Via The End Via The End

Via The End

Letteratura italiana

Editore


Una giovane e brillante psichiatra viene ingaggiata da una delle migliori cliniche per malattie mentali. Non tarderà ad accorgersi che nell’istituto qualcosa non va: alcuni pazienti vengono dimessi in maniera del tutto arbitraria mentre altri sprofondano in oscuri deliri, la cui comune matrice sembra essere una grotta che funge da preludio per terribili accadimenti. La stessa protagonista sarà oggetto di visioni in cui, dietro la parvenza di esseri umani, si celano esseri soprannaturali. Ben presto scoprirà la sorte toccata ai pazienti dimessi e sarà ella stessa vittima di qualcosa di inaspettato ma necessario. Com’è necessaria la presa di coscienza nei confronti della nostra storia, la storia dell’umanità, del peccato e del senso di colpa che ci stiamo trascinando dietro senza più sapere neanche perché.



Recensione della Redazione QLibri

 
Via The End 2013-04-30 10:45:03 Angelica Elisa Moranelli
Voto medio 
 
1.3
Stile 
 
1.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
1.0
Angelica Elisa Moranelli Opinione inserita da Angelica Elisa Moranelli    30 Aprile, 2013
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Via The End

Con Via The End, primo volume di una trilogia, Antonietta Mirra dichiara un’intenzione ambiziosa: far aprire gli occhi all’Umanità “su ciò che davvero si cela dietro i concetti di colpa e libero arbitrio”. In sostanza, si parla dell’eterna lotta fra Bene e Male, nella quale, una giovane e brillante psichiatra dovrà vedersela con gli strani medici e pazienti di un istituto d’igiene mentale e con alcune sinistre visioni.

La lettura, però, presenta una serie di intoppi.

Il primo è che mi sono resa ben presto conto che la sintesi che mi aveva attirato, riportata sull’aletta, era, in realtà, l’intera trama del romanzo, comprensiva di spoiler e di finale.
La presentazione (non il riassunto!) ha la funzione di attrarre il lettore, non di raccontargli tutto quello che accade nel libro, togliendogli l’effetto sorpresa e il piacere di fare “congetture”, specialmente se il testo è caratterizzato da una focalizzazione interna (e quindi votato alla suspense).
Ma questo è solo un dettaglio: purtroppo (e dico purtroppo perché odio fare recensioni negative di scrittori esordienti), “Via The End” presenta parecchi problemi, sia nella forma che nel contenuto.

L’impressione è che il romanzo sia stato scritto di getto e mai sottoposto ad editing, in alcuni punti sembra sia il risultato della collazione di scritti di varia natura (pensieri sparsi, poesie, pezzi di racconti) forzatamente messi insieme, con un risultato finale frammentario e poco scorrevole.

Ci sono una serie di ingenuità di stile e veri e propri errori (anche gravi), sia di punteggiatura (la virgola tra soggetto e predicato, punti interrogativi mancanti), di ortografia (“né” scritto senza l’accento, ad esempio), di impaginazione (a capo improbabili).

Gli errori più frequenti sono quelli di stile e di contenuto.

Parto dall’incipit: “il telefono squillò e sembrava che non l’avesse mai fatto prima”.
Esattamente che tipo di sensazione ci trasmette questa frase? Nessuna. Il lettore recepisce soltanto che il telefono squilla, non ricava alcuna informazione aggiuntiva dal fatto che “squilla come se non l’avesse mai fatto prima” perché questa aggiunta, in realtà, non significa niente riferita ad un oggetto.

Ancora: “Samantha alzò lo sguardo dal libro di psichiatria che stava leggendo e guardò l’apparecchio incerta se lasciarlo urlare fino all’inserimento della segreteria o decidersi ad interrompere quella violenza simulata su un oggetto inanime e rispondere senza voglia”.
Troppe parole e l’insieme diventa prolisso e pesante.

