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Belgravia
 
Belgravia 2020-01-06 11:35:12 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    06 Gennaio, 2020
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Il passato "non" è una terra straniera

Cosa accomuna i Bellasis, conti di Brokenhurst, antica stirpe appartenente alla migliore aristocrazia britannica, e i Trenchard, l’oscura famiglia di un costruttore che proviene dal commercio e ha edificato il famoso Belgravia, il quartiere più alla moda nella Londra del primo Ottocento? A unirli un filo tanto sottile quanto possono diventarlo le ferree convenzioni sociali quando c’è di mezzo un importante segreto da proteggere. Un segreto che, se rivelato, ha il potere di precipitare nella polvere e innalzare alla gloria la vita di molte persone.
Fra piccoli e grandi intrighi, amori ostacolati, fraintendimenti, scalate sociali, Julian Fellowes, il premio Oscar autore della celebre serie tv "Downton Abbey", traccia con mano felice, leggera e sicura un’opera che è un ibrido perfetto tra il feuilleton ottocentesco, il romanzo storico e la commedia degli equivoci. La penna dello sceneggiatore di "Downton Abbey" si riconosce nello stile curatissimo, nella deliziosa e delicata ironia, nei dialoghi tanto garbati quanto acuti e frizzanti, nei personaggi articolati e multi sfaccettati, mai tutti bianchi o tutti neri, nell’intreccio basato su una fitta serie di intrighi e rimandi dialettici tra upstairs e downstairs, tra il mondo dei padroni, più o meno ricchi, più o meno aristocratici, più o meno amati, ma pur sempre padroni, e i ranghi dei domestici (ancora più serrati di quelli della buona società), a volte fedeli servitori, a volte quasi amici devoti, a volte arrivisti pronti a tradire e ricattare per ottenere denaro o una promozione.
Se il mondo downstairs costituisce l’altra faccia del mondo upstairs, a fare da contrappeso agli aristocratici Brockenhurst sono invece i Trenchard, il cui capofamiglia, James, è tenacemente impegnato fin da giovane in un’ardua scalata sociale, tanto goffo e imbranato nei salotti londinesi quanto capace, spregiudicato e determinato negli affari. Ben diversa è la moglie Anne, tranquilla, riservata, ancorata alla sobria realtà, eppure rassegnata sostenitrice degli irrealistici sogni di gloria del marito. Ancora diversi sono gli anziani coniugi Brockenhurst – abile e determinata lei, apatico e distratto lui – che hanno perso a Waterloo il loro unico figlio ed erede diretto e vivono quello che gli rimane con l’amara consapevolezza che nulla resterà del loro passaggio sulla Terra quando l’avranno lasciata. Tutti loro sono legati dal mistero che ruota intorno a Charles Pope, giovane borghese di belle speranze, serio, lavoratore e affidabile, esattamente l’opposto di John Bellasis, nipote ed erede dei Brockenhurst, un gaudente scapestrato che vive solo per divertirsi e sperperare denaro mentre attende di entrare in possesso dell’eredità degli zii, ammesso che qualcuno non riesca a portargliela via. Un sottile gioco di equilibri, quello su cui "Belgravia" si regge con spontanea, elegante perfezione e che ha permesso a un enorme segreto di restare nascosto per venticinque anni fino alla comparsa improvvisa di Charles Pope. È il suo arrivo sulla scena di Belgravia, tra i salotti e i ricevimenti dell’alta società londinese, a mettere in moto una catena di eventi, equivoci e fraintendimenti che, nonostante la prevedibilità del finale, è uno spasso dalla prima all’ultima pagina.
Il passato è una terra straniera, scrive Julian Fellowes rifacendosi a un vecchio modo di dire, un mondo lontano, diverso dal nostro e ormai dissolto nelle nebbie del tempo, anche se in fondo gli uomini e le donne, con i loro sentimenti, i loro desideri, le loro paure, le loro ambizioni, sono sempre gli stessi. Per i Bellasis e i Trenchard, però, la situazione è ben diversa e quello che credevano morto e sepolto è ancora drammaticamente vivo, pronto a bussare alla porta, alterare gli equilibri e sparigliare le carte in tavola, mostrando tutta l’assoluta, beffarda imprevedibilità del destino. Il passato, dopotutto, non è affatto una terra straniera.

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