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L'amica geniale

Letteratura italiana

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L'amica geniale comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava intanto nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame.



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L'amica geniale 2025-01-06 16:58:57 lego-ergo-sum
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lego-ergo-sum Opinione inserita da lego-ergo-sum    06 Gennaio, 2025
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Come se fossero persone reali

Ai personaggi dei grandi romanzi spesso ci affezioniamo, vivono con noi, li giudichiamo, li valutiamo, come se fossero persone vere. Io, con L’amica geniale, mi sono spinto più in là e, un po’ per gioco, un po’ per deformazione professionale, al giudizio sintetico ho fatto seguire anche un voto. Niente a che vedere, ovviamente, con la vera critica letteraria. P.S. Ogni tanto si spoilera, ma tra libro e adattamento televisivo (con annesse repliche) dovremmo conoscere tutti il finale. Secondo P.S. C'è un'altra mia "opinione" in questa pagina sulla stessa opera, ma di taglio totalmente diverso.

Pietro Airota: Tutto casa e università, nella sua vita irrompe una donna da sempre innamorata di un altro. Pessima premessa per qualsiasi matrimonio. Qui comincia la sua disavventura, costellata di tanti episodi. Quando uno studente presentatosi agli esami totalmente impreparato gli punta addosso la pistola perché lo vuole bocciare e lui vuole denunciarlo, gli si scatena contro il coro unanime, vagamente omertoso, di madre, padre e consorte (è un compagno che sbaglia? E’ anche lui rampollo di accademici?). Quando Pasquale Peluso e Nadia li raggiungono a Firenze e bistrattano Pietro (vedi alla voce Pasquale Peluso), Elena si schiera coi due, terroristi e cafoni nel contempo. Chiuso nella sua torre eburnea e un pizzico maschilista, non presta molta attenzione alle fatiche letterarie della moglie. Del resto, ad uno così se non gli piazzi sulla scrivania un saggio sul De reditu di Rutilio Namaziano è difficile che lo smuovi. Va a cercarsi Sarratore e lo introduce in famiglia, ignorando che oltre all’intelligenza, da cui è attratto, possiede altre qualità meno accettabili per un marito. Lenù riscopre i segni dell’antica fiamma, ma scopre e testa anche i punti dell’appartamento più consoni ad accoppiamenti furtivi, non esclusi i servizi igienici. In preda ad una crisi di nervi , non priva di giustificazioni, costringe Elena a rivelare il suo tradimento a quelle due poverine delle figlie. E’ il suo punto più basso. Dopo la inevitabile separazione, continuerà però a stare accanto alla ex moglie e a sorreggerla con affetto nei momenti difficili, tipo il post-terremoto.. Al telefono, certo, ma Nino neanche quello…
Ingenuo, vittima: 6

Pasquale Peluso: E’ il primo amore di Lila, ma, almeno, ha evitato di farne un idolo e non è entrato nelle sue spirali perverse (a meno che non sia stata lei a programmare certe azioni violente, ma fa parte di un non detto). Militante comunista, segretario della sezione locale, diventa poi terrorista. Recita la sua scena madre quando si reca in visita ad Elena e Pietro a Firenze (in realtà è cominciata la sua fuga, è ricercato). Utilizza tutti i comfort borghesi che la famiglia Airota mette a disposizione, ma questo non gli impedisce di sferrare un incredibile attacco verbale contro il padrone di casa, reo di non fare un vero lavoro e di essere un parassita sociale. La sua tirata contro il ceto intellettuale rivela una visione reazionaria e criptofascista, come il povero Pietro fa notare, inutilmente, alla moglie (è scappata dal Rione, ma guai a chi glielo tocca). Non tornerà mai più a Napoli, ma Elena, quando i Solara verranno uccisi, sospetterà che dietro ci sia la sua mano. Pur con tutta la comprensione per aver visto da piccolo il padre, anch’egli militante comunista, portato in galera per un omicidio non commesso e la madre suicidarsi dopo la morte del marito,per la sua arroganza, la maleducazione, l’intolleranza, la rozzezza, l’adesione ad una causa che storicamente ha fatto solo danni alla nostra Italia, non va oltre il 4.

Gigliola Spagnuolo: si unisce a Michele Solara, che le costruisce intorno una gabbia dorata, la casa di Posillipo da cui si vedono il mare, il golfo, il Vesuvio. Quando Elena va a trovarla, le indica il panorama chiedendole se dal Rione si sia mai visto qualcosa di simile. Certo che no, ma a quale prezzo? In tanta illecita opulenza, si sente sola, la sua unica funzione è quella di fare figli e di badare alla faccende domestiche, il suo destino è vivere accanto ad un malavitoso che ne fa di tutti i colori, che la tradisce continuamente e che ama, non ricambiato, solo e soltanto Lila. Uno che non esita a mostrare in pubblico tutta la propria insofferenza nei suoi confronti e a definirla praticamente una rompiballe (penso alla grandissima scena del pranzo a casa di Marcello ed Elisa). Certo, la sventurata poteva fare una scelta diversa, ha sacrificato la libertà per la ricchezza e gli agi. Per questo si porta sempre appresso quel fondo di dolore, insoddisfazione, invidia, rabbia che divora se stessa. Arrampicatrice, moglie del peggiore dei mariti, le diamo 5 per aver sopportato un uomo del genere, però poteva calcolare meglio vantaggi e svantaggi di una simile unione. La sua morte, raccontata soltanto nel libro, conclude tragicamente un'esistenza infelice.

Michele Solara: Boss del quartiere col fratello Marcello, è affascinato, anzi soggiogato da Lila e soprattutto dalla sua intelligenza. La presunta, unilaterale fidanzata, si chiude nella sua stanza quando, entrambi giovanissimi, viene a farle visita, snobbandone attenzioni , regali, profferte matrimoniali, gradite invece alla famiglia Cerullo. Quando parla del suo concentrato di Beatrici, Laure, Angeliche, Dulcinee, si dimentica di essere un criminale e attinge parole ed espressioni alla sfera di un linguaggio inopinatamente lirico e poetico. Ah, l’ammore che fa fà. Cerca di coinvolgerla almeno nelle sue fiorenti attività economiche e ci riesce per qualche tempo, sfruttando le conoscenze di informatica che la sua mancata amante ha assimilato ripetendole la sera tardi con il compagno Enzo Scanno (er mejo fico der bigonzo: 8). La grande manipolatrice insegna ad Alfonso Carracci (6, per aver dovuto portare il peso della sua diversità a quei tempi e in quell’ambiente) a vestirsi da donna, ad imitarla, a diventarne quasi una copia. A portare fuori e vivere pienamente quella cosa oscura che si portava dentro da sempre: la sua reale condizione di genere. Riesce nel suo intento: Alfonso diventa agli occhi di Michele l’oggetto sostitutivo del suo amore impossibile per Lila. Nel frattempo Solara continua a seminare delitti e dolore. Ma verrà un giorno, come profetizzava qualcuno. E il giorno viene, sotto forma non di epidemia ma di agguato: lo uccidono insieme al fratello, che lo aveva redento da una relazione proibita, un tabù, ancor più tale in certi ambienti criminali (e poi, così ostentata… si fa, ma non si dice, caro MIchele). Nell'adattamento tv le mogli e i figli scappano via mentre i due cadono come tanti erano caduti su loro mandato. Merita 8 come personaggio letterario, 4 sul piano umano. Gli evitano un voto ancora più basso l'attenuante di essere incappato nei disegni contorti di Lila e quella vena di romanticismo che a tratti affiora in quella sua anima malvagia.

