La vedova Couderc La vedova Couderc

La vedova Couderc

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Un giovane ricco esce di prigione, non sa dove andare: si ritrova a convivere con una matura vedova in una casa di campagna lungo un canale. E' un rifugio, la promessa di una stasi biologica, di un auspicato torpore della mente. Ma altre donne interverranno a turbare quel precario equilibrio. Si scatena un inferno provinciale e insieme si accende l'occasione demoniaca per tornare al delitto.



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La vedova Couderc 2019-11-02 12:36:20 Scavadentro
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Scavadentro Opinione inserita da Scavadentro    02 Novembre, 2019
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Lucido, tragico destino

Questo testo del 1942 è pervaso di lucidità ed è un esempio di phatos attraverso pochi personaggi perfetti, interpreti di una vicenda simoblo funzionale a dimostrare come il destino di ogni uomo, a parere dell'autore, sia segnato indelebilmente e ad esso non ci si può sottrarre. Come di consueto Simenon descrive con stile asciutto e realistico non solo il panorama rurale immobile e chiuso della campagna francese del periodo, ma inserisce personaggi nel contesto assolutamente verosimili e connotati da caratteristiche fisiche e psicologiche nette e calzanti. La vicenda parte da Jean, giovane di famiglia ricca appena uscito di prigione, che vaga senza una meta precisa. Sulla corriera incontra la matura vedova Tati Couderc, la quale istintivamente lo “assume” come garzone imponendosi più che proponendosi. Quasi naturalmente Jean si abbandona in questa nicchia, cercando nelle mansioni campagnole (tagliare l'erba, pulire le gabbie dei conigli, attivare l'incubatrice per i pulcini, mungere ecc..) un oblio della mente e dei sensi; sempre seguendo il flusso degli eventi, facendosi trascinare, trova stasi e meccanismi quotidiani con un atteggiamento volutamente passivo. Ben presto diviene l'amante della vedova, che sfida la morale comune non nascondendo la relazione né ai gendarmi né agli abitanti del paese. Jean si illude di aver trovato una sorta di pace interiore scandita dal trascorrere del tempo: il destino è però ineluttabile e non si può sconfiggere. Fatalmente l'atmosfera si incupisce. Lo suocero vecchio e sordo che vive con Tati nella casa lungo il canale, è conteso dalle cognate, squallide come i loro mariti, che hanno come unica mira la “riconquista” della casa e dei terreni ora gestiti con fermezza e forza dalla vedova. Lei resiste con sprezzo, rifiutandosi di lasciare in mano dei parenti sia l'anziano (che comunque disprezza per la lascivia dello stesso) che i beni. Questo atteggiamento di difesa sfocia in liti e contrasti familiari, tra l'accerchiata donna e i suoi avversari che con ogni mezzo la contrastano. Lei è cocciuta e decisa, in quanto entrata in quella casa quattordicenne ha dovuto lavorare e sfinirsi per mantenere efficiente e produttiva la proprietà. Al culmine di un ennesimo scontro Tati viene ferita alla testa e deve forzatamente mettersi a letto rimanendo inferma. In tale condizione si affida all'uomo che ha accolto, delegando le mansioni ma vivendo in perenne stato di ansia, temendo che Jean decida di lasciarla e fuggire da lei. Ad appesantire la situazione trasformando il dramma in tragedia si inserisce la figura carnale di Félicie, vicina nonché sedicenne nipote della vedova. La ragazza, figlia della cognata e di un ubriacone violento e sfaticato, è permeata da una malizia sordida. Ella è già madre e priva di marito ed è avvezza ai piaceri sessuali. Jean, come privo di volontà propria ed anzi rassegnato, subisce il fascino erotico di Félicie instaurando un rapporto basico quasi animalesco. Egli cerca di celare a Tati la tresca, ma la donna, istintiva, viene colta da una gelosia ossessiva che fatalmente indurrà l'uomo a cadere nuovamente nel delitto.
Simenon dimostra di essere un maestro nel tratteggiare in poche pagine un mondo intero sia esterno che interno, che mette a nudo i peggiori istinti umani. Egli ci porta a prenderne atto, senza cercare scorciatoie etiche o vieppiù esprimere giudizi, ma lasciando al lettore lo spazio di indagine e di riflessione.

