Berta Isla Berta Isla

Berta Isla

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Berta Isla ha sposato Tomás Nevinson nel maggio del 1974, nella chiesa di San Fermín de los Navarros, vicino alla scuola che entrambi hanno frequentato e dove si sono incontrati la prima volta. Lo ha sposato dopo essere stata la sua ragazza per anni senza mai fare l'amore con lui (perché tra buoni borghesi innamorati si usava così) e dopo aver perso la verginità con un altro in un giorno che non smetterà mai di ricordare. Lo ha sposato conoscendolo da sempre, convinta di aver trovato il suo destino, ma senza sapere nulla di lui, nulla che fosse davvero importante. Ma Tomás qualcosa di davvero importante lo stava nascondendo e non avrebbe mai potuto dirlo, a lei come a nessun altro. Durante i suoi anni universitari a Oxford infatti, in uno stupido giorno, il caso aveva deciso di condizionare la sua esistenza, e quella della moglie, per sempre. Il nuovo romanzo di Javier Marías è la storia di un amore imperfetto, come lo sono tutti. Di una donna, Berta Isla, che ha scelto di stare accanto a un uomo che può soltanto sperare di conoscere, ma che in fondo non si rivelerà mai per ciò che è realmente. È la storia di una relazione che, finita la passione, si regge in fragile equilibrio sul segreto, sulla lealtà e sul risentimento, su quanto non si vuole o non si può dire. È la storia di due cuori da sempre sconfitti che insieme cercano di resistere nella battaglia.



Recensione della Redazione QLibri

 
Berta Isla 2018-05-17 22:51:55 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    18 Mag, 2018
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And in short I was afraid

È di nuovo il tema dell’ambiguità al centro di Berta Isla, l’ultimo stupendo romanzo di Javier Marias, è l’uomo prigioniero della sua solitudine, condannato a vivere passivamente una vita senza speranza di futuro. C’è tutta l’opera di T.S.Eliot in queste pagine, da The love song of J. Alfred Prufrock, ai Four Quartets fino a The hollow men. Il personaggio di Tomás, infatti, così come ci appare dalla descrizione in prima persona di Berta, sua moglie, è molto simile al Prufrock di Eliot, con la sua incapacità di compiere scelte determinanti per la sua vita, con quella sua spiccata tendenza alla simulazione che è propria dell’attore e che lo rende però più simile al buffone che a colui che sia capace di turbare l’universo. Il dramma di Tomàs consiste in una perdita di identità che lo emargina dal mondo dei suoi affetti per immergerlo in quel mondo di falsità, prevaricazione e violenza in cui vivono gli agenti segreti. La rassegnazione che contraddistingue Tomàs lo induce a trascinare una vita-non vita, nella quale tutto ciò che accade semplicemente non accade, e tutto quello che esiste semplicemente non esiste. Ed è il rapporto col tempo che rende possibile tutto ciò, un tempo che si dilata e resta indeterminato: “Tomàs pensò, ricordò: - La storia è una trama di momenti senza tempo -(T. S. Eliot – Four Quartets)”. La progressiva perdita di speranza trasforma la vita di Berta, che affronta con coraggio la solitudine e i momenti di disperazione con quel senso di soffocamento che è proprio di chi soffre: “ Quel verso ora risuonava dentro di me: - Questa è la morte dell’aria diceva -. E in effetti non era come se mi mancasse l’aria, era qualcosa di peggio; come se l’aria non circolasse più, come se non ci fosse più in tutto l’universo e avesse cessato di esistere. E al termine di qualche verso che non capivo e che perciò non ricordavo Tomàs aggiungeva: - Questa è la morte della terra. - (T. S. Eliot – Four Quartets). Le frequenti citazioni tratte dalle opere di Eliot inducono a pensare che tutto il romanzo sia stato congegnato come una trasposizione in prosa dei versi del poeta, attraverso la realizzazione di personaggi che vivono nell’epoca contemporanea le stesse ansie e le stesse angosce dell’uomo del primo novecento. Marias ha costruito anche tecnicamente un romanzo perfetto, affidando alla narrazione in terza persona la parte che racconta la vita di Tomàs lontano da Berta, e alla voce di Berta il racconto della loro vita in comune e della sofferenza di entrambi. Ed è ancora con i versi di Prufrock che Tomàs descrive infine se stesso : “ I grow old…I grow old…I shall wear the bottoms of my trousers rolled”. Sentirsi vecchio e svuotato di speranze, lo rende simile a un fantasma, a una sorta di Hollow Man. La sua vita come quella di Berta, rimarrà per sempre sospesa, una vita come tante altre, solamente in attesa.