Raffaella Cerullo: si stenta a capire cosa voglia dalla vita. Il suo malessere deriva chiaramente dall’ambiente in cui è nata, ma lei non fa nulla per evaderne. Manda avanti, ad esplorare la possibilità di nuovi orizzonti, il suo avatar Elena Greco, vuole che studi, la incoraggia a scrivere, la rimprovera quando devia dal disegno che ha in mente per lei, cosicché nel suo rapporto con questa sorta di alter ego alterna amore profondo, attaccamento viscerale, odio, perfino invidia. Le grandi manovre della stratega si estendono a tutti ed in particolare hanno come bersaglio i Solara, con i quali pure entra in affari, e come strumento Alfonso (vedi alla voce Michele Solara). Anche quando sparisce dalla circolazione ed Elena è ormai anzianotta, le spedisce le due famose bambole del capitolo iniziale, a ricordarle che il loro legame è inscindibile al di là della lontananza e del tempo trascorso. In tutti quegli anni aveva nascosto all'amica di averle recuperate e anche questo sarebbe da approfondire. Ha evidenti problemi mentali, ogni tanto le pare che i confini delle cose si dilatino, che vadano soggette ad una “smarginatura”, termine tipografico a cui dà una personale interpretazione, estendendolo ad una visione catastrofico-lucreziana dell’universo. Il fenomeno si ripete il giorno del terremoto, quando questa patologia sembra uscire dalla sfera della sua soggettività e investire l’intero mondo. Il suo parto è una mezza tragedia, non spinge, non collabora. Già la gravidanza era stata un disastro. Il rapporto con la creatura che portava in grembo era, a dir poco, problematico. E’ distratta da Sarratore mentre le rapiscono la figlia (a qualcosa del genere allude la figlia maggiore di Elena quando la definisce una cattiva madre). Aveva trovato uno che la adorava ed era disposto a tollerare i suoi scatti, i suoi sbalzi d’umore, le cattiverie improvvise, le stilettate offensive, ma alla fine fa stancare anche Enzo Scanno (pure la pazienza dei martiri ha un limite), anche se è lei a fare il primo passo verso la separazione. Grande personaggio letterario (9), ma, sul piano umano, non merita più di 4.

Elena Greco: Ma insomma, chi delle due è l’amica geniale? Sicuramente non Lenù, letterata notevole, brava scrittrice, ma teleguidata da Lila con vera, pur se perversa genialità. La sua vita privata è una catena di disastri: attaccata “come l'ubriaco alla bottiglia “ (Baudelaire) al suo grande amore adolescenziale, pianta baracca e burattini appena questi le si dichiara. In realtà Nino Sarratore (voto:3) è affetto da dongiovannismo acuto. A lui si attaglia alla perfezione il famoso catalogo che il servitore del mozartiano sciupafemmine squaderna ad una Elvira allibita nella celebre aria: “Madamina, il catalogo è questo”. Il Leporello della situazione qui è Antonio, il primo amore di Elena: “Non si picca se sia ricca/ se sia brutta, se sia bella/ purché porti la gonnella/ voi sapete quel che fa”. Ma Lenù aveva già aperto gli occhi (era ora!) quando l’aveva visto all'opera ancora una volta nel bagno di casa (da Firenze a Posillipo, la sua location preferita non muta) con l’attempata collaboratrice familiare (Nino fraintende qui il significato della qualifica). Finalmente la letterata mette a frutto anche nella dimensione personale la sua vasta cultura e attribuisce al bellimbusto cui ha sacrificato mezza esistenza una sorta di “eterosessualità fragile”. Proprio quello che alcuni colgono nel personaggio di Don Giovanni e nella sua brama di donne perennemente insoddisfatta. Lenù, anche prima di cornificarlo, tratta malissimo il marito, parteggiando sfacciatamente per tutti coloro che lo contrastano, dal prode Sarratore agli amici d’infanzia, per quanto terroristi e maleducati. Arriva a dire che a Pietro manca la risposta pronta dei ragazzi del Rione. La salvano, nella valutazione complessiva, l'aver fatto della cultura un mezzo di promozione sociale e il suo culto dell’intelligenza l’ha aiutata a varcare i limiti e le angustie del suo ambiente, come la sua amica-rivale non ha saputo fare. Perciò: 6 1/2

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Tutti i romanzi ai quali ciascuno di noi, per una ragione o per l'altra, è legato perché ha sentito i suoi personaggi come persone vive e vere e le ha giudicate in quanto tali.
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L'amica geniale 2023-08-11 09:06:13 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    11 Agosto, 2023
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Quello sarebbe il finale?

Dopo averla sentita lodare da chiunque e dalle loro madri -in senso letterale, perché perfino mia madre me l'ha consigliata-, mi sono decisa ad iniziare una delle serie italiane più famose al mondo con "L'amica geniale". Devo dire che il troppo hype ha su di me un effetto respingente quasi sempre, e forse per questo rimandavo di continuo la lettura; un vero peccato, perché quando finalmente l'ho iniziata non riuscivo più ad appoggiare il libro.

Una trama vera e propria questo volume non ce l'ha, pur non peccando di una premessa di partenza: ai giorni nostri Elena "Lenù" Greco riceve una telefonata dal figlio della sua amica di sempre Raffaella "Lila" Cerullo, preoccupato perché quest'ultima sembra essere sparita nel nulla. Nel tentativo di creare una sorta di ritratto dell'amica, Lenù inizia a trascrivere tutto ciò che ricorda del loro passato, a cominciare dall'infanzia in un rione difficile della Napoli degli anni Cinquanta. Il romanzo procede poi per episodi, ed arriva presto a raccontare anche la loro adolescenza fino ai sedici anni.

La struttura episodica del volume è uno dei pochi aspetti che mi hanno fatto storcere un po' il naso; sia perché ingarbuglia inutilmente la narrazione -dal momento che le vicende descritte non seguono sempre un ordine cronologico-, sia per le tante sottotrame aperte strada facendo, ma prive di una chiara conclusione: come ha fatto la maestra Oliviero a scoprire il talento di Lila? alla fine è stato risolto il problema dell'impermeabilità delle scarpe create da Lila e Rino? Lenù è riuscita a giustificare in qualche modo il suo ritorno precipitoso da Ischia?