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La vedova Couderc 2015-06-22 08:44:27 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    22 Giugno, 2015
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Destini incrociati

Tati Couderc è una donna che ha già varcato la soglia degli otto lustri, non bella, ma interessante e possessiva, e come tale si comporta nella proprietà di campagna, di cui ha solo il possesso, giacché la titolarità di proprietario è del suocero, il vecchio Couderc, sordo come una campana, un po’ intontito, ma di certo non insensibile all’attrattiva dell’altro sesso. Giunta in quella casa quattordicenne come serva, era stata messa incinta dal figlio del padrone che poi aveva sposato. Morto il marito, Tati era restata con il vecchio e con il figlio, ben presto rivelatosi un fior di delinquente, tanto da essere spedito in Africa in un battaglione di punizione. Avida di guadagno, aveva lavorato come una stakanovista per curare da sola la campagna, cedendo ogni tanto alle voglie del suocero.
Il mondo descritto mirabilmente da Simenon è una realtà chiusa, immobile, dove predominano gli istinti primordiali senza che ci sia spazio per dei veri sentimenti. L’incontro di Tati con Jean, un giovane di buona e agiata famiglia uscito da poco di prigione, dove era stato rinchiuso per un delitto, scatena una passione febbrile, ma ci sarà un terzo incomodo nella relazione carnale fra lei e lui. Come una pentola di fagioli che bolle e che minaccia a ogni istante di far saltare il coperchio, alla fine l’amore possessivo di lei finirà con lo scontrarsi con il risveglio in lui per carni più giovani, e, come in una tragedia scespiriana, si arriverà a un drammatico epilogo, con i protagonisti perfettamente nel loro ruolo, incapaci di sfuggire al loro destino.
Mi riesce difficile, ogni volta che scrivo la recensione di un libro di Simenon, trovare parole nuove, perché la perfezione non ha bisogno di tante presentazioni o elogi: è così con’è e tutti possono accorgersene leggendo.
Questo mondo rurale, in cui l’orologio del tempo sembra essersi fermato, o al più andare a rilento, gli odi, le passioni che lo caratterizzano, la grettezza dei sentimenti che l’accompagnano sono espressi con un ritmo cadenzato, ma volutamente lento, una realtà che non è certo un’invenzione, ma che era effettiva allorché Simenon nel 1940 scrisse il romanzo. Poi una guerra, la ricostruzione, il predominio dell’industria sull’agricoltura hanno cancellato quella civiltà contadina che non era solo caratterizzata dai toni aspri e accesi, dalle violenze improvvise che scuotevano il torpore, ma anche dalla solidarietà, di cui possiamo avere un assaggio in queste pagine quando Tati, malata, fa vendere i prodotti del fondo a una vicina sul mercato settimanale. Ma resta questa primitività, fatta di rapporti umani più carnali che amorosi, di faide familiari, di scontri e di sangue, che Tati e Jean interpretano alla perfezione, tanto da essere indimenticabili, proprio come Simon Signoret (Tatì) e Alain Delon (Jean) nel bellissimo film del 1971 intitolato L’evaso, tratto, peraltro liberamente, da questo stupendo romanzo di Simenon.

