Elias Portolu
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Elias Portolou
Un modo piccolo circondato dal mare, un mondo sicuro, in antitesi con un continente cattivo, pregno di pericoli.
Un'isola in cui purificarsi, un mondo al di là del mare dove marcire e quasi da non nominare.
Si respira un'atmosfera lontana in “Elias Portolou”, fatta di scarpe rotte, di montagne insidiose, di natura maligna, ma di sentimenti profondi e devastanti.
La Deledda descrive i personaggi in modo da renderli quasi vivi di fronte ai nostri occhi, regalando loro una forza espressiva degna di un film.
Ciò che colpisce al di là dello stile moderno ed asciutto è la capacità di suggerire, attraverso azioni e non descrizioni, gli stati d'animo, la vicenda e gli sconvolgimenti interiori sia di Elias, protagonista indiscusso e foriero della tematica principale, ma anche dei comprimari, riuscendo così in un'intricata trama fatta di numerosi fili a definire in modo perfetto il microcosmo in cui la vicenda si svolge.
La natura si pone come sfondo di questo teatro, in cui gli attori recitano la loro opera e se Elias è la rappresentazione dell'irruenza e della colpa, della forza di volontà sconfitta dalla passione, Maddalena, sposa di suo fratello, diviene a tratti la vittima e a tratti la tentatrice, la pura “colomba” e la peccatrice.
Il punto di vista, pur rimanendo sempre neutro, poiché la Deledda non si erige mai a giudice, si limita a descrivere, con dovizia di particolari, una realtà possibile, viene cambiato di continuo e Elias genera pietà, rabbia, compassione.
Elias pecca e poi si confessa, Elias promette e non mantiene, Elias genera e non accudisce.
Se ci si ferma al piano narrativo senza dubbio non si riesce ad apprezzare fino in fondo quello che è questo romanzo ed io stessa appena concluso, ho provato una delusione; troppo semplice, troppo veloce, ma poi, col passare dei giorni, quei personaggi, quei luoghi arrampicati su rocce scoscese, riaffiorano, quei turbamenti dell'animo divengono propri e tutto assume un senso più profondo e la vicenda trascende le pagine materiali del libro per diventare essenza di un tempo e di un luogo che a suo volta diviene essenza dell'umano sentire.
Elias diviene la Sardegna e poi il mondo intero; la Deledda si fa portavoce di un disagio universale ed è per questo che pur rifacendosi al verismo di Verga e della Serao se ne discosta, perché racconta un'epoca, descrive ciò che davvero esiste, ma non si limita a questo, riesce in un modo quasi magico a far respirare le emozioni, generando nel lettore un'empatia che porta a soffrire con i personaggi, non solo durante la lettura, ma anche dopo.
Lo stile, come accennato è moderno e minimalista, l'intensità del lessico rende la lettura non sempre scorrevole e le tematiche trattate spesso sono esasperate, ma non si deve far l'errore di scindere gli elementi che compongono il romanzo, perché essi se analizzati singolarmente appaiono ridondanti e e eccessivi, la maestria della Deledda sta tutta nel creare un'alchimia tale da rendere il tutto un prodotto di strepitosa intensità evocativa.
Indicazioni utili
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 2

Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
"Ragione e sentimento"
"Elias Portolu, non sei un pastoraccio qualunque, ed hai studiato e sofferto, e puoi capire queste cose".
I Portolu sono una famiglia di pastori del Nuorese, tutta dedita al lavoro ed alle buone pratiche legate alla religione; all'inizio della storia, Elias, uno dei tre figli di zia Annedda e zio Berte Portolu, è appena tornato a casa dopo aver scontato un periodo di prigionia nel continente, mentre suo fratello Pietro si è fidanzato e sta per prendere moglie.
Elias è un ragazzo sensibile e dall'animo nobile, che, per dirla con prete Porcheddu, sacerdote cui il giovane si rivolge per ottenere alcuni consigli, guarda la luna "non per indovinare le ore, come tutti i pastori, ma con sentimento alto, solenne". Proprio questa delicatezza d'animo, però, lo espone a forti crisi e travagli interiori: così, quando il giovane sente crescere dentro di sé la passione amorosa per la sua futura cognata, Maddalena, finisce per ammalarsi gravemente, combattuto tra cuore e ragione morale, tra la propria speranza di felicità e il sereno avvenire di suo fratello Pietro.
Accanto a questo conflitto, Elias vive anche l'altro grande dilemma legato alla propria vocazione religiosa, vista da una parte come un approdo sicuro contro le tentazioni del mondo (in primis l'amore proibito per Maddalena) e, dall'altra, come possibile inizio di un cammino ancora più in salita.
Un'opera moderna, dunque, dove l'incapacità del protagonista di compiere una scelta interiore definitiva e la difficoltà nell'interpretare del tutto coerentemente un ruolo all'interno della società sembrano anticipare, in parte, la fisionomia dell'"inetto", figura tipica dei grandi romanzi del Decadentismo.
Particolare come sempre, infine, lo stile della Deledda, intriso di modi di dire popolari e vocaboli sardi, a volte di non facile comprensione. Del resto, si sa: ogni cuore parla una lingua tutta sua.
Indicazioni utili
LE COSE DELLA VITA
Pubblicato a puntate nel 1900 sulla Nuova Antologia, il romanzo risente in modo evidente della periodicità della pubblicazione, principale artefice di uno squilibrio fra le parti che purtroppo genera disarmonia, proponendo una narrazione lenta e fortemente descrittiva per i tre quarti dell’opera la quale va poi a culminare in un crescendo di eventi sempre più drammatici e, purtroppo, assai prevedibili.
Elias è un giovane sardo, lo conosciamo al rientro dallo sconto di una pena in un carcere del continente. È un elemento di rottura in un mondo che fa dell’onore e della balentìa due dei suoi tratti peculiari. In fondo è solo un giovane dall’animo “debole”, direi io gentile, spesso preda delle sue emozioni e in eterno conflitto con se stesso. Conosce Maddalena, la futura cognata, e se ne invaghisce immediatamente, corrisposto, nonostante si celebrino presto le nozze e lui sia intenzionato a farsi prete. La passione genera un figlio e stride con la vita che, in un susseguirsi di lutti, rammenta la vacuità della condizione umana soprattutto se consegnata tutta alle passioni.
Il testo non brilla nell’impianto narrativo, non si nutre di elementi lirici, non offre grandi spunti di riflessione eppure ha la sua valenza che è profondamente radicata nella terra sarda, nella descrizione di usi e costumi, nella restituzione di una realtà socio antropologica che ora ci appare infinitamente distante dai nostri pseudo valori e dalle odierne realtà sociali. È un mondo strettamente correlato al ciclo delle stagioni, al paesaggio, alla liturgia, complicato però da un substrato di credenze ataviche, misteriose, magiche che cozzano anch’esse con le pulsioni, le passioni, i sentimenti, le emozioni, le scelte, gli errori, la vita.
La Deledda indaga l’animo umano, lo espone ai più torbidi sentimenti , lo passa al vaglio di un sistema di valori fortemente intriso di religione cattolica, lo settaccia e lo rigenera nella fede e tramite la misericordia divina. Pochi slanci narrativi degni di nota, abbondanti ed efficaci descrizioni, un sapore genuino di Sardegna tra realismo e melodramma.