Il solo altro difetto (decisamente più soggettivo) che ho potuto riscontrare è la caratterizzazione di Lenù, perché a tratti risulta un po' ripetitiva come narratrice, e devo ammettere che ho mal sopportato la sua totale mancanza di volontà: passa l'intero volume a cercare delle figure di riferimento dalle quali dipendere, poi dice di volersi emancipare da loro, ma finisce soltanto per sostituirle con altre. Voglio comunque considerare che in questo volume è ancora una ragazzina, quindi spero migliori nei seguiti.

Messi da parte questi piccoli nei, il romanzo vanta molti punti a suo favore. Il primo a balzare all'occhio è sicuramente lo stile, sempre curato e puntale senza per questo sacrificare la chiarezza o la fluidità della prosa. Subito dopo si palesa la solidità dell'ambientazione, che si tratti delle descrizioni dei luoghi vere e proprie o della fedeltà al contesto storico in cui i personaggi si muovono; il rione e le altre zone di Napoli raccontati dalla cara Elena sono realistici e tangibili, e la sua penna da l'impressione di trovarsi proprio lì.

Altro grande pregio è la caratterizzazione di protagonisti e comprimari, e questo non è per nulla scontato visto quanto è numeroso il cast. Eppure tutti i personaggi sono definiti e mantengono una loro concretezza nel corso dell'intero libro: molti potranno risultare fastidiosi o perfino ripugnanti, ma Ferrante è abile nel mostrare cosa ha spinto ognuno nel punto in cui si trova, senza voler dare una giustificazione bensì con il fine di illustrare uno specifico retroscena socio-culturale. Ho apprezzato poi come sono state gettate le basi per trattare il tema dell'emancipazione femminile, un argomento che mi auguro sarà notevolmente ampliato nel resto della tetralogia.

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L'amica geniale 2020-06-21 10:36:29 deedlit
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deedlit Opinione inserita da deedlit    21 Giugno, 2020
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AMICIZIA E DIPENDENZA NEL RIONE

Primo di quattro romanzi della fortunata serie ambientata nella Napoli degli anni ’50 il libro ci introduce nei ricordi dell’infanzia di Elena Greco, voce narrante e vera anima del testo. La narrazione ci porta a conoscere la storia di Elena, detta Lenù, e della sua amica di infanzia Raffaella detta Lina, Lila solo per Elena.
Il rapporto tra le due bambine diventa subito di interdipendenza, l’una che si sente succube dell’altra di un’intelligenza spettacolare e di indole ribelle, soffocata in questa convinzione ed incapace di vedere i propri meriti, che sembrano sempre essere una discendenza, una conseguenza, un adeguamento all'ingombrante personalità dell’altra ragazza.
Solo a tratti viene permesso al lettore di intravvedere quanto in questo rapporto non solo Lenù sia dipendente da Lila ma come anche Lila, seppur in maniera meno plateale, sia profondamente legata a Lenù. La forza di questa connessione è tale per Lila da dover studiare da sola materie complesse come il latino per dimostrare a sé stessa di stare al passo con Lenù, che ha la possibilità di studiare seppur venga da una famiglia miserevole quanto la sua, o che debba dimostrare la sua importanza buttandosi in altri progetti, seppur dentro al rione che la imprigiona, nel tentativo di raggiungere un cambiamento che la porta però ad un’altra forma di sottomissione.
Il mondo che circonda le due bambine lega e condiziona la loro crescita e, contro ogni previsione, sarà Lenù a prendere una strada che potrebbe darle una via di fuga, mentre l’esuberante Lila sembra impantanarsi ogni giorno di più in un mondo che detesta, cercando a suo modo di emergere e rimanendo forse ancora più soffocata dalle leggi non scritte del rione.
Anche quando un merito dovrebbe essere solo suo, Lenù non riesce a riconoscerlo e si sente sempre condizionata l’influenza di Lila, quasi fossero inscindibili anche se distanti. La sofferenza, la sensazione di inferiorità ed incompiutezza accompagna Lenù in ogni pagina, mentre ci mostra senza indorature la vita sociale di uno dei rioni più poveri di Napoli, dove le persone si accapigliano nell'illusione di raggiungere quel qualcosa in più, ma restano sempre legate al loro piccolo mondo, fatto di pettegolezzi, intrighi, paura e povertà, da catene di ignoranza e miseria.
Quando Lenù inizia a studiare, anche se per il motivo sbagliato ma ottenendo risultati inaspettati, comincia a rendersi conto della sua inadeguatezza a quel mondo ristretto, dove anche chi parla di grandi progetti resta legato ad una società condizionata dalla paura di chi possiede qualcosa in più e deve essere imbonito e mai osteggiato.
Il testo è valida dimostrazione di quanto un’istruzione possa cambiare una vita originariamente destinata ad essere succube o modesta. Il libro mostra quanto ci sia sempre una possibilità anche per coloro che hanno una normale intelligenza e sono svantaggiati partendo da una condizione sociale disagiata, cui riescono però a supplire con l’impegno e la perseveranza. Ci viene mostrato come sia possibile sviluppare le capacità con l’esercizio e la dedizione, elementi derivati anche da una forte determinazione data proprio dalla volontà di elevarsi da una gabbia di ignoranza e di cambiare il proprio destino.
Questo crudo spaccato di vita lega il lettore alla storia delle due ragazze in maniera indissolubile, portandolo a desiderare di leggere ogni singolo dettaglio e predisponendo le basi all'indispensabile lettura dei capitoli successivi.

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L'amica geniale 2019-01-29 15:27:31 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    29 Gennaio, 2019
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L'amica da prendere a sberle