No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo; 
?Io sono un cortigiano, sono uno ?
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,?
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo, ?
Deferente, felice di mostrarsi utile, 
?Prudente, cauto, meticoloso; 
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso; 
?Talvolta, in verità, quasi ridicolo – ?
E quasi, a volte, il Buffone.
 
Divento vecchio… divento vecchio… ?
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo. 
(T. S. Eliot – The love song of Alfred J. Prufrock )

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Berta Isla 2024-01-03 13:58:16 Lonely
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Lonely Opinione inserita da Lonely    03 Gennaio, 2024
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Una vita in incognito

Marias è uno dei miei primi amori. Ogni tanto ci ritorno e riscopro il piacere di leggere per pensare, per riflettere.

Le sue storie sono tutte belle, ma io le trovo pretestuose, perchè attraverso di esse, Marias, ci mostra sempre un po' di sé stesso, del suo modo di vedere la vita, la sua opinione sulla natura umana, sull'amore, sul senso della vita. Il caso e il destino giocano sempre un ruolo importante nei suoi romanzi, ed anche qui Thomas Nevinson, si ritrova, per uno scherzo del destino (o per mano dell'uomo?) costretto a vivere una vita che non ha scelto

"La cosa peggiore che si possa immaginare è non poter dire di no, non poter discutere né ragionare né argomentare, dover fare tutto ciò che viene in mente a qualcuno che ricopre un grado gerarchico superiore, anche ciò che si disapprova o di cui si ha ripugnanza, essere costretti a ingoiare il boccone amaro che un altro individuo ci obbliga a ingerire. In maggiore o minor misura questo tocca a quasi tutti noi, qualunque sia il nostro mestiere, dalla culla alla tomba; c’è quasi sempre qualcuno sopra di noi che ci indica quello che dobbiamo fare, e che non possiamo contraddire"

Egli è stato manipolato ed è costretto a vivere nella menzogna e a mentire anche con chi ama

«Di quello che non ci raccontano non sappiamo nulla, di quello che ci raccontano nemmeno, nemmeno di quello. Noi abbiamo la tendenza a credere, a pensare che la gente dica la verità, senza far troppo caso e senza diffidare; la vita non sarebbe vivibile se non facessimo cosí, se mettessimo in dubbio le affermazioni piú insignificanti, perché mai qualcuno dovrebbe mentirci riguardo al suo nome, al suo lavoro, alle sue origini, ai suoi gusti e alle sue abitudini, a quella massa di informazioni che tutti ci scambiamo disinteressatamente, spesso senza che nessuno ci chieda nulla, senza che nessuno mostri il minimo interesse nel sapere chi siamo, che cosa facciamo, come ci va la vita, quasi tutti raccontiamo piú di quanto dovremmo o,peggio, imponiamo agli altri informazioni e storie che a loro non interessano affatto e diamo per scontata una curiosità che non esiste, perché mai qualcuno dovrebbe essere curioso di sapere qualcosa di me, di te, di lui, pochi sentirebbero la nostra mancanza se sparissimo da un giorno all’altro e pochissimi si porrebbero il problema."

Berta Isla è la sua donna, non chiede, non indaga, ma accetta e aspetta, una sorta di Penelope moderna, pervasa da una rassegnazione oltre misura, conscia di questo suo ruolo, assurdo per una donna dei nostri tempi.

"L’accettazione della sua probabile e sempre piú sicura scomparsa non fu immediata. Non lo è mai, neppure quando vediamo morire qualcuno con i nostri occhi e vediamo il suo corpo immobile e silenzioso e lo vegliamo e lo seppelliamo secondo tutte le regole, passo dopo passo, e il dubbio non c’è. Addirittura in quei casi, che sono i piú normali, per un lunghissimo periodo l’assenza è sentita come transitoria, come qualcosa che prima o poi dovrà finire. Si ha la sensazione – ed è duratura, a volte può essere morbosa – che la fine di una persona vicina e amata, che fa parte della nostra vita esattamente come l’aria, sia come una specie di falso allarme o di scherzo o di finzione, una montatura o il frutto delle nostre fantasie piú paurose, e per questo il sonno spesso ci confonde: sogniamo il defunto, lo vediamo muoversi e forse toccarci o penetrarci, lo sentiamo parlare e ridere, e al risveglio ci pare che si sia solo nascosto e debba ricomparire, che non possa essere svanito per sempre, che è la veglia a ingannarci. Crediamo che è solo questione di tempo ma tornerà. "

