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Cent'anni di solitudine
 
Cent'anni di solitudine 2014-09-17 12:22:04 Maria Concetta
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Opinione inserita da Maria Concetta    17 Settembre, 2014

Al di là di ogni strettoia razionale, nell’abisso

“Cent'anni di solitudine” 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel Garcia Marquez, rappresenta una tappa significativa nella storia evolutiva del romanzo moderno.
Il primo vero romanzo (è chiaro, in sede, d'"Alta letteratura"), inteso come azioni vissute da
personaggi, raccontate in prosa da una voce narrante, nasce come romanzo storico: "Ivanhoe"
dello scozzese Walter Scott, dove però la storia funge ancora da sfondo, mentre il primo "vero"
romanzo storico nasce in Italia con A. Manzoni: "I Promessi Sposi", dove la storia è
protagonista. Nonostante la lontananza sia geografica che cronologica, mi sento di evidenziare
una certa affinità fra quest'ultimo e il romanzo di Marquez. Ambedue le opere sono un misto di
storia e invenzione. Ne “I promessi sposi” la storia è realisticamente vera e influenza la vita dei
personaggi al punto tale da far affermare al grande critico Luigi Russo che "vero protagonista
dell'opera è il seicento", in "Cent'anni di solitudine" la storia come metafora o allegoria viene
trasferita in un'altra dimensione, dove domina il "surreale".
Cosi la fondazione di Macondo da parte del capostipite della famiglia, Jose Arcadio Buendìa,
e gli eventi successivi (l'arrivo degli zingari, della chiesa e del "correggitore" governativo
conservatore) sono la metafora della fondazione della Colombia moderna (intorno al 1830) dopo la dissoluzione della grande Colombia di Simon Bolivar; la guerra dei mille giorni (1899-1901) ovvero la guerra del colonnello Aureliano Buendìa, conclusa con la pace di Neerlandia, è l'allegoria della capitolazione dei liberali nella "piantagione banani di Neerlandia", mentre
l'episodio del ghiaccio è la metafora dell'arrivo della tecnologia, ma anche dei nord-americani
della multinazionale "United Fruit Company". L' "invenzione" ne "I Promessi Sposi" è
il "verosimile" cioè un' invenzione scaturita dalla ragione, in "Cent'anni di solitudine" si tratta
invece di un' invenzione partorita dalla fantasia irrazionale, che corre incontrastata tra i meandri
dell'inconsapevolezza, sconfinando nel surreale. La novità quindi del romanzo di Marquez va
ricercata nel rapporto col mondo, che avviene attraverso la fantasia dell'inconscio.
In effetti è proprio il modo di filtrare la realtà che ha differenziato e caratterizzato la produzione
letteraria in genere, romanzo compreso, nel corso della storia della letteratura.
Cosi si passa da "I Promessi Sposi", in cui il rapporto col mondo avviene attraverso ragione
e sentimento, ai romanzi naturalisti e veristi in cui l'autore si limita, secondo i canoni di quel
periodo letterario, a fotografare la realtà: "Impersonalità dell'arte", a "Il ritratto di Dorian Gray"
di Oscar Wilde o a "Il piacere" di D'Annunzio, dove il rapporto con la realtà avviene attraverso
i sensi, o ancora, in seguito alla scoperta della psicanalisi, ai romanzi di Pirandello, Svevo,
Joyce, dove il rapporto col mondo viene gestito dalla psiche o, meglio, dall'inconscio.
Ecco perchè, come già detto, il romanzo di Marquez rappresenta una tappa interessante
nell'evoluzione di questo genere letterario, in quanto cambia il rapporto col mondo: esso
avviene attraverso la fantasia, che si muove nel labirinto dell'inconscio per cui diventa surreale
e necessiterebbe pure di nuove tecniche espressive.
Come si potrebbe definire la tecnica espressiva mediante la quale l'autore, entrando nel
profondo del personaggio "Ursula", esprime l'intuizione o la telepatia della disgrazia nel
momento in cui muore il figlio Josè Arcadio? Tale presentimento viene allegoricamente
materializzato da un rigagnolo di sangue che, dalla casa di Josè Arcadio, scorre fino a
raggiungere la madre Ursula, che si trova nella cucina della propria casa. La vista del sangue
rappresenta il presentimento della sciagura da parte di Ursula, ed il rigagnolo dello stesso,
che la guida verso il luogo della disgrazia, rappresenta quel "sesto senso", inconsapevolmente
nascosto nel profondo dell'inconscio.
Ma, come si potrebbe definire tale tecnica espressiva? Forse "flusso dell'inconsapevolezza"?
o "allegoria dell'inconscio"?
A chi di dovere l'"arduo compito".

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Commenti

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Maria Concetta, trovo la tua recensione molto originale, approfondita e colta.
In risposta ad un precedente commento

22 Settembre, 2014
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Profonda, interessante, nuova, soprattutto nel proporre la ricerca di nuove tecniche espressive relative ad una diversa dimensione di approccio con la realtà.
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