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La vedova Couderc 2014-12-29 07:24:18 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    29 Dicembre, 2014
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Un uomo, la strada e una vedova

Il sole allo zenit traccia ombre corte e deformi, alberi e sporgenze, un uomo solo cammina lentamente sul ciglio della strada. Non ha bagagli, forse nemmeno meta, le braccia ciondolano lungo i fianchi alzandosi con poca convinzione al passaggio di un' auto solitaria. 
La corriera rossa avanza lentamente col suo carico di comari vestite di nero, e' giorno di mercato, di spese, di pettegolezzi. L'autobus si ferma e l'uomo sale, sette franchi e cinquanta per un passaggio sono tutte le monete che possiede. Gli occhi di Jean e della vedova Courdec si incontrano, si cercano, vanno, si appostano e tornano. E l'uomo segue la donna fino a casa, dove lei gli offre rifugio. Rifugio dalla strada, rifugio dai pensieri che lo assillano.
Alloggio di progetti o anticamera di morte solo il destino,  sconosciuto e intangibile, muove le sorti della natura umana consumandosi tra i muri imbiancati a calce ed il cortile soleggiato.

Molto semplice la trama e piuttosto prevedibile l'epilogo, la bellezza della scrittura di Simenon sta nella superba capacita' di tracciare scenari, ambientali o caratteriali che essi siano. La sensazione  di scorrevole verosimilta' rende il palcoscenico trasparente, separato dal lettore da una coltre di vetro priva di aloni. Antipolvere e antimacchia, Simenon costruisce una scena reale, la goccia di grasso cola dal prosciutto legato sopra il tavolo, l'odore di muffa e fieno del pagliericcio solletica il naso. La possessivita' della vedova Courdec si avverte in crescendo, cosi' come l'avidita' dei parenti serpenti, cosi' come l'apatia di Jean si trasforma da arrendevole a tormentata, malata, dolente, delittuosa. 
E' un autore ritrattista, dai colori tenui ma pungenti, che abbandona il lettore nel dubbio assurdo di non capire mai se si tratti di un romanzo vacuo o intenso. Penna che  per questo stordisce, a me piace molto.
Buona lettura.

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La vedova Couderc 2013-05-07 11:00:25 catcarlo
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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    07 Mag, 2013
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Georges Simenon: “La vedova Couderc”

Se la grande borghesia è marcia, come la famiglia d’origine del protagonista maschile, la piccola è un nido di vipere che farebbero qualsiasi cosa per riuscuire a mettere le mani sulla ‘roba’. E’ questo un tema costante nei romanzi di Simenon in cui non compare Maigret (ma anche quando in scena c’è il suo personaggio più conosciuto, lo stesso motivo di fondo viene assai spesso rieccheggiato): in una provincia ottusa – qui siamo dalle parti di Montluçon, nel bel mezzo della Francia – ad essere dominatrice incondizionata è la grettezza, trionfante su di un panorama umano senza possibilità di redenzione. Jean, appena scarcerato, finisce nel ginepraio della famiglia Couderc, i cui membri sono pronti a tutto in attesa dell’eredità (decaduta, peraltro) che arriverà alla morte del padre rimbambito e sessuomane: due sorelle di poca intelligenza che si dibattono in matrimoni mediocri e la vedova del fratello, ex serva, passata di grado grazie a un’inopinata gravidanza, che guida con polso fermo la fattoria avita. E’ lei che coinvolge Jean, facendone un’amante occasionale – anche se potrebbe essere suo figlio - e un uomo di fatica di notevole efficienza: le piccole ma numerose incombenze che il giovanotto deve affrontare ogni giorno danno una momentanea requie agli incubi del suo passato, in una stasi che si riflette nell’immobilità della natura circostante. Dura poco però, perchè lentamente gli intrighi attorno a lui e la passione per la giovane Félicie (che non si capisce mai se c’è o se ci fa, se è innocente, tonta come la madre o sottilmente perfida) finiscono per risvegliare i vecchi fantasmi e lo psicopatico che è in lui. Forse nel finale c’è qualche forzatura nell’azione – il libro è di sole centosessanta pagine – ma quello che ne esce è un quadro nerissimo, costruito con un abile succedersi di rivelazioni sul passato dei singoli personaggi narrate con una lingua semplice ma sempre capace di coinvolgere: ognuna di queste rivelazioni è un gradino in discesa e questo indipendentemente dal fatto che si tratti anche di un passo verso la tragedia finale. Con simili premesse, è inevitabile che al lettore sia impossibile identificarsi con qualcuna delle figure che si aggirano per il romanzo: il suo posto, allora, è di mettersi a fianco dell’autore e analizzare con freddezza assieme a lui il piccolo microcosmo che viene rappresentato. Attenzione, però, perché il pessimismo di Simenon sarebbe capace di schiantare anche il più inguaribile degli ottimisti, anche perché non c’è, a fare da controcanto, la tranquilla bonomia del commissario con la pipa.

