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Il cuore e la tenebra
 
Il cuore e la tenebra 2019-08-31 17:56:13 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    31 Agosto, 2019
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Relazioni di padri e figli

Ogni persona ferita dal dolore della perdita e dell’assenza avvia naturalmente un percorso di consapevolezza. La morte è un’opportunità di vita e Giulio, il protagonista trentenne di questo romanzo, ritorna a Berlino per seppellire suo padre e ripercorrere il cammino di relazione, per domandare e per capire.

Nelle pagine finali l’autore raccomanda: questo romanzo è opera di fantasia… tratta di temi come il fallimento, la morte del padre, la dissoluzione della famiglia, l’amore per i figli, il dolore del distacco, l’impossibilità di fare davvero i conti con la nostra finitezza, l’egoismo insito nella nostra stessa natura, il ritorno vero o presunto di ideologie che hanno segnato il Novecento, la linea d’ombra che separa il Bene e il Male.

Leggo una storia violenta e tenera di uomini irrisolti fino a che non si donano il permesso di perdonarsi e di perdonare. È la paura dell’essere solo e abbandonato, è l’angoscia della morte, che Giulio riconosce dinanzi al rischio di un padre sicuramente maniacale e forse pure filonazista. Fra i libri e i documenti ritrovati, il giovane scopre l’inspiegabile passione paterna per il nazionalsocialismo e, in generale, per le proposte hitleriane. Cosa è accaduto perché un uomo libero, colto, brillante, intelligente si sia così tanto appassionato agli ideali populisti di estrema destra? Ma davvero senza Hitler e il nazionalsocialismo, Furtwängler non avrebbe mai diretto magistralmente quel concerto? Ma, in un regime totalitario, davvero vale l’idea di poter salvare qualcosa?

“Per questo sono arrivato alla conclusione che per eseguire la Nona Sinfonia nel solco del pur inarrivabile Wilhelm Furtwängler, sia assolutamente necessario ancora oggi studiare, anzi immergersi, in Hitler e nel Nazionalsocialismo. A partire dalla celebre biografia dello storico Joachim Fest.” p.56

La depressione prevede sempre l’impossibilità di perdere e di fallire, la necessità di tener duro, come ricorda il tatuaggio sulle dita del maestro d’orchestra. Un papà, Federico Rallo, che piangeva troppo e che si deprime nello sforzo di calare se stesso e la sua orchestra nell’epoca storica in cui Furtwängler diresse la Nona sinfonia di Beethoven, nell’aprile del ’42, in onore del compleanno di Hitler. Nella proposta del padre che vive in solitudine a Berlino, avendo perso il posto di lavoro, l’esistenza è registrata come una guerra in cui i traditori si condannano a morte ed in cui è bene non sposarsi mai e non arrendersi e resistere e considerare il Trionfo della Volontà. Il maestro Rallo crede nella “freddezza del grande giocatore d’azzardo”, nel “duro e intrepido sfidare il destino”, nella risolutezza senza fragilità e nella magica irresistibilità. Crede in un uomo che non ha mai capitolato e che insegue la perfezione e l’unicità escludente: insomma, segnala un paranoico.

“Il nazismo non tanto come dottrina politica ma come… concezione dell’esistenza.” p.107

Ed è questo sguardo a preoccuparmi: la visione di mondo e di vita, la weltanschauung drammaticamente chiara. Non mi scappa di fare la psicologa, ma questa è un’epoca in cui non è opportuno coltivare ingenuità storiche e scelgo di offrire una possibile chiave di lettura che ritengo essenziale, non certo l’unica. Non si tratta di demonizzare e liquidare velocemente le dottrine politiche che sostengono presunte superiorità e obbligate sottomissioni, semmai di capire la follia del potere nei primi atti e fermarne la deriva, innanzitutto, nella propria coscienza.

È una lettura che mi rende inquieta con le presenze richiamate: Hitler, Goebbels, Heydrich, Göring, seduti in prima fila nelle foto e nel romanzo. Uomini feroci perché matti. Ai lati le bandiere con la svastica. Ovunque. E un popolo tedesco vittima perché carnefice.

Nella storia narrata, i protagonisti sono meravigliati e ben disposti per l’affetto che i carnefici tedeschi mostrarono nei confronti dei loro pargoli e per l’attrazione e l’apprezzamento manifestate verso le forme artistiche. Il paranoico criminale, certo, può apparire come un genitore affettuoso e un amante dell’arte e pareggiare le tenebre della coscienza profonda con le luci abbaglianti di una ideologia salvifica. E, a questo punto, per chiarire lo scenario, è necessario richiamare alla memoria, brevemente, la paranoia definita come una psicosi caratterizzata da diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri che iniziano nella prima età adulta e che sono presenti in una varietà di contesti. La paranoia rimanda ad una forma di schizofrenia caratterizzata dalla presenza di uno o più deliri o di frequenti allucinazioni uditive. La costruzione delirante subordina tutta l’attività psichica ai propri fini e la quotidianità ne viene irreparabilmente contaminata. I deliri si rivelano relativamente coerenti, logici, relativamente plausibili nella loro forza macabra di convinzione. (1)

Ora, il cave canem è nel dubbio che i totalitarismi possano proporre, in fondo, anche ideali buoni o produrre opere d’arte! La malattia mentale non può essere venduta o sdoganata e accettata dalla massa come scelta politica. Il dittatore di turno cade e perde non perché ha osato scelte che si sono rivelate fatali, ma perché l’evoluzione della malattia ha seguito il suo corso. Il precipizio psicologico e antropologico è la patologia e non le scelte che eventualmente ne conseguono. Gli oppressori sono paranoici e, di conseguenza, se non fosse accaduta una vicenda mortifera ne sarebbe accaduta un’altra che ne avrebbe interamente manifestato il delirio. La generalizzazione e il relativismo sono presupposti pericolosi e nulla condividono con la prospettiva sana della complessità che trattiene in sé gli opposti, il bene e il male, l’ombra e la luce, la gioia e il dolore, il fallimento e la rinascita, la creatività e l’inquietudine psicologica.

Il cuore e la tenebra è un romanzo di formazione che avverte l’urgenza di indagare nella relazione fra padre e figlio, come da molti anni, la letteratura e la psicologia studiano il rapporto fra madre e figlia. Attraverso questa storia, sono contenta di aver avviato una riflessione che mi sta a cuore anche come cittadina e come formatrice. Con l’incontro in presenza, Giuseppe Culicchia si conferma persona e scrittore di adultità e di coraggio che non si sforza di trovare soluzioni, ma consente di incamminarci sulla via che dalla comprensione porta all’assunzione della responsabilità e alla rinascita. Auguro più che mai ad ogni lettrice e ad ogni lettore di questo libro, il pensiero critico e il discernimento, oltre alla capacità di accogliere storie complesse e di custodirne il mistero.

(1) DSM, Diagnostic and statistical manual of mental disorders

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