Non è facile scrivere la recensione di un romanzo quasi universalmente amato e lodato da pubblico e critica come "L’amica geniale": se da un lato si è automaticamente portati a cercare di comprendere cos’è che piace così tanto e quindi a cogliere tutti i possibili aspetti positivi dell’opera, dall’altro si ha anche la forte tentazione di trovare qualche difetto, cantare fuori dal coro unanime delle lodi sperticate e dimostrare di aver colto una mancanza o un’imperfezione sfuggita a tutti gli altri. Ho iniziato la lettura del romanzo di Elena Ferrante spinta da questi motivi contrastanti, capire cos’è che ha stregato milioni di lettori in tutto il mondo e al tempo stesso dimostrare a me stessa, che davanti ai best seller osannati di qua e di là tendo sempre ad arricciare un po’ il naso, che dopotutto le masse in adorazione non ci hanno preso fino in fondo. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti.
Non si può negare che nel complesso "L’amica geniale" sia un bel romanzo. Dopo un incipit un po’ lento e “faticoso”, con salti continui da un piano temporale all’altro che rendono difficile comprendere l’esatta sequenza cronologica degli eventi, la lettura diventa scorrevole e accattivante. Il ritmo del racconto è molto vivace, al punto che si potrebbe dire che ne succede una dietro l’altra, e ogni pagina mette una gran curiosità di sapere cosa succede dopo. In fondo la trama cattura con facilità: non si può non empatizzare, almeno all’inizio, con Elena e Lila, due bambine che tentano di salvare se stesse e trovare un riscatto in un rione periferico napoletano, un microcosmo dominato dalla violenza, dalla povertà, dalla logica della sopraffazione, dall’assenza di speranza, e tuttavia descritto con realismo e sobrietà, senza mai scadere nel cliché o nel compiacimento bozzettistico. I personaggi sono tutti molto “concreti”, ben caratterizzati, e talvolta è notevole la sottigliezza con cui l’autrice sa scandagliare gli stati d’animo fino alle pieghe più sottili e nascoste.
Ci sono, però, anche non pochi elementi negativi o quanto meno non pienamente positivi, che intaccano un po’ il piacere della lettura e mi impediscono di assegnare un punteggio più alto, a cominciare dal finale del libro. Si sa che la saga della Ferrante è composta da quattro volumi e non mi aspettavo che il primo fosse un romanzo autoconclusivo, ma non mi aspettavo neppure che fosse bruscamente troncato da un “finale” che in realtà non è affatto un finale, bensì una scena interrotta a metà. Capisco l’esigenza di creare suspense e invogliare i lettori a proseguire la storia, ma un romanzo, anche quando fa parte di una saga, deve pur avere una chiusura, un punto di arrivo netto. "L’amica geniale" termina lasciando addosso la sensazione di una lunga corsa che si schianta di colpo contro un muro appena svoltato un angolo e non riesco ad abbandonare il sospetto che questa conclusione sia stata pensata appositamente per spingere il lettore a comprare di corsa il secondo volume, divorato dalla curiosità. Il marketing va bene, ma è preferibile evitare di sbatterlo in faccia in modo così plateale.
Sebbene lo stile sia nel complesso scorrevole e piacevole, la Ferrante si lascia prendere ogni tanto da una tendenza a “filosofeggiare” che appare un po’ fuori tono in un romanzo così “concreto” come questo, fatto di vita vera, di storie, donne e uomini che potrebbero essere spuntati fuori dai racconti dei nostri nonni, ed elabora concetti un po’ astrusi e non del tutto chiari, primo fra tutti la smarginatura. È vero che probabilmente l’autrice fornirà spiegazioni più precise nei libri successivi, ma non capisco il senso di inserire un elemento quasi sovrannaturale in un racconto dal sapore neorealista. Su questo aspetto, tuttavia, è giusto sospendere il giudizio, in attesa di assistere ai suoi sviluppi con il prosieguo della storia.
Meno tollerabile è invece una pecca che affligge la parte centrale del testo, nella quale la trama si trasforma in una sorta di gioco delle coppie: chi è innamorato di chi? Chi si fidanza con chi? È comprensibile che tali questioni abbiano un ruolo così rilevante nelle vite di ragazzine che a stento hanno concluso le scuole elementari, ma l’ insistenza protratta sulla formazione delle coppie finisce con il diventare noiosa. Una volta superata questa fase, però, la narrazione riprende a scorrere in modo più fluido.
La pecca che invece non c’è modo di superare durante la lettura sono proprio loro, Elena e Lila, le due protagoniste. Ho trovato quasi impossibile riuscire ad apprezzarle. Lila è Miss Perfezione: è bellissima, intelligentissima, disegna scarpe mai viste prima, studia da autodidatta imparando meglio di Elena che frequenta il liceo, tutti gli uomini che la vedono perdono la testa per lei, tutti i vestiti che indossa le stanno alla perfezione, tutte le acconciature che prova la fanno sembrare una diva del cinema, tutte le idee che ha sono geniali proprio come lei, “l’amica geniale”, appunto, sebbene nel romanzo questo appellativo sia in realtà rivolto ad Elena e sia proprio Lila a chiamarla così. Lila sarebbe una perfetta Mary Sue se non fosse per quella vena di cattiveria che forse la renderà più umana, ma anche più detestabile. Sono state davvero pochissime le volte in cui leggendo di lei non ho alzato gli occhi al cielo sbuffando. Dal canto suo, anche Elena non è certo un bel personaggio e poiché la narrazione è affidata interamente a lei, sono arrivata ben presto a trovarla insopportabile almeno quanto la sua amica. Elena vive la propria esistenza in funzione di Lila, tutto ciò che fa è finalizzato alla competizione con lei e qualunque esperienza viva è costantemente tormentata dall’idea che valga meno delle esperienze vissute da Lila, che la sua amica faccia qualcosa di più e che lei debba assolutamente cercare di imitarla. Quando va alle scuole medie e poi al ginnasio, non è felice perché pensa che nella vita potrà diventare qualcosa di più di una commessa, ma solo perché finalmente sta facendo qualcosa che Lila non può fare, dal momento che suo padre le ha impedito di andare oltre la licenza elementare. Elena non è mai se stessa, in qualunque circostanza si trovi non fa che pensare a Lila, a cosa direbbe o farebbe lei e tenta continuamente di imitarla, vittima di un complesso di inferiorità che le avvelena letteralmente l’esistenza. Di solito si tende a pensare che gli amici più autentici e importanti siano quelli con cui non si deve mai indossare una maschera, ma è possibile mostrare liberamente ciò che si è ed essere accettati a prescindere. Il rapporto tra Elena e Lila funziona esattamente al contrario e la prima non fa che sentirsi inadeguata. Perfino quando scrive una lettera alla sua amica si sente in dovere di imitarne lo stile epistolare, che ovviamente è perfetto e meraviglioso, mentre giudica il proprio banale e infantile. Eppure quando Elena scrive un tema scolastico contando unicamente sulle proprie forze, prende otto, quando lo scrive mettendoci dentro le (grandiose) idee di Lila, prende nove o dieci e questo basta a mandarla in crisi totale. È davvero snervante leggere pagine e pagine di esaltazione assoluta di Lila, che sa fare tutto e capisce tutto, seguite da pagine e pagine in cui Elena alterna invidia e ammirazione ad avvilente disperazione quando non riesce ad eguagliarla o un bieco atteggiamento di trionfo quando invece le sembra di averla superata. La fantomatica amicizia che le unisce e che viene letteralmente osannata e decantata nella quasi totalità delle recensioni è in realtà un rapporto quasi malato e non molto positivo né per Elena, che, pur proseguendo gli studi con buoni risultati, continua a vivere come un satellite di Lila senza mai sviluppare idee, progetti o anche solo una personalità autonoma, né per Lila, che, amareggiata perché all’amica meno brillante è stato concesso di continuare a studiare e a lei no, non si fa mai sfuggire l’occasione di mortificarla con la sua intelligenza e dimostrarle che lei resta sempre e comunque la più brava delle due, con o senza licenza liceale.
Un atteggiamento del genere è comunque accettabile, per quanto sbagliato, ora che le protagoniste sono adolescenti, ma c’è da sperare vivamente che già nel prossimo volume Elena inizi a staccarsi dall’ossessione del confronto con Lila e a condurre un’esistenza autonoma e che al tempo stesso Lila si impegni per migliorare concretamente la propria condizione invece di limitarsi a far sentire inadeguata la sua (presunta) amica. Più che "L’amica geniale", forse un titolo adatto per questo romanzo sarebbe "L’amica da prendere a sberle": già, ma è Elena che deve prendere a sberle Lila o il contrario? Il mio suggerimento è che si prendano a sberle a vicenda. Così magari la piantano.
Anche se lo scopo dell’autrice è raccontare un rapporto “malato” e non la splendida amicizia decantata nelle recensioni, ci si aspetta che a un certo punto sottolinei in modo chiaro e tondo che questo comportamento è sbagliato, anche se poi i personaggi non dovessero mai riuscire ad uscirne. Per ora questo non è accaduto e non è arrivato neppure il momento in cui mi è sembrato di cogliere con chiarezza il motivo o i motivi per cui questo libro è considerato un capolavoro. È una lettura piacevole e interessante, ma da qui a gridare al miracolo editoriale c’è un po’ di differenza. "L’amica geniale", tuttavia, è solo il primo volume di una quadrilogia: c’è tempo per chiarire, spiegare, migliorare, ed è per questo che, sebbene le ombre non manchino, il giudizio complessivo sul romanzo resta positivo.

