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Tre gocce d'acqua
 
Tre gocce d'acqua 2021-06-05 11:31:40 Mian88
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Stile 
 
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    05 Giugno, 2021
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Celeste, Nadir & Pietro

«Quelle le ha volute Nadir. Io ho scelto un altro ricordo. Uno scolorito e imperfetto dove non ci sopportiamo.»

Un semplice salto da uno scalino le è valso quel piede rotto. Una matita tenuta tra le dita – forse – in modo troppo stretto le è costato quelle dita fratturate, quel viaggio, ancora, nella natura che a causa di un battente tornato indietro da una folata di vento le costa un polso rotto. Celeste ha soltanto otto anni quando scopre che le sue ossa sono così fragili da avere la consistenza di una persona di ottant’anni. Scopre di avere “la malattia delle ossa di vetro”, una particolare patologia che la obbliga da un giorno all’altro a cambiare completamente la propria vita e la propria realtà. L’abitazione dove vive con il padre e la madre Mara viene completamente privata di ogni spigolo e adattata alla possibilità di tutelarla da ogni urto, la sua educazione viene mutata in modo tale che ella possa sempre rendersi conto dei pericoli che la circondano e dall’importanza di stare sempre attenta. Ma Celeste è anche una donna adulta, adesso. Una donna che convive con la sua malattia e che torna indietro nel tempo per rivivere quegli anni di mutamento e quegli affetti privati. Perché se ella ha un padre e una madre ha anche un fratello più grande, Pietro, nato dalla relazione del papà con un’altra donna, Lucrezia. Quest’ultima, medico che si occuperà delle cure della protagonista, è la madre di questo ma anche di Nadir, nato dall’unione con il nuovo compagno neurologo. Entrambi i bambini, Nadir e Celeste, dipendono dal fratello maggiore e nutrono verso di lui un sentimento di grande profondità e intensità. Si detestano all’inizio proprio perché si contendono il suo affetto cercando, ciascuno a suo modo, di diventare il preferito di Pietro. Gli anni passano e il rapporto tra Nadir e Celeste cambia assumendo sfumature diverse, non più di odio quanto di un altro sentimento dalle tinte della complicità. Un sentimento che alterna attrazione e respingimento, ferite e crepe, legami che non possono sciogliersi anche con quella lontananza voluta o obbligata.
Ma cosa accade a Pietro? Perché adesso Nadir è scomparso alla ricerca di una verità e di un perché? Perché la trentatreenne Celeste ha scelto proprio quel ricordo di lui “combattente” e di loro tre così imperfetti per ricordarlo e convivere con la sua perdita e assenza?

«Che non eravamo fratelli.
Che non si sapeva cosa fossimo, non c’era un grado di parentela per descriverci.
Non era certo una cosa che capitava a chiunque.»

Valentina D’Urbano propone ai suoi lettori un titolo che si sviluppa tra infanzia, adolescenza ed età adulta dei tre personaggi principali. Quel che viene narrato è un sentimento d’amore e amicizia che passa per speranza, solitudine, dolore, distacco e separazione soprattutto per quell’età della maturazione che nel sopraggiungere ci ricorda quanto sia impossibile tornare indietro. Affrontiamo i venticinque anni di vita tra scelte giuste e sbagliate, errori e consapevolezza. Conosciamo una Celeste che fa della sua malattia il metro con cui affrontare il vivere quotidiano, un Nadir che cattura le emozioni e che non può essere imbrigliato a qualsivoglia forma di catena e un Pietro che in veste di ricercatore intraprende quella strada per proteggere e difendere chi non può e chi ancora non riesce a far con le proprie forze.

«In questa vita niente e nessuno ci appartiene davvero, e arriva il momento in cui ognuno di noi deve restituire qualcosa al mondo.»

L’opera è avvalorata da uno stile scorrevole, una forma narrativa in prima persona, una prosa non particolarmente elaborata ma piacevole. Tuttavia il romanzo non convince completamente e non riesce a coinvolgere totalmente il lettore. Forse perché le voci delineate risultano essere troppo costruite, forse perché la storia nel suo complesso risente di una impostazione troppo rigida che non lascia spazio a quella naturalezza che di solito coinvolge e caratterizza le opere della scrittrice. Non mancano ancora espressioni che rimandano al luogo comune e una costante sensazione di déjà-vu con titoli precedenti della stessa e con tematiche sin troppo gettonate.
Nel complesso la lettura è gradevole ma non convince interamente, non spicca per originalità e maturazione tanto da non potersi annoverare tra le migliori della scrittrice. Una lettura estiva, non impegnativa e dalla quale non aspettarsi troppo.

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