Nevinson sparisce per mesi e poi per anni senza lasciare traccia di sé, e Berta Isla vive questo tempo infinito, scandito solo dalla routine quotidiana, con la speranza e il timore di affacciarsi alla finestra e di vederlo apparire in lontananza: è lui? O qualcuno che gli somiglia e che non gli somiglia più

"All’inizio il volto che ci sforziamo di ricordare è nitido e onnipresente, ma via via che passa il tempo – forse proprio per quel nostro accanirci, che lo consuma e lo snatura e lo deforma – quel volto comincia a sfumare, e finisce per diventare quasi impossibile per gli occhi della mente rievocarlo e rappresentarselo fedelmente"

Oltre a tutte queste continue riflessioni, sull'accettazione e la rassegnazione per vivere una vita che entrambi non hanno scelto, il romanzo viaggia quasi in parallelo con una serie di continue citazioni letterarie, soprattutto i continui riferimenti a "litlle gidding" da I Four quartets di Eliot, che spesso entrambi i due protagonisti si ritrovano a citare a memoria, compenetrandosi nella poesia. E insieme ad Eliot, ritroviamo Shakespeare e Dickens e Flaubert, in uno sfoggio di letteratura applicata, ma mai pedante.

E’ una spy story di alto livello internazionale, questa di Berta Isla, ma è anche la storia di un matrimonio, una storia di attesa e di assenza, una storia che racconta anche il lato oscuro della politica e dei governi, nello specifico quello inglese.

Una storia che nonostante la sua complessità, anche o solo nel descrivere ogni pensiero dei due protagonisti nel minimo dettaglio, vivisezionandolo quasi, che ha bisogno di un certo tempo per essere assimilata, ma che al contempo ci coinvolge e scorre via nella curiosità di scoprirne un finale che ci spieghi, e ci dia soddisfazione ma

«Vide la polvere nell’aria, la vide con chiarezza meridiana nella piazza sfigurata della sua resa, dal suo sfinimento, e pensò: “si ritorna solo quando non si sa più dove andare, quando non ci sono altri luoghi e la storia è finita.”»

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Berta Isla 2020-10-31 18:07:57 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    31 Ottobre, 2020
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L'ALTRA VITA

“Possiamo vivere nell’errore continuo, credere di avere una vita comprensibile, stabile e afferrabile, e poi scoprire che tutto è insicuro, melmoso, sfuggente, che non abbiamo un terreno solido su cui poggiare; o che tutto è una rappresentazione, come se fossimo a teatro convinti di vivere la realtà e non ci fossimo resi conto che si sono spente le luci e si è alzato il sipario e che per di piú siamo sul palcoscenico e non… sotto, tra gli spettatori.”

