Il giro dell'oca Il giro dell'oca

Il giro dell'oca

Letteratura italiana

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In una sera senza corrente elettrica, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto, il figlio che la madre - la donna con cui in gioventù lo concepì - decise di abortire. Alla fiamma del camino, il figlio gli appare già adulto, e quella presenza basta «qui e stasera» a fare la sua paternità. Per tutta la notte al figlio «estratto da una cena d'inverno» lui racconta «un poco di vita scivolata». E così ecco l'infanzia napoletana, la nostalgia della madre e del padre, il bisogno di andare via, di seguire la propria libertà - «la libertà che ho conosciuto è stata andare e stare dove non potevo fare a meno» -, le guerre trascorse ma anche i baci che ha dato... e, a poco a poco che racconta, immagina le reazioni di questo figlio adulto, ciò che potrebbe dire, fino a che il figlio, da muto che era, prende la parola e inizia a dare voce alla propria curiosità («a proposito di maschere, di che ti vestivi a Carnevale?»), punteggia il racconto del padre con domande e osservazioni, lo guida, aiuta a mettere i dettagli a fuoco, e si fa guidare. Il monologo iniziale diventa così un dialogo a due voci, che indaga su una vita, sugli affetti, sulle scelte fatte, sui libri letti e su quelli scritti, sull'importanza delle parole e delle storie. Un'indagine che, più che tracciare un bilancio, vuol essere scandaglio, ricerca intima - quasi una rivelazione -, che accoglie l'obiezione, è aperta all'errore, si china sull'inevitabilità di ciò che è stato e salva, tramanda le qualità emerse dai ricordi («questa potrebbe essere una dote per me: imparare da qualunque esempio»). Mentre fuori si alza il vento che viene da nord e lui sistema sulla brace una fetta di pane perché, con un poco d'olio, serva a farli stare insieme ancora un po', da «padre inesistente, padre di una sera», gli pare di sbiadire, mentre il figlio aumenta di precisione, proprio come i personaggi dei romanzi diventano più precisi e memorabili dei loro autori, proprio come Pinocchio, e non il falegname che l'ha creato, dà il nome al romanzo. Un dialogo con il figlio mai avuto diventa l’occasione di ripercorrere una vita intera.



Recensione della Redazione QLibri

 
Il giro dell'oca 2018-10-16 09:22:27 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    16 Ottobre, 2018
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Questa notte è irreparabile



Una sera d'inverno, a cena, Erri invita alla sua tavola il figlio che non ha mai avuto, da quella donna che decise di abortire...
Un figlio già adulto, che gli farà dono di una paternità inesistente e darà inizio ad un dialogo tra un uomo che non è mai stato padre ed un figlio che non è mai nato, un figlio senza infanzia, senza giochi e senza febbri.
Geppetto forgia il suo bambino con il legno, lui lo fa con quello che sa usare meglio...le parole.
Quelle parole che gli hanno permesso di dare concretezza al suo mondo, di non farlo sentire solo "una persona d'aria", inconsistente, svaporata.

Ha inizio così una sorta di confessione, un bilancio di vita, quasi un testamento...
Lo scrittore ripercorre la sua "vita scivolata", la sua infanzia in una Napoli che accetta i vizi ma non il ridicolo e la goffaggine, ricorda la durezza di sua madre, le arrampicate con il padre, i primi baci, la voglia di andare via, la militanza politica, i libri letti e quelli scritti, le paure represse, il coraggio imitato, il rapporto con le parole, con la fede, con l'amore in quanto "ossigeno", con il proprio corpo...

"Ho un corpo e sono stato al gioco di viverci dentro"

Quale gioco?...il gioco dell'oca.
Un gioco di percorso in cui si lancia un dado e ci si sposta nelle varie stazioni.
Un gioco in cui la vera libertà è quella di scegliere se lanciare o meno...
Il tavolo apparecchiato per due di questa sera è la sua ultima casella.
Vuole fermarsi e lasciare il lancio a lui, a questo figlio assente che pian piano prende forma...
Ma il suo non è un'interlocutore muto, è un figlio che risponde, che mette tutto in discussione, che contraddice.
È la sua coscienza, il suo grillo parlante, è lo specchio in cui non si vuole riflettere.
È il figlio di una sola notte che sceglie di non prendere il testimone della sua vita, che preferisce sparire nel nulla letterario da cui è nato...

