Narrativa straniera Fantascienza La notte della svastica
 

La notte della svastica La notte della svastica

La notte della svastica

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Il Nazismo ha trionfato. Settecento anni dopo il pianeta si trova diviso in due soli potenti domini: l’impero tedesco e l’impero giapponese. E nella parte tedesca si trova aggiogato a un’assurda religione, imposta dall’abolizione della memoria e nata dall’oblio di ogni scienza e tecnologia, arte, letteratura e filosofia. Il nuovo Credo ha deificato Hitler, trasformato in un dio mitologico, «non nato da grembo di donna, ma esploso dalla testa del padre suo, Dio del Tuono». Un mondo brutalizzato e brutale, ritornato a una specie di feudalesimo mistico, di cui le prime vittime, che non si possono del tutto eliminare, sono le donne. Eppure qualcuno, nella lunga notte dei secoli, è riuscito a custodire un barlume della memoria (un libro, una fotografia), estremo antidoto, ultimo riparo contro l’annichilimento dell’umano. La notte della svastica fu scritto, incredibilmente, nel 1937, cioè prima della Seconda guerra mondiale e prima dell’alleanza bellica tra il Giappone e la Germania. Immagina e prevede l’una e l’altra. E comprende del Nazismo un carattere che verrà rilevato decenni dopo: il legame strutturale tra il totalitarismo e il misticismo irrazionale. Ma è forse il tema del rapporto tra biologia e potere, tra violenza e sessualità, quello che emerge in modo più inquietante dalle pagine di questa scrittrice: la riduzione della donna ad una macchina finalizzata a procreare soldati, il disprezzo misogino, la distruzione di memoria e identità personali anticipano e piantano le radici della futura fantascienza femminista (alla Atwood, per esempio). Dietro le sue spalle ci sono Wells, Huxley e le altre ucronie e distopie. E prima del 1984 di George Orwell (che uscirà nel 1948) inscena gli effetti di una società in cui la Storia è stata abolita.



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La notte della svastica 2020-04-03 22:38:42 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    04 Aprile, 2020
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IL SENNO DI PRIMA

Forse meno conosciuto dei capisaldi della letteratura distopica, opere notissime ormai leggendarie, come “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley, il celeberrimo “1984” di George Orwell e il più recente “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, e scritto qualitativamente con forma, stile e fluidità di lettura un gradino sotto i precedenti citati, è questo “La notte della svastica” di Katharine Burdekin. Un romanzo che presenta però delle caratteristiche sue peculiari, che denotano un’abilità, una fantasia, un modo di elaborare la realtà del proprio tempo e mostrarla con arte e sensibilità, raccontarla con un “sentito” forte.
Indizio di un’emotività intensa dell’autrice, che riesce a captare con assoluta chiarezza certi sentimenti ancora ai primordi nel suo tempo, addirittura ben celati e mistificati dall’autorità vigente all’epoca, e che però sono veri, reali, possibili, e solo per poco, e per fortuna, non si sono fattivamente realizzati come nelle funeree previsioni.
Il romanzo, infatti, è stato scritto nel 1937, ben prima della definitiva affermazione totalitaria del nazismo, dello scoppio della seconda guerra mondiale, dei patti di acciaio, delle innumerevoli vittorie nella guerra lampo delle forze tedesche, dell’alleanza con il Giappone per la creazione di un malefico e malaugurato impero mondiale.
Eppure in qualche modo se li configura tutti, o quasi, e in epoca non sospetta, quasi l’autrice fosse in possesso di una futuristica macchina del tempo che le permette di vedere in anteprima il tempo che sarà, e resocontarlo con il senno di prima.
Profetizza fatti realmente realizzatisi, come l’avvento di Adolf Hitler, non tanto alla guida totale della Germania nazista, quanto al suo ingresso in pompa magna nel Valalla dei nibelunghi, la mitizzazione ed esaltazione estrema, anche nel fisico, del piccolo e insignificante caporale austriaco, che lo porterà in pompa magna nell’empireo degli dei per tutti i tedeschi, sull’onda della cavalcata delle Valchirie di Wagner.
L’Adolf Hitler capostipite della nuova società a venire, qualche secolo dopo la fine del vittorioso per lui conflitto mondiale, come efficacemente e verosimilmente descritto in questo romanzo, non sarà certo un misero pazzoide come in realtà era, piccolo e con i baffetti, schizofrenico, megalomane, minato nel morale e nell’etica, burattino nelle mani dei poteri industriali antisemitici della Germania dell’epoca,.
Bensì il primo motore immobile della mitologia germanica, generato e non creato, letteralmente proiettato fuori armato di tutto punto dal cranio di un dio, alto, bello, invincibile, come Atena mitologica fuoriuscita bellamente dal cranio del padre suo e di tutti gli dei Zeus.
Un Adolf Hitler direttamente giunto in Germania a miracolo mostrare dal paradiso degli eroi morti in battaglia, nel quale essi giungono guidati dalle valchirie e, tra esercizi d’armi e banchetti, si preparano alla battaglia finale in difesa e per l’affermazione del nazismo e dei cavalieri eletti.
Un epilogo surreale, tanto più magistrale perché ideato, scritto e edito appunto con il senno di prima, quando ancora pochi prendevano effettivamente sul serio il cancelliere tedesco e l’intera tragica faccenda, e l’epilogo era ben lungi dall’apparire scontato.
Quello che lo contraddistingue ulteriormente, inoltre, è il senso vivissimo del posto in cui sarebbe facilmente relegato l’universo femminile in toto in questa simile prospettiva.
Come nei romanzi distopici precedenti, come in quelli dell’Atwood in particolare, è la donna, la prima vittima di un simile stato di cose.
In un universo marziale e maschilista, militarista e guerrafondaio, ignorante, rozzo, barbaro e triste non può esserci posto e ruolo per amore, garbo, gentilezza, empatia e…logica umana.
Non può essere ammesso che in posizione subordinata il pianeta donna, quindi: che proprio per il suo valore intrinseco di meraviglia, tenerezza, attenzione per l’altro, destabilizza un simile scenario maschile.
Sempre quanto l’uomo si sente minacciato nella sua supremazia di genere, reagisce con violenza: non fa eccezione un simile futuro per quanto solo inventato, in cui la donna è relegata in una misera e disgraziata condizione di mero oggetto sessuale, privo di qualsivoglia diritto o pretesa, volto al piacere del maschio e alla procreazione necessaria di nuovi soldati, di nuovi eletti.
Una società dove addirittura il massimo disprezzo per la donna è dato dall’esaltazione lirica dell’amore omosessuale, da preferire alla copula con l’essere inferiore donna, per quanto invece indispensabili ai fini di ripopolamento.
Una storia triste, quindi, con un epilogo tristissimo sui destini dell’umanità, sennonché come spesso accade, in una simile assurda costruzione campata in aria malamente strutturata, basta un solo particolare, un mattone sfilato alla base, a fare crollare miseramente tutta una costruzione all’apparenza stabile.
Un singolo mattone, magari un libro che un mattone a ben pensarci assomiglia, oppure un qualsiasi altro trascurabile particolare come una vecchia foto in bianco e nero, è più che sufficiente a far venir meno una costruzione assurda, che poggia su fondamenta inesistenti.
Una foto per esempio che ritrae un piccoletto con i baffetti a spazzolino in colloquio con un essere inferiore: tutto il castello di assurdità viene facilmente meno, basta così poco a smontare l’assurdo.
Per fortuna, distopia o meno.