Un altro problema riguarda i tempi della narrazione, a volte completamente sballati, con passaggi bruttissimi dal trapassato prossimo al passato remoto: “Samantha lo aveva constatato un anno prima, lavorando in un gruppo di medici della sua città, a cui capo c’era uno degli psichiatri più famosi della regione. Decise di abbandonare quel posto dopo aver assistito a una scena raccapricciante a danno di un paziente che lei non potette in alcun modo evitare”. E questo problema si ripropone costantemente nel testo, dove a volte il passato remoto viene usato nei dialoghi (“andai” / “vidi” sono forme dialettali).

Altro problema, i dialoghi.
1) Chilometrici: è francamente impossibile pretendere di tenere viva l’attenzione di un lettore, quando gli si propone un dialogo in cui ogni intervento dura due pagine.

2) Inutili: spesso comunicano informazioni inutili (tipo: “ciao”/ “ciao” / “come stai?” / “tutto bene, grazie”).

3) Poco realistici: molto spesso utilizzano un linguaggio ridondante, formale, da lettera istituzionale. Esempio: il padre si Samantha, preoccupato perché la figlia non risponde più al telefono, le dice: “Mi ha chiamato ieri [un amico di lei, ndr] dicendomi che tu non rispondi a nessuna delle sue chiamate, rendendoti irreperibile”. L’ultima è un’osservazione ridondante, nessun essere umano preciserebbe una cosa del genere, essendo già chiaro il concetto nella frase precedente. “Mi ha chiamato ieri, mi ha detto che non rispondi alle sue mail” è un po’ più vicino alla realtà, ad esempio. Altro esempio di linguaggio inappropriato in un dialogo: il vice direttore dell’ospedale che dice “[...] altrimenti la faccio subito accompagnare nel suo appartamento, con la promessa di rivederci domani”. Benché la situazione sia formale, gli esseri umani tendono a non parlare come in un testo scritto, nessuno al termine di una discussione concluderebbe dicendo “cordiali saluti”.

Frequentemente nel testo s’incontrano pagine che sembrano uscite da un manuale di psichiatria messe in bocca a persone che stanno parlando in maniera informale e non a un convegno scientifico.

Ancora, il voler a tutti i costi spiegare le sensazioni della protagonista, porta l’autrice a commettere errori di stile come questo: “Il cuore le batteva talmente forte da impedirle di pensare. Nella sua mente il suono dell’organo vitale le rimbombava come se stesse uscendo fuori dal corpo e stesse per schizzare via chissà dove”. L’uso di ”organo vitale” invece di cuore, per evitare la ripetizione, è brutto, in realtà tutta la seconda parte si poteva evitare, perché ripete un concetto già espresso!

Non manca il classico infodump: “in fondo al corridoio c’è l’ascensore, il bagno e l’ufficio del direttore dal quale siamo appena usciti”, nella realtà nessuno avrebbe riportato una notizia evidente ad entrambi i protagonisti della scena.

Altre cose che proprio mi hanno fatto storcere il naso: occhi che “si fissano nel soffitto candidamente bianco”, capelli “buttati indietro con la gelatina”, gente che rimane a fissarsi per dieci minuti senza che nel frattempo accada nulla (provate a fissare qualcuno per soli 30 secondi e vedrete che sono già un’eternità.)

Troppo spesso l’autrice esagera con le metafore e il linguaggio “elegiaco”, dando vita a frasi totalmente nonsense: “le pareti che dovevano essere imbrattate di inchiostro nero, espressione ululante di un intenso delirio dell’animo, sgorgante come fosse sangue dal corpo di un essere impaurito del proprio riflesso perché convinto di esistere solo in quello, erano immacolate come le vesti di una vergine esangue, in cerca di spiritualità che sa di consapevole abbandono”.

Elencare tutti i problemi di stile sarebbe lungo perché, ripeto, sono davvero tanti.

A dire il vero il testo, nella seconda parte, migliora leggermente, anche perché aumenta l’azione.
Il contenuto del romanzo non è originale, ma poteva essere trattato in modo da renderlo attraente per il lettore, il problema reale è come il romanzo è scritto, pesante e pieno di errori. Andrebbero tagliate intere pagine che rallentano la narrazione, senza essere utili alla trama. Insomma, tra la scrittura e la pubblicazione ci sono una serie di tappe intermedie che, in questo caso, sono state saltate a piè pari.

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