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La vedova Couderc 2011-10-28 15:24:43 lella gritti
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lella gritti Opinione inserita da lella gritti    28 Ottobre, 2011
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Il dramma nella bucolica campagna

E' la storia di un predestinato a uccidere. Quando Jean esce di prigione (perchè accusaro di omicidio) incontra casualmente sulla corriera una vedova (la Couderc, detta Tati), una donna non più giovane e non bella, "solida e tozza", "piccola e larga".
Jean si piazza a casa di Tati con l'intento di redimersi a una vita "normale", immerso nella routine semplice della campagna.
Ma, dopo un'iniziale speranza di pace e serenità, l'ambiente di campagna si rivela per quel che è sotto l'apparenza: un ambiente gretto, squallido e torbido. E, comunque, pieno di tentazioni - al femminile - per Jean. Così il dramma si sviluppa lentamente in un crescendo di tensioni, con Jean avviluppato in una ragnatela di sentimenti da cui riuscirà ad uscire e a "ritrovare la pace" solo con un gesto drammatico.
Quello che più avvince in questo Simenon è l'apparenza di "normalità" e quasi di leggerezza bucolica in cui posiziona i suoi drammi e svela la duplicità dei personaggi. Mi viene da pensare a quei vecchissimi telefilm in bianco e nero di A. Hitchcock (v. YouTube) in cui il dramma, l'assassinio, ecc. piombavano folgoranti nel tran-tran della routine.

Ho un piccolo appunto su questo romanzo: io personalmente ho avvertito che era un po' datato, non così moderno e attuale come altri libri di Simenon. Probabilmente ciò è dovuto alla descrizione della campagna francese dell'epoca... (1942).

Inserisco qui l'incipit del romanzo a testimonianza della capacità di Simenon di coinvolgere e ammaliare il lettore fin dalle prime righe... l'uomo, la strada, la corriera rossa... lo scenario, lo sfondo della tragedia
"L’uomo camminava. Per almeno tre chilometri, su quella strada tagliata diagonalmente, ogni dieci metri, dall’ombra di un tronco d’albero, c’era soltanto lui; e a lunghi passi, ma senza fretta, andava da un’ombra all’altra. Poiché era quasi mezzogiorno e il sole si stava avvicinando allo zenit, un’ombra corta, ridicolmente schiacciata, la sua, gli scivolava davanti.
La strada saliva diritta e sembrava arrestarsi bruscamente in cima alla collina. Dal bosco, a sinistra, giungevano degli scricchiolii. A destra, nei campi i cui profili
bombati disegnavano forme simili a mammelle, c’era solo un cavallo, in lontananza, un cavallo bianco che trascinava una botte montata su quattro ruote; e nello stesso campo uno spaventapasseri, o forse un uomo.
La corriera rossa usciva in quel momento da Saint-Amand, dove era giorno di mercato, facendosi strada a colpi di clacson, lasciava l’interminabile via dalle case bianche e finalmente imboccava la strada fiancheggiata da due file di olmi. Raccoglieva un’ultima contadina che aspettava sotto il sole con l’ombrello aperto".

Esiste anche un film, "L'Evaso" che, a quanto ho letto, non è fedele al libro, ma ne prende spunto. Ci sono Simone Signoret e Alain Delon. Magari è da vedere!

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romanzi di intenso coinvolgimento emozionale
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