione, un fisico rispettabile nonostante gli stravizi –, Philip Marlowe potrebbe arrivare a fine mese guadagnando quanto basta, senza passare da un guaio all'altro. Specie quando si muove, come qui, nel suo ambiente naturale, la Los Angeles dei locali notturni. Ma purtroppo, anche se a vederlo non si direbbe, è curioso. E se davanti a un locale, mentre indaga su tutt'altro, nota un figuro in cappotto sportivo, palline da golf per bottoni e un abbacinante paio di scarpe di coccodrillo, vuole saperne di più: quindi lo segue all'interno, finendo a contatto ravvicinato col temibile Moose Malloy, e si mette poi sulle tracce della sua molto rimpianta vecchia fiamma, l'ancor più temibile Velma Valento. Il resto è tutto quello che ci aspettiamo da uno come Marlowe, ma con un'avvertenza: fra i suoi componenti romanzeschi collaudati, Chandler in Addio, mia amata ha scelto solo il meglio del meglio. Che agisce oggi come allora.



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Addio, mia amata 2021-04-29 07:07:28 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    29 Aprile, 2021
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Goodbye, my Darling

Questo secondo romanzo di Raymond Chandler dedicato a Philip Marlowe conferma quella che è stata l’impressione positiva che avevo avuto con “Il grande sonno”: sebbene non si confermi ai livelli della mia precedente lettura, questo romanzo presenta gli stessi toni e lo stesso stile che tanto mi avevano colpito. Siamo di fronte a un noir che si concede il lusso di non essere né troppo cruento né volgare, venendone fuori con un’eleganza che oserei definire unica nel suo genere. Certo, c’è da dire che Marlowe sembra quasi il Bond della situazione: belloccio e amato dalle donne, in certi tratti un po’ stereotipato, ma riesce comunque a catturare l’interesse del lettore ed è effettivamente una personalità magnetica che rappresenta il vero punto di forza del romanzo insieme al suo stile.
Forse è proprio per quanto riguarda i contenuti che vengono fuori le maggiori pecche: le vicende non spiccano per originalità (bisogna tuttavia tener conto dell’anno in cui è stato scritto: 1940) né vi sono colpi di scena da “mascella spalancata”, eppure la narrazione riesce a intrigare il lettore e a spingerlo a proseguire. Ne “Il grande sonno” v’erano anche dei brani di buona valenza letteraria, che tuttavia in “Addio, mia amata” sono assenti. Nonostante questo, credo che questo romanzo sia comunque una scelta migliore rispetto al novanta per cento di quel che offre il mercato attuale del genere: spesso un’accozzaglia di splatter e volgarità fini a sé stesse.
La storia che coinvolge Marlowe ha inizio quasi per caso: mentre svolge un suo lavoretto privo d’importanza si imbatte infatti in un uomo dalla mastodontica mole, che lo trascina con sé in un bar per gente di colore alla ricerca di una sua vecchia fiamma: Velma. Da questa breve sortita scaturirà un omicidio alla cui indagine, ovviamente, Marlowe proverà a prendere parte. Questo non farà che trascinarlo in un circolo vizioso che lo renderanno protagonista di altri eventi che comporranno la fitta trama del romanzo; una trama i cui collegamenti forse non saranno sempre chiari e limpidi come li mostrerebbe un Holmes o un Poirot, ma comunque apprezzabili.

P.S. Rimanendo su una prospettiva puramente estetica, se per ogni romanzo di Chandler Adelphi dovesse tirar fuori una così bella edizione, saranno tutte mie senza ombra di dubbio.

“So come ragiona certa gente. Il problema con i poliziotti non è che sono stupidi o disonesti o cattivi, ma soltanto che credono, per il solo fatto di essere poliziotti, di avere quel qualcosa in più che prima gli mancava. Un tempo, forse, poteva anche essere vero, ma oggi non è più così. C’è in giro troppa gente meglio di loro.”

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