Dettagli Recensione
Un ragionevole dubbio
All’Osteria del Caffelatte, una libreria per insonni, aperta solo di notte, fino all’alba, Guido Guerrieri, avvocato, e pugile all’occorrenza, ci passa certe notti in cui il sonno non arriva, in compagnia del suo amico Ottavio, il padrone della libreria, di un buon libro e di un buon caffè.
Ma questa volta è Ottavio a cercare lui, lo chiama al telefono una mattina, perché ha bisogno del suo aiuto per un’amica, Elvira Castell: le occorre un avvocato perché ha sparato a un uomo, l’ex compagno della sorella, e l’ha ucciso.
Legittima difesa o omicidio premeditato?
Questo è il ragionevole dubbio che Carofiglio ci insinua nei sei mesi di indagini processuali, fino al verdetto finale, che non svela nulla di più né al lettore né allo stesso Guerrieri che ha assunto la difesa di questa donna, della cui innocenza non è convinto neanche lui.
Il romanzo è catalogato tra i gialli, o meglio tra i gialli giudiziari.
Assai riduttivo a mio parere.
A parte che più che un giallo è un mistero che non si rivela, ma il romanzo va decisamente oltre.
L’analisi prettamente tecnico-giuridica, va di pari passo con la terapia di psicanalisi che Guerrieri segue insieme al Dottor Carnelutti.
I dubbi su questo caso e una lettera, post mortem, di una sua ex, Margherita, mettono in crisi Guerrieri. Una crisi che estrinseca le sue paure, che sono poi le stesse di qualsiasi uomo che ha superato la metà della vita: il passare del tempo, inesorabile, e l’ineluttabilità della morte.
“Ero sgomento, terrorizzato e triste. Perché si deve morire? … – Perché è proprio questo che rende la vita bellissima e preziosa”
I dialoghi tra Guerrieri e Carnelutti sono pieni di spunti di riflessioni sul senso della vita, sul senso di giustizia, sui sogni, sulla nostra memoria e su come a volte la modifichiamo per darle un senso logico, che giustifichi la nostra interpretazione dei nostri stessi ricordi, come se costruissimo una storia, che in qualche modo ci fa comodo.
Ma allora quanto è fallace la nostra memoria?
“Il modo in cui ricordiamo può anche essere influenzato dalla nostra tendenza a costruire narrazioni coerenti. Quando rammentiamo un evento, se abbiamo questa inclinazione, lo riorganizziamo mentalmente, anzi riorganizziamo mentalmente le informazioni per fornire anche solo a noi stessi una storia coerente.”
“Costruiamo storie per dare senso, per cercare di mettere ordine nel caos. E le storie, a ben vedere, sono tutto quello che abbiamo.”
Il romanzo ha decisamente degli spunti autobiografici, Guerrieri ha la stessa età dell’autore, ne condivide l’esperienza giuridica, l’amore per il mare e per la sua città, Bari appunto, e ha i suoi stessi gusti musicali e letterari, espressi dalle frequenti citazioni di Carofiglio.
Il romanzo sembra lasciarci con un finale aperto, in realtà è un cerchio che si chiude: dalla lettera della sua ex, Margherita, morta di cancro, che nutre l’aspettativa di un futuro incerto e doloroso, all’incontro finale con l’ex moglie di un suo vecchio cliente, rinata, invece, dopo la guarigione da una lunga malattia, che ci lascia con un filo di speranza e di luce, all’alba di una notte, così buia, da non distinguere l’orizzonte
“Tutto era ancora buio e nel flusso di pensieri ingovernabili che mi attraversavano la mente per sparire veloci com’erano arrivati, uno fu meno fugace degli altri. Pensai che non si distingueva l’orizzonte. Nulla di strano, a dire il vero. L’orizzonte è la linea apparente che separa la terra dal cielo, che divide le direzioni percettibili in due categorie, quelle che intersecano la superficie terrestre e quelle che non la intersecano. Di notte l’orizzonte non si vede. Quindi non esiste? Perché è una linea apparente, appunto. Esiste solo se lo vediamo.”
Romanzo splendido a mio parere, un Carofiglio, profondo e commovente.