Saggistica Arte e Spettacolo A che servono i Greci e i Romani
 

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Sempre più spesso a chi si occupa di discipline umanistiche - e soprattutto classiche - viene chiesto: «A che cosa serve?» Dietro questa domanda agisce una rete di metafore economiche usate per rappresentare la sfera della cultura («giacimenti culturali», «offerta formativa», «spendibilità dei saperi», «crediti», «debiti» e così via). A fronte di tanta pervasività di immagini tratte dal mercato, però, sta il fatto che la storia testimonia una visione ben diversa della creazione intellettuale. La civiltà infatti è prima di tutto una questione di pazienza: e anche la nostra si è sviluppata proprio in relazione al fatto che alla creazione culturale non si è chiesto immediatamente «a che cosa servisse». In particolare, è proprio lo studio dei Greci e dei Romani a meritare questa pazienza: soprattutto in Italia, un paese la cui enciclopedia culturale è stata profondamente segnata dall'ininterrotta conoscenza dei classici. Se si vuole mantenere viva questa presenza, però, è indispensabile un vero e proprio cambiamento di paradigma nell'insegnamento delle materie classiche nelle nostre scuole.



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A che servono i Greci e i Romani 2020-01-24 16:40:36 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    24 Gennaio, 2020
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CULTURA, QUEL SUPERFLUO INDISPENSABILE

“Se il patrimonio culturale classico in Italia ha il valore che secoli di studi appassionati, condotti da noi e nel resto del mondo, stanno lì a testimoniare -e che un enorme flusso di turisti annualmente comprova - , bisognerà pure che il nostro paese si impegni a mantenere un livello di memoria culturale adeguato a tanta ricchezza. Una nazione che ha sul proprio territorio i templi di Agrigento, il Colosseo o Pompei, non può permettersi di avere cittadini che si trovino in difficoltà nel decidere se questi monumenti -qualora abbiano l’opportunità di vederli siano stati edificati dai Greci, dai Romani o da Cristoforo Colombo. Dobbiamo rassegnarci all’idea che, dal punto di vista del nostro rapporto con la cultura, e quella classica in particolare, non siamo un paese come un altro”.

L’Italia non è un paese come un altro. È il più ricco dei siti patrimonio UNESCO, dove non solo i monumenti, i centri storici, le opere d’arte sono riconosciute quali tesori dell’umanità, ma anche le lingue.
Un libro che tutti dovremmo leggere, dagli studenti che troppo facilmente sparano un “ma perché si studia storia dell’arte (storia, latino, greco compagnia tutta), a cosa serve?” agli adulti e agli insegnanti affinché abbiano la degna risposta pronta a questa domanda e a tante altre simili.
Molti di noi italiani non si rendono conto dei tesori che possediamo, che antiche civiltà ci hanno donato e che tutto il mondo ci invidia.
L’Italia è luogo prodigiosamente eletto da una favolosa contingenza storica e culturale, in particolare nella classicità e questa grande e ricca eredità culturale richiede responsabilità. Non si tratta di radici, non si tratta di identità culturale, poiché ci stiamo dirigendo verso una società multietnica sempre più lontana dai nostri “antenati”, ma si tratta di memoria culturale.
La memoria culturale richiede la necessità di mantenere vivo l’interesse e lo studio del contesto e del significato dei monumenti, delle opere architettoniche, letterarie, artistiche che possediamo. Se non si studia la civiltà classica greca e romana, si perde il significato degli scavi archeologici di Pompei, ad esempio, e quelle testimonianze non hanno più voce, diventano pietre mute, presenze ingombranti del nostro paesaggio. Senza memoria culturale si perde il significato dei luoghi.

Maurizio Bettini, antropologo, studioso di filologia classica greca e romana all’Università di Siena, sostiene l’importanza di conservare la nostra memoria storica attraverso la scuola e l’insegnamento, ma non chiudendoci nei confronti delle nuove culture che ormai fanno parte del nostro paese.

Si tratta di un libro sottile, che si legge con vero piacere, composto da brevi paragrafi titolati. Bettini nella prima parte spiega il titolo del libro, soffermandosi proprio sull’etimologia, il senso più autentico ed anche pericoloso di “servire, servire a” quando si parla di cultura e allarga poi la lente su altri termini che ormai sono entrati a far parte del parlare comune e che derivano da un campo semantico più prettamente economico e finanziario : “giacimenti culturali”, “mercato culturale” “patrimonio dell’umanità “etc. La cultura dovrebbe essere lontana da queste metafore che indicano non la custodia, ma lo sfruttamento per trarne un rendiconto economico.
La seconda parte del libro è focalizzata sul nostro BelPaese, sulla nostra eredità culturale greco-romana, la nostra memoria storica che diventa poi anche responsabilità.


In una società globalizzata e multietnica, dove l’inglese sta facendo “morire” le lingue minoritarie, come un tempo il latino con l’etrusco e le altre lingue antiche, arriva un accorato appello agli insegnanti, ai nostri politici (forse l’appello è qui poco convinto, sigh) affinché si cambi rotta con l’insegnamento nei licei.
Da un discorso più generalizzato sulla conservazione e lo studio dei monumenti, Bettini passa infatti alla scuola, ai licei, in particolari quelli classici, dove si studiano le lingue cosiddette “morte”. Niente di più sbagliato. Greco e latino campeggiano negli archivi e nella nostra lingua e finché verranno conservati le due lingue non saranno mai propriamente “morte”. Ma cosa bisogna fare per resistere all’estinzione? Adeguarsi ai tempi, rendere interessanti le lezioni, cambiare le prove d’esame per dare la possibilità agli insegnanti ed ai ragazzi di non preoccuparsi solo dell’operazione di traduzione delle versioni, esercizio sterile che rende odiosi certi autori (Cicerone, ad esempio), ma di scegliere stralci che possano dare spunto di dibattito discussione approfondimento di aspetti della letteratura e della civiltà antica. Bettini indica una serie di spunti e buone prassi messe a punto da volenterosi e coraggiosi insegnanti italiani che hanno capito che insistere con i vecchi modelli è come volersi coprire gli occhi e condannare all’estinzione lo studio del latino e del greco e azzerare le iscrizioni al liceo classico e ad alcuni indirizzi del liceo scientifico.

Tra le tante incertezze della nostra società, la scuola rimane ancora un punto fermo (per fortuna) per la formazione di cittadini più consapevoli dell’eredità culturale del nostro BelPaese. Perché la cultura rende una nazione più degna di essere tutelata, rispettata, vissuta.


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A tutti coloro che hanno amato/odiato le lingue antiche e non solo a loro!
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