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Il cuore e la tenebra Il cuore e la tenebra

Il cuore e la tenebra

Letteratura italiana

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Giulio, trent'anni superati da poco, viene raggiunto dalla notizia della morte del padre. Famoso direttore d'orchestra, si era trasferito anni prima a Berlino, dove era stato nominato direttore della Filarmonica. Ossessionato dall'esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwängler nel 1942 per il compleanno di Hitler, aveva costretto l'orchestra a migliaia di prove estenuanti per ripeterla identica. La rivolta dei musicisti e l'accusa di nazismo che ne era seguita avevano troncato la sua carriera. Sullo sfondo di una Berlino in costante mutazione, Giulio intraprende il suo viaggio per raccogliere i pezzi della vita di quel padre scomparso improvvisamente e che aveva visto così poco dopo che aveva lasciato la madre e lui e suo fratello ancora bambini. Tocca a Giulio occuparsi di tutto e, nell'appartamento berlinese, tra gli oggetti, i libri e i file personali, quella che piano piano prende forma davanti ai suoi occhi è una nuova immagine del padre, una nuova storia. Che cosa significa fallire? Cosa significa per un padre lasciare i figli?



Recensione della Redazione QLibri

 
Il cuore e la tenebra 2019-03-21 14:08:11 ornella donna
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    21 Marzo, 2019
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un rifugio devastante

Il cuore e la tenebra è l’ultimo romanzo di Giuseppe Culicchia. Un romanzo del tutto differente dai suoi precedenti. Un testo corposo, che induce alla riflessione intrinsecamente difficile e complicata. Apre scenari e domande di grande spessore narrativo. Penso che nulla renda meglio l’idea di questo testo, se non le parole stesse dell’autore in una nota a calce:
“Il cuore e la tenebra è la storia di un uomo che, non tollerando più il suo presente e non vedendo più alcun futuro, sceglie di rifugiarsi nel passato. Ma non in un passato per così dire di comodo. (…) no: lui sceglie il cuore di tenebra dell’Europa. Da artista e uomo di spettacolo, resta affascinato dallo “spettacolo”messo in scena da Hitler. Vedi Joseph Conrad in Cuore di tenebra. (…) Incapace di liberarsi dal senso di colpa che lo attanaglia dopo aver distrutto la sua famiglia, Federico Rallo si fa carico di una colpa ancora più grande. E’ il suo modo di chiedere perdono.”.
Dunque la storia di un figlio, Giulio, che apprende della morte del proprio padre a Berlino. Il suo non è un padre qualsiasi: famoso direttore d’orchestra, dopo aver vissuto per molti anni a Milano, si trasferisce a Berlino, in seguito alla nomina di direttore della Filarmonica. Ossessionato, però, da una perfetta idea di esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwangler nel 1942 per il compleanno di Hitler, costringe gli orchestrali a prove indicibili per ripeterla identica. Fino a quando la successiva rivolta lo costringe al licenziamento. Da lì in poi la rivalutazione del nazismo diventa, per lui, una:
“non tanto come dottrina ma come …. Concezione dell’esistenza.”
Per Giulio un travaglio incomprensibile, una dispersione nel nulla che non comprende e che lo sconvolge. Si rende conto di non aver mai conosciuto a fondo il proprio padre E’ smarrito e quando apre il suo computer si trova davanti a file terribili:
“Apro il Mac .Lo schermo si illumina. Sullo schermo, tutto nero, leggo una frase: WIR KAPITULIEREN NICHT, NIEMALS. Noi non capitoleremo, mai. Poi ai quattro angoli dello schermo, quattro cartelle. La prima è intitolata NAZI. La seconda WORK. La terza FUN. La quarta KINDER. Ovvero …. BAMBINI. Oh mio dio. Vengo attraversato da un pensiero terribile”.
Una discesa negli inferi per comprendere. O forse no. Infatti:
“Fu quello l’istante in cui l’incanto del mondo si spezzò. (…) E come se continuando a leggere ciò che hai scritto mi inoltrassi nel tuo cuore di tenebra.”
Un romanzo che narra di una fuga. Una fuga:
“Da una realtà che non sopportavi più. Ti sei, cioè, ti eri come rifugiato nel Terzo Reich. Aggrappandoti al nazismo. Santo cielo. Per aggrapparsi al nazismo uno deve stare male, molto male.”
Un libro che mi è molto piaciuto. Non è il solito, ironico, Culicchia a cui siamo abituati, ha una profondità di essere e di esistenza al di fuori del comune. Una lettura per certi versi sconvolgenti per il suo intrinseco contenuto, una prosa diretta e colta. Un testo che affronta con sapienza narrativa svariati temi importanti: quali la disgregazione della famiglia,l’amore per i figli, la morte e il distacco, ma anche:
“l’impossibilità di fare davvero i conti con la nostra finitezza, l’egoismo insito nella nostra stessa natura, il ritorno vero o presunto di ideologie che hanno segnato il Novecento, la linea d’ombra che separa il Bene dal Male.”
Un romanzo emozionante, che riflette sulle grandi ideologie, appunto, sul “trionfo della volontà” sull’essere cittadini del mondo. Un mondo infinito per un uomo finito e forse anche miserabile, ma dotato di una essenza unica e totalizzante: il cuore.