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L'amica geniale 2018-03-03 19:24:23 Virè
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Virè Opinione inserita da Virè    03 Marzo, 2018
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Un'amicizia troppo sbilanciata

Incuriosita già da tempo da questo libro, che ha scalato le classifiche e ancora ne fa parte, dopo anni dalla sua uscita, avevo iniziato la lettura più di un anno fa,interrompendola  all'incirca a metà, senza più avere la voglia di continuarla; ora, al secondo tentativo, sono riuscita a leggerlo tutto di un fiato ed anche a capire cosa mi aveva allontanato la prima volta.

L'amica geniale è il primo volume di una tetralogia che ripercorre la storia di un' amicizia tra due donne, dalla scuola fino all'età matura. Siamo nella Napoli degli anni 50, in un rione popolare, dove, a fare da cornice al rapporto tra le due protagoniste, troviamo tanti personaggi alle prese con le proprie vicende personali e professionali. Si vede che la scrittrice conosce bene la città, così come le dinamiche di alcuni quartieri, che narra senza nascondere, anzi esplicitando per bocca della protagonista, il suo sguardo critico. Ne sono un esempio le figure di padre padrone dei capofamiglia e dei fratelli maggiori, la necessità di giovani ed adulti di affidarsi ad un  linguaggio colorito e sboccato per esprimersi, in particolare in determinate situazioni, o ancora il rispondere, come fosse un dovere, ad offese e torti ricevuti in prima persona o da un membro della famiglia, ricorrendo spesso anche alla violenza. Il vivere, che a volte diventa sopravvivere, secondo meccanismi ben precisi e consolidati. Verso le ultime pagine del libro esce allo scoperto chiaramente la voglia della protagonista di emergere, di scappare, l'esigenza di uscire da quel mondo che non le appartiene più, in cui non riesce più a riconoscersi e a vivere, lei, che ha avuto la fortuna di riuscire a studiare e di vedere realtà diverse, attraverso i libri e non solo.

Il linguaggio della Ferrante mi piace molto; il modo di presentare personaggi e situazioni, ponderando bene le parole, dando un tocco assolutamente personale senza cadere mai nel prolisso e senza mai annoiare, rende la lettura piacevole e scorrevole, sebbene a tratti un po' lenta.

Si scoprono a poco a poco tratti della città, visti con gli occhi di chi, bambina e poi adolescente, esce per le prime volte dai limiti del quartiere degradato in cui è nato e scopre mondi nuovi, completamente diversi, stili di vita di cui ignorava l'esistenza, luoghi e paesaggi del tutto inaspettati.

Quello che all'inizio mi ha disorientato, ma che poi nel corso della lettura è venuto pian piano meno, è il presentare nei primi capitoli situazioni e personaggi, mischiandone le disposizioni temporali e spaziali. Nelle prime pagine,infatti,si passa continuamente da un episodio ben preciso, alla narrazione di abitudini consolidate, da avvenimenti riferiti ad un'età, ad altri successivi o precedenti; diventa difficile quindi inquadrare il racconto fino al momento in cui viene ripresa una linea temporale precisa e consequenziale.

Arriviamo ora a ciò che non mi è piaciuto per niente, portandomi ad interrompere la lettura una prima volta e risultando insopportabilmente stucchevole anche ora che l'ho portata a termine. Si tratta proprio dell'elemento portante, l'amicizia tra le due ragazzine. La voce narrante è di una delle due, Elena, che ormai anziana ripercorre le tappe del legame con l'amica di sempre. Nel racconto però non troviamo l'affiatamento, l'affetto, la complicità che dovrebbero avere due amiche per la pelle, soprattutto nel periodo dell'infanzia e dell'adolescenza; anzi sono questi elementi che restano quasi del tutto nascosti, emergendo solo nell'ultima parte della narrazione e rimanendo comunque marginali.