Nel quarto atto dell”Enrico V” di William Shakespeare, il re inglese si aggira in incognito, nella notte che precede la battaglia di Azincourt, all’interno del proprio accampamento, al fine di sondare l’umore delle truppe. Approfittando dell’anonimato, ha modo di parlare con alcuni soldati i quali, non sapendo di essere ascoltati proprio dal sovrano in persona, lo maledicono per aver deciso di mandarli a morire contro un esercito, quello francese, superiore per numero e per freschezza. Questa scena, che non è esattamente tra le più famose e memorabili del Bardo, viene utilizzata nel corso di un dialogo tra Berta e Tomas, i due coniugi protagonisti del romanzo di Marias, per affrontare il tema della liceità etica del comportamento di colui che agisce sotto mentite spoglie per carpire subdolamente la fiducia altrui, dell’infiltrato che occulta la propria vera identità per esibirne una fittizia e simulata allo scopo di ricavare un tornaconto personale, insomma della spia, quale Tomas effettivamente è, al punto di trincerarsi per anni dietro la consegna del silenzio e tenere segreta alla moglie la propria vita fuori delle mura di casa. Ho scelto questo esempio per asseverare il fatto che Javier Marias fa nei suoi libri un utilizzo delle citazioni letterarie non solo insolitamente abbondante e copioso, ma addirittura, se così posso esprimermi, quintessenziale rispetto alla propria poetica. Le citazioni di Marias non sono un mero sfoggio di cultura, e neppure (se non in alcuni casi, come quando scopriamo che il libro letto da Janet dopo aver fatto l’amore con Tomas è – guarda caso - “L’agente segreto” di Conrad) strizzatine d’occhio a beneficio dei lettori più avveduti, ma un modo per alludere sottilmente alla vicenda narrata e irradiare così, in una continua alternanza tra finzione e realtà, echi e rimandi di inusitata suggestione. Come ben sa chi ha già letto altre opere dello scrittore spagnolo (si pensi a “Domani nella battaglia pensa a me”, che fin dal titolo rinvia al “Riccardo III” di Shakespeare), Marias ama puntellare le sue storie con il richiamo di precedenti letterari illustri, i quali, lungi dal far apparire la sua opera poco originale, le permettono di riverberare i temi trattati con sfumature sempre più nuove e sorprendenti. In “Berta Isla” questo metodo è utilizzato alla massima potenza, e tra le citazioni palesi (lo Shakespeare a cui ho già accennato, “Il ritorno di Martin Guerre”, il Balzac de “Il colonnello Chabert), quelle espresse solo a metà (il racconto “Wakefield” di Nathaniel Hawthorne) e quelle implicite (il parallelo non detto ma evidente con l’”Odissea”, con Tomas nel ruolo di Ulisse e Berta in quello di Penelope) spiccano, come autentico filo conduttore del libro, i “Quattro quartetti” di T.S. Eliot. Questi poemetti, i cui versi letti distrattamente per la prima volta da Tomas in una libreria di Londra mentre attende l’ora del fatidico appuntamento che determinerà il suo destino, e poi riemergenti in maniera quasi inconscia, come fossero degli arcani vaticini, in tutti i momenti topici della vita di Tomas e Berta, suggellano alla perfezione (soprattutto il quinto movimento dell’ultimo quartetto, “Little Gidding”) il senso del romanzo, costituendo per il lettore una sorta di atlante per riuscire a decifrarlo appieno. Innanzitutto, ci si trova di fronte a una vera e propria dichiarazione di poetica. “Quando ogni parola è al suo posto,/ e fa la sua parte per sostenere le altre,/ … / la parola comune esatta senza essere volgare,/ la parola formale precisa ma non pedante,/ in armonia perfetta, come compagni di danza”: sembra proprio che lo stile di Marias, elegante e raffinato ma mai appariscente ed affettato, minuzioso e profondo ma al tempo stesso estremamente accessibile, si ispiri e si adegui a queste indicazioni. In secondo luogo, la circolarità della vicenda è presagita dai versi: “Ciò che chiamiamo il principio è spesso la fine/ e finire è cominciare./ La fine è là donde partiamo”, e ancora: “Non cesseremo di esplorare/ e alla fine dell’esplorazione/ saremo al punto di partenza/ sapremo il luogo per la prima volta”. La permanenza del passato nel presente è invece adombrata nella strofa “Noi moriamo con quelli che muoiono:/ ecco, essi partono, e noi andiamo con loro./ Noi nasciamo con i morti:/ ecco, essi tornano, e ci portano con loro”. Si perviene infine alla atemporalità di “La storia è una trama di momenti senza tempo” e “Su, presto, qui, ora, sempre…”, e a quello che a Tomas, all’inizio del libro, appare come una sorta di predizione, di responso oracolare di ciò che sarà da quel momento in poi la sua vita: “Ed ogni azione/ è un passo verso il patibolo, il fuoco, la gola del mare/ o verso una pietra illeggibile”.