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Il cuore e la tenebra 2019-08-31 17:56:13 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    31 Agosto, 2019
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Relazioni di padri e figli

Ogni persona ferita dal dolore della perdita e dell’assenza avvia naturalmente un percorso di consapevolezza. La morte è un’opportunità di vita e Giulio, il protagonista trentenne di questo romanzo, ritorna a Berlino per seppellire suo padre e ripercorrere il cammino di relazione, per domandare e per capire.

Nelle pagine finali l’autore raccomanda: questo romanzo è opera di fantasia… tratta di temi come il fallimento, la morte del padre, la dissoluzione della famiglia, l’amore per i figli, il dolore del distacco, l’impossibilità di fare davvero i conti con la nostra finitezza, l’egoismo insito nella nostra stessa natura, il ritorno vero o presunto di ideologie che hanno segnato il Novecento, la linea d’ombra che separa il Bene e il Male.

Leggo una storia violenta e tenera di uomini irrisolti fino a che non si donano il permesso di perdonarsi e di perdonare. È la paura dell’essere solo e abbandonato, è l’angoscia della morte, che Giulio riconosce dinanzi al rischio di un padre sicuramente maniacale e forse pure filonazista. Fra i libri e i documenti ritrovati, il giovane scopre l’inspiegabile passione paterna per il nazionalsocialismo e, in generale, per le proposte hitleriane. Cosa è accaduto perché un uomo libero, colto, brillante, intelligente si sia così tanto appassionato agli ideali populisti di estrema destra? Ma davvero senza Hitler e il nazionalsocialismo, Furtwängler non avrebbe mai diretto magistralmente quel concerto? Ma, in un regime totalitario, davvero vale l’idea di poter salvare qualcosa?

“Per questo sono arrivato alla conclusione che per eseguire la Nona Sinfonia nel solco del pur inarrivabile Wilhelm Furtwängler, sia assolutamente necessario ancora oggi studiare, anzi immergersi, in Hitler e nel Nazionalsocialismo. A partire dalla celebre biografia dello storico Joachim Fest.” p.56