Quello che invece guida tutto, ogni scelta pensiero ed azione della protagonista è l'ammirazione incondizionata,se non addirittura l'amore,  per l'amica, sentimenti che fanno a gara con uno spirito competitivo che diventa desiderio di rivalsa. Anche in questo caso, non parliamo di sentimenti salutari che possono caratterizzare il rapporto tra due persone di qualunque età, non parliamo si sentimenti che ti spronano e ti portano a crescere e migliorarti. La protagonista sembra vivere solo ed esclusivamente all'ombra dell'amica, non c'è scelta, opportunità, episodio della sua vita che venga valutato per quello che è e che rimanga circoscritto alla sua persona;no, tutto viene giudicato solo in relazione all'amica, per far vedere all'amica, per fare come l'amica, per far sapere all'amica, etc. Ci ritroviamo perciò di fronte ad una personalità quasi inesistente, che si sente sempre sopraffatta, non solo nel periodo dell'adolescenza, come avviene a tutti, da un senso di inadeguatezza, di inferiorità, di invidia, a volte del tutto fuori luogo. Non è mai concentrata su ciò che capita a lei, ma solo su ciò che capita all'amica, che è sempre più importante, più avvincente, più significativo. Ed anche quando la vita dell'amica sembra aver preso una strada bel delineata e definitiva, mentre la sua è in pieno cambiamento, anche quando sta vivendo esperienze del tutto nuove, non c'è mai un vero entusiasmo, ma solo e soltanto l'idea che l'amica abbia di più, o che sia necessario fare determinate scelte per vivere le stesse esperienze, nello stesso istante, senza però evitare di sottolineare che in ogni caso non sarebbero mai come quelle dell'altra. Insomma è un costante voler vivere nei panni di un'altra persona, senza mai far emergere il proprio carattere, le proprie esigenze o le proprie caratteristiche, senza mai effettuare delle scelte consapevolmente e con sicurezza e determinazione. Per quanto alcuni di questi sentimenti e di queste situazioni siano tipiche del periodo dell'adolescenza, le troviamo qui enfatizzate oltremodo, vissute con un senso di assolutezza che personalmente mi ha stufato presto, fino a risultarmi insopportabile.

In definitiva cederò per curiosità, ma non solo, alla lettura dei volumi successivi della saga, ma non posso fare a meno di sperare, dubitandone, di poter assistere ad un riscatto, anche minimo della protagonista.

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L'amica geniale 2017-12-04 11:28:28 Cherchez la Famme
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Cherchez la Famme Opinione inserita da Cherchez la Famme    04 Dicembre, 2017
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Storia di due destini divergenti

Ho comprato "L'amica geniale" con un po' di scetticismo, che l'autrice ha infranto già dalle prime pagine, sebbene conservassi una certa perplessità nella lettura.
La perplessità non riguardava la piacevolezza del libro, senz'altro non discutibile, ma l'argomento. Più andavo avanti e più la mia opinione si evolveva, cambiava, tornava al punto d'origine; la domanda che mi frullava in testa era sempre la stessa:
Di cosa parla, in realtà, questo libro?
A chi me lo domandava, biascicavo, poco convinta, "E' la storia di un'amicizia".

Ho capito davvero di cosa parlasse il libro, solo quando ne ho portato a termine la lettura.

"L'amica geniale" è ambientato nel secondo dopoguerra e tratta, per l'appunto, lo sbocciare del legame tra la protagonista e voce narrante, Lenù, e Lila, unica, singolare, crudele.
Le due bambine nascono e crescono nello stesso contesto, il "rione" povero di una Napoli che si preparava al boom economico degli anni 70/80, un contesto dove le regole sociali sono dure, inevitabili.

I tre quarti di questo primo libro, si dedicano alla descrizione minuziosa di quella che sembra essere, sin dagli albori, una concatenazione umana che per la protagonista, Lenù, assume i connotati di una dipendenza psicologica dall'amica, Lila. Lila, sin da piccola, non è come le altre: la scrittrice mette nero su bianco parole che suggeriscono non propriamente concetti, ma sensazioni. La sensazione che Lila sia speciale, che la sua intelligenza singolare abbia il dono di rendere qualsiasi cosa meravigliosa: lo studio, la bottega dello scarparo, il latino.
Nella competizione continua, che affibbia alle due bambine il rigido ruolo di amiche/nemiche, Lenù trova lo stimolo per migliorarsi sempre di più, per spingersi sempre più avanti in questa gara di meriti e di destini; la dipendenza psicologica da tutto ciò che Lila pensa e fa è, infondo, la vera protagonista di questo primo volume, viene fuori ad ogni pagina in modo onesto e veritiero, ed Elena avrà modo di liberarsene parzialmente solo anni dopo, quando sarà certa che la possibilità che i loro destini si sovrappongano e si riuniscano, sia del tutto naufragata.

"L'amica geniale" tratta un tema puramente sociale e lo fa con la sincerità e la schiettezza tipici di una -
ufficiosa - autobiografia, dove i luoghi sono privi di topografia ("rione vecchio", "rione nuovo", "tunnel") e dove i nomi - persino quello dell'autrice - sono stati cambiati.
L'opera riflette sul ruolo brutale e decisivo, nella vita, della fortuna; è una storia di destini che si incrociano e che finiscono per non sovrapporsi a causa di un unico, singolo, decisivo "no", quello pronunciato dalla madre di Lila sulla questione posta dalla Maestra Oliviero, quella cioè di continuare gli studi anche dopo la licenza elementare. I destini delle due ragazze, così, si separano definitivamente, seppur tra molte rimostranze.

La storia è bella non solo perché è sincera, non solo perché evidenzia il ruolo decisivo dell'istruzione (ai tempi) nella scalata di classe, ma anche perché assume le sembianze, per chi a Napoli ci è nato e cresciuto in tempi più moderni, dei racconti dei Nonni; l'autrice ha un modo di narrare che, come afferma lei stessa nel suo libro, in riferimento allo stile scrittorio della protagonista, - forse in una sorta di riflessione metaletteraria del tipo "libro nel libro" -, sprigiona una potenza di cui non si riesce ad individuare precisamente la provenienza, ma che è, in definitiva, un dato di fatto.

"L'amica geniale" è il racconto di due riscatti; il primo pienamente sublimato, cioè quello di Lenù, la cui ambizione meticolosa e affannata, la porta a rovinarsi la vista sui libri pur di fare meglio di Lila, meglio dei suoi compagni delle elementari, meglio di sua madre; il secondo, quello di Lila, mal realizzato per altre vie (i soldi di Stefano e dei Solara) e fallito miseramente.

La chiusa, al matrimonio di Lila, anticipa il tema del successivo capitolo.
Elena è lì, in presenza dell'intero rione vestito a festa, alla ricerca di un senso d'appartenenza; gli studi e il mondo che la scuola e i professori le hanno spalancato dinanzi, non le permettono più di trovarsi perfettamente a proprio agio nel suo ambiente natìo, che sente di essersi lasciata alle spalle; d'altra parte, come si vedrà e come lei stessa intuisce già nelle ultime pagine, nel contesto della "Napoli bene", della Napoli colta, non riuscirà mai a lasciarsi alle spalle la figlia del portiere.