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I romanzi distopici, in generale, "Il racconto dell'ancella" di M. Atwood in particolare.
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La notte della svastica 2020-03-05 11:17:39 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    05 Marzo, 2020
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Distopia preveggente

«Niente è o è mai stato impensabile o impossibile per gli uomini, scrive von Hess.
Niente è impensabile per gli uomini nati dal pasticcio di cui sopra.»

Il Nazismo ha trionfato con tutti i suoi dogmi e le sue sfaccettature. Il mondo, circa Settecento anni dopo, è diviso in due domini: quello tedesco e quello dell’impero giapponese. Tra le tante imposizioni e i tanti paradossi, l’impero germanico si trova avviluppato ad un’assurda religione frutto dell’abolizione della memoria che trova fondamento nell’abbandono totale di ogni scienza, arte, tecnologia, forma di sviluppo, letteratura, filosofia o altro. Esiste solo un Dio e quello è Hitler. Quel che resta della società non è altro che una forma di feudalesimo mistico che ha trovato le sue ceneri nel passato per ergersi nel presente e nel futuro. Tuttavia, un barlume della memoria esiste ancora, non è stata dimenticata.
A far da portavoce, due uomini: Hermann, tedesco, e Alfred, inglese. Un’amicizia, la loro, che trova fondamento in un biennio trascorso da Hermann in Inghilterra. Qui aveva fatto l’addestramento militare con le truppe di occupazione, erano stati i più felici della sua non lunga esistenza se non altro dopo aver fatto conoscenza dell’amico, allora trentenne meccanico di terra in uno degli enormi aerodromi della piana di Salisbury. Mentre il tedesco adesso aveva circa venticinque anni, l’inglese non era mutato nel tempo e aveva mantenuto i suoi capelli ricci, corti, che non arrivavano alle spalle, i soliti occhi grigi tranquilli, franchi, e i modi disinvolti.
Tuttavia, qualcosa accade. Un gesto, una piccola discordia, la necessità di una redenzione e al contempo di una riaffermazione del dogma germanico. Ecco che scaturisce la violenza, gratuita. L’assistere ad un rapporto tra un uomo di fede germanica e una cristiana e oltretutto minore dei dodici anni, un crimine che necessita giustizia, che non può passare inosservato.
È da queste brevi premesse che si apre “La notte della svastica” opera pubblicata da Katharine Burdekin nel 1937 sotto lo pseudonimo di Murray Costantine. Si tratta di un libro preveggente che anticipa quello che poi sarebbe stata la dittatura nazista. Apparentemente, infatti, ci troviamo in una realtà distopica in cui il culto della maschilità riduce le donne alla mera funzione di riproduttrici della specie ariana. Sono pertanto chiuse nei ghetti della città, luoghi dove vivono rintanate nelle loro baracche per esser regolarmente stuprate per dare alla luce i figli dell’Impero nazista. Sui loro volti non esiste più umanità, non sono altro che masse informi di corpi sporchi e privati di capelli quali sinonimo di un regime totalitario e patriarcale. Il sesso femminile è semplicemente inferiore e tale deve restare. Questo vale anche per i cristiani a cui è seguita la cancellazione totale degli Ebrei dal pianeta. La conoscenza è un qualcosa di non ammesso, in questa dimensione.
È la triade formata da un libro, una foto e Alfred a rompere gli schemi. La curiosità di cui questo è proprio, mixata ad una determinazione radicata, metterà in crisi i pilastri ideologici del regime. A ciò si aggiungerà l’aiuto di Hermann e del Cavaliere Von Hesse.
Un romanzo che coinvolge e sconvolge, che ci porta a destabilizzanti riflessioni che mettono in dubbio tutte le nostre certezze. Un libro da leggere e rileggere e su cui riflettere e riflettere.

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