La depressione prevede sempre l’impossibilità di perdere e di fallire, la necessità di tener duro, come ricorda il tatuaggio sulle dita del maestro d’orchestra. Un papà, Federico Rallo, che piangeva troppo e che si deprime nello sforzo di calare se stesso e la sua orchestra nell’epoca storica in cui Furtwängler diresse la Nona sinfonia di Beethoven, nell’aprile del ’42, in onore del compleanno di Hitler. Nella proposta del padre che vive in solitudine a Berlino, avendo perso il posto di lavoro, l’esistenza è registrata come una guerra in cui i traditori si condannano a morte ed in cui è bene non sposarsi mai e non arrendersi e resistere e considerare il Trionfo della Volontà. Il maestro Rallo crede nella “freddezza del grande giocatore d’azzardo”, nel “duro e intrepido sfidare il destino”, nella risolutezza senza fragilità e nella magica irresistibilità. Crede in un uomo che non ha mai capitolato e che insegue la perfezione e l’unicità escludente: insomma, segnala un paranoico.

“Il nazismo non tanto come dottrina politica ma come… concezione dell’esistenza.” p.107

Ed è questo sguardo a preoccuparmi: la visione di mondo e di vita, la weltanschauung drammaticamente chiara. Non mi scappa di fare la psicologa, ma questa è un’epoca in cui non è opportuno coltivare ingenuità storiche e scelgo di offrire una possibile chiave di lettura che ritengo essenziale, non certo l’unica. Non si tratta di demonizzare e liquidare velocemente le dottrine politiche che sostengono presunte superiorità e obbligate sottomissioni, semmai di capire la follia del potere nei primi atti e fermarne la deriva, innanzitutto, nella propria coscienza.

È una lettura che mi rende inquieta con le presenze richiamate: Hitler, Goebbels, Heydrich, Göring, seduti in prima fila nelle foto e nel romanzo. Uomini feroci perché matti. Ai lati le bandiere con la svastica. Ovunque. E un popolo tedesco vittima perché carnefice.

Nella storia narrata, i protagonisti sono meravigliati e ben disposti per l’affetto che i carnefici tedeschi mostrarono nei confronti dei loro pargoli e per l’attrazione e l’apprezzamento manifestate verso le forme artistiche. Il paranoico criminale, certo, può apparire come un genitore affettuoso e un amante dell’arte e pareggiare le tenebre della coscienza profonda con le luci abbaglianti di una ideologia salvifica. E, a questo punto, per chiarire lo scenario, è necessario richiamare alla memoria, brevemente, la paranoia definita come una psicosi caratterizzata da diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri che iniziano nella prima età adulta e che sono presenti in una varietà di contesti. La paranoia rimanda ad una forma di schizofrenia caratterizzata dalla presenza di uno o più deliri o di frequenti allucinazioni uditive. La costruzione delirante subordina tutta l’attività psichica ai propri fini e la quotidianità ne viene irreparabilmente contaminata. I deliri si rivelano relativamente coerenti, logici, relativamente plausibili nella loro forza macabra di convinzione. (1)

Ora, il cave canem è nel dubbio che i totalitarismi possano proporre, in fondo, anche ideali buoni o produrre opere d’arte! La malattia mentale non può essere venduta o sdoganata e accettata dalla massa come scelta politica. Il dittatore di turno cade e perde non perché ha osato scelte che si sono rivelate fatali, ma perché l’evoluzione della malattia ha seguito il suo corso. Il precipizio psicologico e antropologico è la patologia e non le scelte che eventualmente ne conseguono. Gli oppressori sono paranoici e, di conseguenza, se non fosse accaduta una vicenda mortifera ne sarebbe accaduta un’altra che ne avrebbe interamente manifestato il delirio. La generalizzazione e il relativismo sono presupposti pericolosi e nulla condividono con la prospettiva sana della complessità che trattiene in sé gli opposti, il bene e il male, l’ombra e la luce, la gioia e il dolore, il fallimento e la rinascita, la creatività e l’inquietudine psicologica.