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L'amica geniale 2017-01-30 08:58:39 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    30 Gennaio, 2017
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Lenù, Lina, il Rione nella Napoli anni '50

Anni 50. Lila Cerrullo, classe 11 agosto 1944, e Elena Greco, classe 15 agosto 1944, vivono in una Napoli ancora provata dagli anni della guerra, una realtà ancorata ai vecchi principi e per questo poco incline al cambiamento. Lenù e Lila conoscono la povertà, conoscono il sacrificio ed il prezzo di quella società fondata sul “faticare” dove studiare è solo un corollario aggiuntivo e superficiale che non deve sostituirsi mai al lavoro, cardine essenziale e primario di ogni uomo.
Ed è in questo contesto che nasce la loro complessa amicizia; un rapporto di amore-odio, di invidia e di compensazione, di competizione e di limite, un legame stratificato e corroborato di così tante sfumature che è impossibile descriverlo a parole. Le vite delle due protagoniste scorrono parallelamente sino al termine delle classi elementari; ove a ognuna è concesso il diritto di andare a scuola ad imparare a leggere e a far di conto. Entrambe sono molto brave, ma Lila spicca di quella intelligenza mixata ad un carattere ribelle che mai Lenù, al contrario diligente e retta, avrà. E tanto sono diverse caratterialmente, tanto lo sono fisicamente, queste due eroine. Se la Greco è bionda, prima più alta e ciocciotta, di poi con l’adolescenza più bassa e formosa, Lila è dapprima bassina, magrissima e ossuta, di poi alta, slanciata e fortemente desiderata. Giunte al termine delle classi primarie, inevitabile la separazione. Vani i tentativi della maestra Oliviero di convincere i rispettivi genitori a far studiare le sue pupille. Lila deve rimboccarsi le maniche, è la risposta. I soldi servono. Elena, dopo molte azioni di persuasione, potrà al contrario continuare. E sarà così brava, così meticolosa da riuscire non solo ad ultimare le scuole medie ma ad intraprendere gli studi presso il liceo classico ove si distinguerà per essere la migliore; risultato che conseguirà, paradossalmente, proprio grazie al contributo indiretto dell’altra che privata della possibilità di continuare ad apprendere – lei che è una spugna mossa da insaziabile curiosità – imparerà, mediante i testi della biblioteca – da autodidatta non solo il latino ma anche la lingua greca.
Più passano gli anni e più quel sentiero intrapreso, quella via comune, si allontana e riavvicina, si intreccia per poi nuovamente riallontanarsi. Lenù, per la formazione ricevuta, non può più rivedersi negli amici del Rione, ma non può non rispecchiarsi in Lila suo antecedente necessario. Quest’ultima all’opposto, per fuggire alle attenzioni di Michele Solara, camorrista, decide di legarsi sentimentalmente a Stefano, il salumiere figlio di Don Achille; scelta questa che la segnerà indelebilmente.
Quelle che abbiamo davanti con l’opera della Ferrante sono pagine pulsanti, un fiume palpitante di parole che rende concrete Elena, l’amica geniale capace di coadiuvare intelligenza e volontà, e Lila di fatto la più dotata, considerata la più cattiva eppure oggettivamente colei che maggiormente sente il peso dell’ambiente, della famiglia, di una bellezza non richiesta che cerca di offuscare quella mentale, quella che non sa liberarsi degli altri per emergere, quella che invita l’altra a studiare sempre.

«”Qualsiasi cosa succeda, tu continua a studiare”
“ Altri due anni: poi prendo la licenza e ho finito”
“No, non finire mai: te li do io i soldi, devi studiare sempre”
Feci un risolino nervoso, poi dissi:”Grazie, ma a un certo punto le scuole finiscono”
“Non per te: tu sei la mia amica geniale, devi diventare la più brava di tutti, maschi e femmine”». P. 308-309

“L’amica geniale” non è però soltanto il racconto di questa particolare amicizia, “L’amica geniale” è un elaborato che narra di una società, quella napoletana negli anni successivi al conflitto, è uno scritto che descrive i rapporti umani, che analizza la dimensione del quartiere, che scarna il binomio povertà-ricchezza, che si incentra sull’ingerenza pregnante dei genitori sui figli; un’influenza talmente forte da determinarne le sorti (basti pensare alla madre di Elena che prima la denigra perché studia, poi le rinfaccia di mescolarsi alla “feccia” dopo i sacrifici fatti per farle prendere il titolo). A contorno delle due figure principali, abbiamo inoltre una serie di personaggi secondari tutti accomunati da un denominatore comune: la voglia di riscatto, economico ma anche culturale e morale. La Ferrante sembra voler invitare chi legge a riflettere sulla durezza della vita; che è lotta, emersione, materialità e non materialità. E lo fa senza remore, senza nulla risparmiare. Il tutto è avvalorato da una penna che accarezza, munita di uno stile apparentemente semplice, in verità curato in ogni suo frangente, in ogni suo aspetto.
Primo di una quadrilogia, “L’amica geniale” si dimostra capace di catturare ed affascinare il lettore che giunto a conclusione del romanzo, resta frastornato dal contenuto. Se in di primo acchito il testo può sembrare una storia semplice, con un’analisi più a mente fredda, ragionata, si rivela in tutte le sue sfumature spiazzando. Il finale, in particolar modo, mette il temerario conoscitore in condizione di comprendere quelle che sono le conseguenze ineludibili di una decisione, ormai, chiaramente sbagliata.
Definirlo il migliore della saga, è forse, ad oggi, prematuro, perché si è davanti ad un componimento in crescendo, ma certamente è un libro valido, che merita di essere approfondito e che cattura con la forza della pazienza, della curiosità.

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L'amica geniale 2016-09-20 11:26:32 Pelizzari
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    20 Settembre, 2016
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La dimensione del ricordo

E’ forse la più famosa saga italiana moderna sulle età della vita e questo è il suo primo capitolo, dedicato alle età dell’infanzia e dell’adolescenza. Emerge già dalle prime pagine la dimensione del ricordo, che è forse l’aspetto che più ho apprezzato di questa lettura. Molto lenta, molto morbida, non però troppo coinvolgente, come invece ho letto in altri commenti, anche molto autorevoli. Io ho avvertito comunque una certa distanza tra l’autrice ed il lettore, a me è sembrata quasi una distanza voluta, non so se invece è il frutto di un mio personale poco coinvolgimento. Il Vesuvio sta sullo sfondo, molto velatamente. Anche la napoletanità dell’ambientazione non è un elemento centrale, anzi, è molto sfumato, impalpabile. Il mirino è centrato sul rapporto tra le due bambine e ragazzine protagoniste. Più che non su una o sull’altra, è proprio il legame fra le due il centro attorno a cui si muove tutta la narrazione, un legame che è quasi un’ossessione. La saga è diventata un must, ma, sinceramente, anche se sono solo al primo step, non ne capisco il motivo.

