Saggistica Scienze umane Il grido di Giobbe
 

Il grido di Giobbe Il grido di Giobbe

Il grido di Giobbe

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Il male che si accanisce contro Giobbe non può più essere concepito come una punizione, poiché egli non ha commesso alcun delitto; non può più essere una vendetta, poiché egli non ha colpito nessuno. Nel trovarsi esposto alla violenza insensata della sofferenza Giobbe si trova immerso in una esperienza intraducibile. Resta solo il grido rivolto a Dio come il modo più radicale della domanda. La stessa che egli porta nell'etimo del suo nome: Giobbe significa nella lingua ebraica « dov'è il padre? » Domanda che sovrasta ogni possibile risposta. «Il dolore di Giobbe – come scrive Recalcati – non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia, come nessuna altra forma di sapere, è in grado di spiegarne l'eccesso». Il grido di Giobbe accade quando le parole sono costrette al silenzio, spezzate dal trauma del male. Esso non è indice di rassegnazione ma di lotta e di resistenza. Dopo La notte del Getsemani e Il gesto di Caino , con Il grido di Giobbe continua l'intenso e sorprendente viaggio di Massimo Recalcati lettore della Bibbia, impegnato a rintracciare l'eredità più profonda del pensiero psicoanalitico che si concluderà, a breve, con un'ampia e attesa opera.



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Il grido di Giobbe 2021-07-12 10:21:07 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    12 Luglio, 2021
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La fede

Il libro di Giobbe contiene il grido dell’uomo giusto abbandonato da Dio che alza al cielo la sua voce in quello che è un ibrido tra bestemmia e dolore. Giobbe chiede di vedere Dio e di parlarGli guardandoLo in faccia per avere non un rimedio ai suoi mali, ma una spiegazione. Infatti il male che colpisce l’innocente mina la fiducia nell’onnipotenza e nella giustizia di Dio, forse persino fa dubitare della Sua estraneità al male, oltre a togliere fiducia nella convenienza del bene (teoria retributiva).
In ogni caso, all’inizio della disgrazia di Giobbe c’è Satana che suggerisce proprio questo: Giobbe è tanto retto per una questione di calcolo, cioè perché conta sulla giustizia retributiva di Dio. Ma se Dio non lo ripagasse, sarebbe fedele allo stesso modo?
L’invidia dell’uomo che vuole tutto (Adamo ed Eva) è l’altra faccia della stessa medaglia della disperazione dell’uomo che perde tutto. Ma Giobbe pur nella disgrazia, pur invocando la morte non la cerca.
L’angoscia di Giobbe nasce dalla mancanza della mancanza, cioè dalla impossibilità di sottrarsi alla persecuzione del male e al suo eccesso. Il fatto che Dio diventi un nemico, svuota la vita di senso togliendole ogni valore. Infatti di tutte le disgrazie e i lutti che gli capitano, il peggiore è l’abbandono di Dio. Giobbe però non chiede perdono come gli consigliano gli amici, non ha mai dubbi sulla propria innocenza. Chiedere perdono di qualcosa che non ha fatto sarebbe venire meno alla verità. In nome della verità chiede conto a Dio del suo allontanamento. Non è Dio a dire “Dove sei?” come fece con Caino o Adamo, ma è Giobbe che dice a Dio: “Dove sei”. Infatti, per quanto ad Abramo fosse stato chiesto il sacrificio del figlio, aveva almeno potuto dialogare con chi lo pretendeva. E’ l’assenza la cosa peggiore per Giobbe.
Quando viene accontentato e vede Dio, Giobbe si converte prima di avere una retribuzione e indipendentemente da questa. Decide di fidarsi di Dio perché capisce che il rapporto con Dio non può contenere nessun tipo di calcolo. La fede di Giobbe disarma Dio placando la sua ira verso l’umanità infedele (così come farà quella di Cristo).
La risposta di Dio non risponde direttamente all’interrogativo sul significato della sofferenza. Essa resta un mistero. La sofferenza nasce dalla volontà di Dio e ha una finalità di bene che è incomprensibile alla mente limitata dell’uomo. La risposta di Dio è nella sua presenza. Dopo averLo visto Giobbe deve rispondere a quella presenza con la fede incondizionata, perchè la fede è tutto.

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