"Capolinea, papà, siamo arrivati.
Non esco, rientro. Ritorno nel tuo spazio, dal quale sono uscito perché mi hai fatto posto.
Rientro nel tuo corpo.
Guarda la mia mano, si avvicina alla tua.
Ecco il braccio e il resto di me stesso che si riassorbe in te.
Ci sono quasi, mancano solo gli occhi.
Chiudili, per favore."

Un libro intimo, poetico, dall'atmosfera lieve e rarefatta...un'ipotetica gara a chi esiste di meno.
Una notte senza contorni, che nasce dal silenzio umano e prende forma in un racconto che non c'è, una notte che non si può toccare e che non resta, ma che non si può dimenticare.

"Questa notte non potrà essere tolta dal registro delle notti, fare che non sia accaduta.
È senza rimedio, come ogni azione commessa.
Questa notte è irreparabile."

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Il giro dell'oca 2019-01-06 06:48:16 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    06 Gennaio, 2019
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“Il dado, la figura geometrica del caso”

Un figlio non nato per decisione della donna, a distanza di quarant’anni (“Quarant’anni, l’età mia che hai deciso di convocare questa sera”), può ben rappresentare un interlocutore per il genitore mancato grazie all’invenzione artistica (“Sto parlando da solo? Sto inventando la tua compagnia? L’invento così forte che la realtà non la può pareggiare. La tua presenza basta qui e stasera a fare la mia paternità”) che ha un potere ontologico (“Sei estratto da me senza intervento di donna”).

Questo avviene nel romanzo di Erri de Luca: ne nasce inizialmente un monologo che ripercorre incidenti di percorso come l’infarto (“I giorni erano punti di sutura tra la vita di prima, terminata, e la prolunga aggiunta all’ultimo secondo”) e che presto diventa dialogo.

Padre mancato e figlio potenziale parlano dell’attività di scrittura dell’autore (“La barzelletta è rigida, procede secondo un meccanismo. Mi capita lo stesso rifiuto con i romanzi polizieschi. Ci sento il congegno…”), che rivendica la superiorità della lettura (“Una lettura mi entusiasma, mentre una mia scrittura al meglio riesce a soddisfarmi”).

Molti i passaggi interessanti, ad esempio cito quello sulle nuove generazioni (“Le generazioni sono cancellature di quelle venute prima”), il loro atteggiamento (“Mi aspetto un’arroganza nuova… Non li vedo piangere neanche al cinema”) e le prospettive (“Brevettano raccolte di plastiche negli oceani, sperimentano spighe feconde nella siccità… Barbari da saccheggio hanno bruciato la terra, l’acqua, incipriato l’aria di polveri mortali. A riscatto stanno spuntando i risanatori”).

Nella fase finale il dialogo si fa sempre più esistenziale (“Questa notte non potrà essere tolta dal registro delle notti, fare che non sia accaduta”), ma la decisione sembra irrevocabile (“No papà non resto. Domattina al risveglio non mi troverai”). Riuscirà il potere creativo a sventare, sul piano esistenziale, l’agguato del nulla?

Il gioco dell’oca è una metafora: “Ho un corpo e sono stato al gioco di viverci dentro. Che gioco? Il gioco dell’oca. Si tira un dado e ci si sposta in un circuito a spirale”.

Lo stile di Erri De Luca è scenografico (“Ci vuole il coraggio della mangusta che si difende dal leone e attacca il serpente a sonagli”), enunciativo (“L’amore… Ossigeno, ossigeno”), etimologico (“Illusione dal latino in ludere, entrare nel gioco… Il suo contrario, delusione, è uscire dal gioco quando finisce”), poetico (“Dentro di me si è inciso e continua a suonare il ritmo binario delle onde, lo scroscio del flusso seguito dallo struscio all’indietro del riflusso”).

Giudizio finale: ontologico, metaforico, nominalista.

Bruno Elpis

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