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L'amica geniale 2016-03-29 18:07:27 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    29 Marzo, 2016
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Il rione

Il romanzo è molto bello e anche molto piacevole da leggere. Racconta la storia di due amiche: Lenù e Lila. Elena Greco, Lenù, è l’amica geniale quella che unisce all’intelligenza la volontà, il piacere del nuovo e il giusto distacco dalla famiglia mentre Lila, la più dotata, la più cattiva in apparenza, è quella che sente il peso dell’ambiente e la zavorra della famiglia, quella che non si sa liberare degli altri per emergere, quella che dice a Elena di non smettere mai di studiare, di non smettere mai di essere l’amica geniale, quella veramente geniale. Con il pretesto di parlare della loro amicizia la Ferrante ci racconta del quartiere di Napoli, dei rapporti tra le persone, dei rapporti interquartiere, cioè tra le persone della zona bene e della zona più povera. La parte più interessante del romanzo è proprio la descrizione dei tanti personaggi di contorno e dei rapporti tra i personaggi secondari. Tutti sono in cerca di un riscatto, che spesso è socio economico ma anche culturale e morale. Spesso i padri o le madri sono la zavorra dei figli: ad esempio don Achille per i due figlioli Stefano e Alfonso, molto simpatici soprattutto Alfonso, compagno di scuola di Elena. Oppure Donato Starratore, il seduttore incallito di poverette come Melina che riduce sull’orlo della follia, pietra al collo per il figlio Nino. Melina ricorda la poverella dei giorni dell’abbandono. Ma anche la madre di Elena e il fratello di Lila sono pietre al collo. E’ interessante anche l’analisi sociale: la povertà che avvicina il gruppo degli amici ai fratelli Solara, malavitosi (nell’episodio della gita ai quartieri bene) e li separa dai ragazzi ricchi.
La visione del mondo di Elena è abbastanza cruda, la vita è lotta per emergere e il debole è colui che si lascia impietosire e tirare indietro dagli altri. La lotta di classe è tangibile.
“Noi stiamo volando sopra una palla di fuoco. La parte che s’è raffreddata galleggia sulla lava. Su questa parte costruiamo i palazzi, i ponti, le strade. Ogni tanto la lava esce dal Vesuvio oppure fa venire un terremoto che distrugge tutto. Ci sono microbi dovunque che ti fanno ammalare e morire. Ci sono guerre. C’è una miseria in giro che ci rende tutti cattivi. Ogni secondo può succedere qualcosa che ti fa soffrire in un modo che non hai mai abbastanza lacrime. E tu che fai? Un corso teologico in cui ti sforzi di capire cos’è lo Spirito Santo? Lascia stare è stato il diavolo a inventarsi il mondo e non il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.”
L’analisi impietosa è di Lila ma è fatta sua da Elena. E’ Elena la dura, quella che non si lascia tirare indietro, forse perché supportata dalla famiglia, forse perché più indifferente agli affetti famigliari, spesso pietra al collo.
La diversa strategia di lotta delle amiche le separa. Lila è abbandonata a se stessa. Elena può studiare. Lila è costretta a scegliersi il meno peggio degli uomini per sottrarsi a Marcello Solara, il malavitoso prepotente. Ma alla fine del romanzo, primo volume, si capisce che mettersi nelle mani di un uomo è una pessima trovata.
L’amicizia come viene descritta è molto poco femminile. Non c’è affetto, non c’è emotività, umoralità. Il legame è molto intellettuale, di stimolo reciproco, soprattutto da parte di Elena. Elena è in cerca del pungolo, il pungolo che rimanda alla citazione all’inizio del romanzo dal Faust, al diavoletto che Dio dà come pungolo all’uomo perché non si riduca all’immobilità. Anche il nome Elena fa pensare al Faust, Elena la donna ideale di Faust. Nel romanzo non c’è amicizia nel senso che in genere diamo al termine ma un rapporto socratico tra le persone. Elena tende alla noia e ha bisogno di avere intorno persone che la stimolino e facciano uscire il genio che sta nella sua testa ma che tende ad addormentarsi. La descrizione delle due amiche è molto fisica, come in tutto il romanzo c’è una tensione alla materia, al denaro, al riscatto sociale, alla conoscenza come strumento di riscatto sociale e morale ma morale in senso abbastanza esteriore, al piacere e alla novità intesa come conquista del mondo. Le due amiche sembrano in certe parti del romanzo molto simili, meno che fisicamente, una mora e una bionda, una specie di mostro e due teste anzi a due corpi uscito dall’immaginario maschile e simili a divinità greche o a personaggi mitologici. Anche il rapporto che hanno con gli uomini è molto dall’alto, in un certo senso.
Il romanzo è molto piacevole, le considerazioni anche sociali sono ben mimetizzate nel testo. Ci sono aspetti originali e idee che trattengono sempre l’attenzione del lettore: la smarginatura, la perdita di realtà delle cose, l’esplosione della pentola di rame.
L’incipit è favoloso con la scomparsa di Lila. E’ come se l’incipit ci dicesse che effettivamente Lila non è esistita davvero se non nella testa di Elena, o che la vera Lila è quella che lei ha in testa e che ha chiuso dentro il romanzo.

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L'amica geniale 2015-09-15 08:24:02 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    15 Settembre, 2015
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Un posto al sole del rione

E' un romanzo che si legge d'un fiato per la capacità che ha la scrittrice di coinvolgere il lettore nelle vicende dei personaggi, che danno l'idea di essere presi direttamente dalla realtà, figure a tinte forti che non mancano mai nei rioni napoletani.
Lila spicca fra tutti, ragazzina fragile e forte, intelligente e ambiziosa, figlia di uno “scarparo”.
Il suo carisma e il suo acume sono riportati mirabilmente attraverso il racconto dell'amica, l'io narrante: “...prendeva i fatti e li rendeva con naturalezza carichi di tensione; rinforzava la realtà mentre la riduceva a parole, le iniettava energia”.
La compassione che ispira Lila è quella di un animale in gabbia o di un'aquila a cui abbiano tarpato le ali, lei che ha voglia di imparare e non può studiare, lei che impara tutto da sola, meglio di chi alle scuole medie e superiori ha il privilegio di andarci.
I sogni coltivati dalle due amiche durante l'infanzia hanno un unico oggetto: il mondo fuori dal rione, “tra le cose e le persone e i paesaggi e le idee dei libri”, ma affrancarsi dalla condizione sociale in cui si è nati e cresciuti è tutt'altro che facile. Più facile è restarne invischiati, finendo per fare di necessità virtù e arrangiarsi con le carte che il destino ti ha dato.
Il libro perde in qualità dopo la prima metà, quando cominciano le sbrodolature e le tinte vagamente rosa.
La sensazione è che la scrittrice prosegua nella narrazione ispirata dal diario di un'adolescente, con impressioni particolareggiate intorno ad amoretti, schermaglie con insegnanti, speranze e delusioni. E poi c'è quel gusto per il sensazionale, quel finale ad effetto sorpresa che fa tanto telenovela a puntate. Peccato, perché la scrittura è fluida e l'autrice all'inizio riesce nella difficile impresa di commuovere senza sconfinare nel melodramma.
Da leggere comunque, senza contare troppo su un seguito all'altezza.

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