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"Ma la tua pecora è autentica?"
In un mondo battuto dal vento, annientato da una polvere radioattiva, la palta, di cui non conosciamo l'origine ma che tutto copre e che ha sterminato le forme di vita animali, cosa può restare dell'uomo in quanto tale, della sua essenza? L'uomo che è stato artefice, nonché principale complice, della desolazione che ora lo circonda come può pretendere di annientare l'altra forma di "nonvita" che egli stesso ha creato con lo sviluppo degli Androidi?
Le prime vittime che la pestilenza radioattiva ha attaccato sono stati gli animali, dagli uccelli ai pesci, dagli insetti ai rettili, un massacro impietoso. Gli animali sopravvissuti sono catalogati in appositi listini dai prezzi esorbitanti e per coloro che, rimasti sulla Terra per motivi fortuiti e fuorvianti, non possono permettersi tali somme resta la triste opzione di comperare animali finti. Il tutto malgrado il fatto che "possedere un animale fraudolento riusciva pian piano, non si sa come, a demoralizzare chiunque. Eppure da un punto di vista sociale era una scelta obbligata, se mancava l'animale vero".
La catastrofe è quindi palpabile ma l'uomo dalle mille risorse materiali, manageriali e consumistiche non manca di farsi attendere. Dal canto loro gli esseri umani sono stati pertanto caldamente invitati a suon di pubblicità martellanti e diffuse su un unico canale televisivo e radiofonico, ad emigrare su Marte con allettanti prospettive di una vita migliore nella terra promessa. Una vita, laggiù, arricchita dagli Androidi. Questi ultimi si svelano essere robot costruiti ad arte, anzi, più che robot, sono umanoidi all'apparenza del tutto simili agli umani ma programmati per vivere al massimo 4/5 anni perché permane un aspetto inimitabile in laboratorio: la riproduzione cellulare.
L'emigrazione spaziale lascia perplessi. Sulla Terra restano soggetti "speciali" catalogati ai margini, secondo discutibili scale di valori e persone che hanno ancora un qualche interesse o necessità professionale a rimanere senza tuffarsi nello spazio siderale con la compagnia di Androidi dall'aria perfetta e studiata. Su questa Terra però gli umanoidi sono intrusi, vengono banditi da ogni nazione ed in ognuna di esse diversi cacciatori di taglie come il nostro protagonista Rick Deckard danno la caccia ai "cosi" per "ritirarli" (alias annientarli).
A questi Androidi manca una sola caratteristica umana: l'empatia. Proprio su questa peculiarità l'autore ci spinge a riflettere. Con che diritto l'uomo pensa di essere empatico dal momento in cui non ha saputo tutelare le diverse forme di vita terrestri? Mentre assistiamo velocemente a come gli uomini (esseri umani? Forse) si sono organizzati per sopravvivere in una orrenda landa desolata scopriamo che c'è una dottrina religiosa che va di moda, il Mercerianesimo, e che placa le menti sulla falsa riga del consumismo; ci sono scatole che regalano felicità e sentimenti di condivisione perché la condivisione, quella vera data dal contatto umano, sembra dileguata. Come non collegare queste scatole alle realtà virtuali che oggi ci circondano, ricche di falsi sentimenti da elargire a profusione a persone sole quanto isole!
La scrittura onirica, fantascientifica dallo stile distopico dell'autore non approfondisce i dettagli della trama come forse ci si potrebbe attendere, tuttavia spinge il lettore a voler scoprire cosa accadrà a Rick Deckard, al suo sogno di un animale vero ed alla sua pecora elettrica. Proprio quest'uomo che da la caccia agli umanoidi arriva a chiedersi se è eticamente corretto e fino a che punto ci stiamo affezionando alle macchine, ai circuiti elettrici/elettronici e tecnologici quotidiani provando per le questi una forma di empatia. Il lettore è spinto a non capire più chiaramente se i personaggi che si susseguono nell'arco di due giornate, sono veri o frutto di invenzioni robotizzate ed automatizzate.
Gli umanoidi che appaiono superiori agli uomini ma che da questi ultimi cercano di imitare il loro limite, l'umanità e di superarsi. Gli umani che invece cercano i sentimenti e le emozioni che paiono ormai appiattiti, annullati dalla palta e ridotti a scatole alle quali affidare gioie e dolori per modulare la felicità.
L'autore ci fa toccare spesso la disperazione e la solitudine perché "quando ci si deprime fino a quel punto, non ce ne importa più niente. Si precipita nell'apatia, perché si è perso qualsiasi senso del proprio valore. Non importa sentirsi meglio perché ormai non si vale più niente".
Un libro che nella sua velocità di narrazione si abbina al ritmo che la nostra realtà ci impone, tutto veloce, spesso annebbiato da uno strato di polvere al quale non sappiamo o non vogliamo andare oltre. Allora, proprio allora, il posto vuoto lasciato dalla nostra noncuranza verso la vita vera, naturale, ambientale e biologica viene soppiantata dalla funzione. Una falsa illusione che nei circuiti che ormai ci circondano tutti i giorni, qualunque cosa facciamo, ci sia la prospettiva del futuro migliore, del tanto sperato ed immacolato progresso. Ma dove sta il progresso nel momento in cui rischiamo di perdere il punto di vista umano? Un progresso che ci dona molto ma che va calibrato e modulato.
Una strana sensazione di polvere addosso che attraversa tutto il libro spinge a guardare i colori ed il cielo che in realtà ci circondano con sentimenti differenti. Questo perché "una volta, pensò, avrei visto le stelle. Anni fa. Ma ora non c'è altro che polvere, sono anni che nessuno vede più le stelle, perlomeno dalla Terra", come non pensare di alzare gli occhi al cielo e di ammirare la terra e fare qualche passo, purché sia fatto, nella prospettiva migliore.
Sull'orlo di un precipizio l'autore ci fa correre e sprigiona in noi tanti spunti fortemente attuali che toccano i temi ambientali, etici, commerciali ed economici. Un libro che si legge, un racconto che confonde e smarrisce tra la realtà e la finzione tecnologica, tra le cellule, i sentimenti ed i circuiti che si intrecciano e si mischiano inesorabilmente.