Il cuore e la tenebra è un romanzo di formazione che avverte l’urgenza di indagare nella relazione fra padre e figlio, come da molti anni, la letteratura e la psicologia studiano il rapporto fra madre e figlia. Attraverso questa storia, sono contenta di aver avviato una riflessione che mi sta a cuore anche come cittadina e come formatrice. Con l’incontro in presenza, Giuseppe Culicchia si conferma persona e scrittore di adultità e di coraggio che non si sforza di trovare soluzioni, ma consente di incamminarci sulla via che dalla comprensione porta all’assunzione della responsabilità e alla rinascita. Auguro più che mai ad ogni lettrice e ad ogni lettore di questo libro, il pensiero critico e il discernimento, oltre alla capacità di accogliere storie complesse e di custodirne il mistero.

(1) DSM, Diagnostic and statistical manual of mental disorders

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Il cuore e la tenebra 2019-08-02 12:21:09 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    02 Agosto, 2019
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Un rifugio scomodo

Il titolo di questo ultimo romanzo di Giuseppe Culicchia rimanda e a ragione (così è anche l'intenzione dell'autore) al ben più famoso “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad; anche qui, come nel romanzo di Conrad, si parla di un'ossessione, il seguire a ritroso un fiume che inevitabilmente porta al cuore nero dell'Europa, il Terzo Reich.
Federico Rallo, ex famoso direttore d'orchestra da anni residente a Berlino, è morto. Il figlio minore Guido, fotografo trentaquattrenne, è costretto a partire per organizzare il funerale e sistemare le ultime cose visto che il fratello maggiore Pietro non parlava con il padre da anni e la madre ormai vive in Vietnam con un nuovo compagno. Il Maestro Rallo ha vissuto gli ultimi anni in solitudine e quasi in povertà dopo due eventi che hanno sconvolto per sempre la sua vita: aver abbandonato la famiglia sulla scia di una passione effimera ed essere stato licenziato dalla direzione dei famosi Berliner per presunte simpatie naziste.
Questi due eventi sono strettamente collegati fra loro, è quello che Giulio scopre leggendo gli appunti lasciati nel computer dal padre. Federico Rallo non si è mai perdonato di aver distrutto la famiglia e aver costretto i suoi due bambini a vivere la loro infanzia con la continua mancanza di una dei due genitori, ed è stato sopraffatto dai sensi di colpa anche per non essere riuscito a creare un rapporto col figlio maggiore mai cresciuto a causa di una relzione simbiotica con la madre.
Da qui nasce l'ossessione: ripetere la perfetta esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwangler nel 1942 in occasione del compleanno di Hitler e dopo aver costretto la sua orchestra ad estenuanti quanto insoddisfacenti prove viene licenziato. Ma l'ossessione si amplia fino a rimanere affascinato dalla figura di Hitler, dal Reich e dai suoi comprimari (Goebbels, Heydrich, Himmler e Goering) al punto di giustificare e quasi comprendere tutto ciò che successe in quegli anni terribili. In definitiva cerca di espiare una colpa macchiandosi di una colpa più grande: rifugiarsi in un passato “sbagliato”. Giulio, dopo lo sgomento iniziale, riesce a comprendere il padre riallacciando il filo dei ricordi, il suo esserci sempre, il suo averli amati immensamente, il suo vivere per loro, il suo cercare di essere nonostante tutto una famiglia. E' da morto che Federico Rallo riesce nel suo intento: i due fratelli SONO una famiglia, l'amore che ha avuto per loro ha dato i suoi frutti e queste sono forse le pagine più belle e toccanti di tutto il libro. Avendo letto moltissimo tempo fa “Tutti giù per terra” posso adesso dire che Giuseppe Culicchia è cresciuto e lo dimostra con questo suo ultimo lavoro. Tutto scritto in prima persona con uno stile incisivo, quasi come un diario, intervallato da foto e innumerevoli riferimenti alla Storia presente e passata, “Il cuore e la tenebra” è anche un romanzo calato nell'intimo di tutti noi poiché affronta tematiche come l'egoismo, la dissoluzione della famiglia e le sue ripercussioni, le imperfezioni, le debolezze, le rovine interiori che ci portiamo dentro.


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