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un thriller trasformista
La paziente n°9 è un libro di Alessandro Defilippi. Si può leggere in diversi modi questo thriller di Alessandro Defilippi, psicoanalista e straordinario narratore anfibio capace di passare dal Mainstream al genere, e viceversa, sempre però ibridando qualche misura dell’uno o dell’altro. C’è evidentemente la lezione del feuilleton nel rimorso misterioso che rode un maturo colonnello dei carabinieri, nella femme fatale che ha enigmaticamente attraversato la sua vita, nel segreto di un giovane psichiatra tedesco che potrebbe essere qualcun altro, nella follia di una ricoverata in un gotico manicomio sopra Genova dove si celebra la sinistra liturgia dell’elettroshock: e Defilippi gioca anche stilisticamente su tale registro, alla luce di un’appassionata frequentazione di letture “popolari”. Ma un secondo livello, impastato con scampoli memoriali della storia di una generazione (minestrine al pesto e bombardamenti, siamo nel 1942, lo squarcio aperto di un passato fascista che continua a sanguinare), il teatro del rapporto con il male mantiene, grazie alla sottigliezza del narratore, una dolente serietà mitica: e gli omicidi perpetrati entro e attorno al manicomio, e misteriosamente celebrati nei disegni con il sangue della ricoverata, lasciano spazio a intervalli meditabondi in cui può fare capolino anche qualche sentimento meno estremo e qualche porzione di quiete. D’altra parte il thriller stesso appare come la punta di un iceberg, alludendo ad un passato che resta sfuggente: e non a caso un simile romanzo “puro” di indagini poliziesche costituisce la terza puntata di una saga più ampia di sapore fantastico (Angeli, 2002, e Le perdute tracce degli dei, 2008), incentrata proprio sul rapporto tra Dio e il male attraverso il dramma di potestà angeliche in esilio sulla Terra. L’ombra delle loro ali e anzi il loro silenzio si allarga ora idealmente su questa storia di individui alle prese con l’Abisso: quasi la celebrazione simbolica di un mistero incarnato nei grovigli interiori che meglio conosciamo.
Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo. Mi piace la storia, che non capisco quanto è vera e quanto verosimile, mi piace sempre l’intreccio tra le vicende personali e quelle politiche e sociali. Mi piace la lotta dell’uomo sull’uomo, che non è mai lotta tra bene e male, ma tra la parte di bene e la parte di male che c’è in ognuno di noi. Mi piace che i giusti sappiano soffrire e riescano a non soccombere. Mi piace che alla fine non ci sia un vincitore, perché tutti comunque perdono qualcosa. Mi piace perché mi sembra che, raccontando cose lontane, e molto particolari, l’autore racconti la vita, la paura, il coraggio, il caso di viverla.
Dunque una storia “forte” ed ad alta tensione, che tiene sempre desta l’attenzione del lettore.