Berta e Tomas si amano e si desiderano, ma sono condannati a non riuscire a vivere la quotidianità del rapporto di coppia, la routine delle famiglie normali. I viaggi di lavoro di Tomas, che lo fanno assentare per periodi ogni volta intollerabilmente più lunghi, sono dei veri e propri buchi neri in cui l’esistenza di tutti i giorni collassa e quasi si interrompe, come un’onda che si ritira lasciando al suo posto solo la schiuma dell’attesa. L’attesa diventa così la condizione normale, addirittura auspicabile se solo si vuole cercare di scongiurare l’azione del tempo e rimandare sospirato ma temibile il redde rationem del reincontro. Il tempo (sarà un caso che i migliori romanzi degli ultimi cento anni parlino tutti, in un modo o nell’altro, del tempo, che – per citare Richard Powers – “è l’autore degli autori”?), il tempo – dicevo – fa cambiare inesorabilmente le persone. Non appena esse si allontanano da noi, la loro identità incomincia gradualmente a sfumare e a essere sostituita da istantanee statiche e immutabili, che giocoforza non corrispondono più al soggetto (come Berta sperimenta durante il “mancato” appuntamento con Esteban Yanes, l’uomo con cui venti anni prima aveva perso la verginità, il quale si presenta all’incontro con sembianze che non solo non coincidono, ma sono addirittura antitetiche – ora egli è obeso e quasi calvo – con i ricordi della donna). Allora il tempo, che consuma e corrompe, e la memoria, che non trattiene e lascia evaporare, fanno sì che le persone spariscano dalla nostra vita e dalla nostra mente, relegate a vivere in una dimensione parallela e fittizia, che la prolungata e immotivata assenza di Tomas, che scompare da Madrid senza più dare notizie di sé, ipostatizza fino a farla diventare una condizione umana universale. Ciò porta Marias a interrogarsi sul problema dell’identità, esplicitato fin dalle prime, emblematiche parole del romanzo: “Per molto tempo non avrebbe saputo dire se suo marito era suo marito”. Gli esseri umani sono destinati a rimanere indefinibili, imperscrutabili, se perfino chi ci dorme a fianco e condivide la nostra intimità è un impenetrabile enigma. Come già aveva detto Dickens, opportunamente citato nel romanzo, “ogni creatura umana è destinata a costituire un profondo e segreto mistero per tutte le altre”. Per sviluppare questo concetto, Marias sceglie pirandellianamente di fare del marito un agente segreto, una persona obbligata per definizione a un codice del silenzio e della riservatezza che lo trasforma in un irrisolvibile rompicapo. In “Domani nella battaglia pensa a me” Marias aveva scritto che “solo ciò che può essere raccontato esiste”. Tacendo e occultando quello che fa, Tomas si condanna all’inesistenza (“Ci siamo ma non esistiamo, o esistiamo però non ci siamo”), trasformandosi in un fantasma, una presenza impalpabile capace di contraddire perfino la sua concreta e tangibile presenza (“Sarò chi non sono, sarò fittizio, sarò uno spettro che va e viene, che si allontana e ritorna. E accadrò, sarò mare e neve e vento”). Parallelamente e in ragione di questa opacità e indecifrabilità degli altri, la protagonista a sua volta si sfalda, si disgrega, si scompone in innumerevoli frammenti (“una vita insieme finita e non completamente cominciata, nubile e vedova e sposata insieme, una vita sospesa o interrotta o stranamente rinviata”).
Se gli altri sono inconoscibili, altrettanto incomprensibile è la realtà, posizione che avvicina Marias a certe posizioni della filosofia contemporanea e postmoderna, le quali negano, nel loro relativismo, che la ragione umana possa giungere alla verità e alla comprensione del mondo. Se Marias affida a Berta il tema dell’identità, la riflessione epistemologica, non meno importante, sul senso della vita e sulla impossibilità di arrivare a conoscere una verità oggettiva e affidabile viene riservata a Tomas, il quale, pur avendo meno pagine a disposizione rispetto alla moglie, riveste una pari dignità di protagonista. Appare strana pertanto la scelta di intitolare il romanzo alla sola Berta Isla, quando forse meglio sarebbe stato – a mio parere – chiamarlo “Berta e Tomas”. E’ vero che a Berta è riservata, dal terzo capitolo in poi, la prima persona e a Tomas la più impersonale terza persona, ma questo, anziché essere una contraddizione con quanto appena sostenuto, è perfettamente calzante con la natura del personaggio, dal momento che Marias suggerisce un interessantissimo parallelo tra la professione di spia e il ruolo del narratore in terza persona di un romanzo, che c’è ma al tempo stesso non esiste, che è onnisciente ma invisibile, indiscernibile. Tomas, costretto a entrare obtorto collo nei servizi segreti britannici, i quali hanno intravisto nella sua straordinaria capacità di imitazione e di apprendimento delle lingue un eccezionale potenziale da sfruttare, sperimenta che la vita è labile, ambigua e sfuggente. Peggio ancora, essa è eterodiretta: noi crediamo di dirigerla, di governarla, di tenerla saldamente nelle nostre mani, e invece stiamo solo recitando un copione scritto da chissà chi, percorrendo una strada da cui non si può in alcun modo uscire, neppure quando si vorrebbe tentare di fuggire, e che “condiziona i nostri movimenti e i nostri avvelenati passi”. Il carismatico professor Wheeler propone a Tomas di entrare nei servizi segreti per non rimanere un “reietto dell’universo”, per poter incidere almeno in parte sul mondo. Beffardamente, a Tomas verrà però riservato lo stesso destino del personaggio di Hawthorne, che Wheeler aveva preso a emblema dell’uomo-oggetto, passivo e insignificante, invisibile e inesistente agli occhi di tutti. Vivere la finzione di essere due persone allo stesso tempo è una fugace illusione, una stolida vanità, una imperdonabile presunzione, insomma una condanna. Come dice minacciosamente Kindelan a Berta, quello della spia “è un mestiere da cui si esce sempre male, … squilibrati o morti. E quelli che non vengono giustiziati e non impazziscono del tutto, finiscono per non sapere più chi sono”. Rispetto a Berta il lettore è in una posizione privilegiata: lui conosce, a differenza della donna, il motivo per cui Tomas è entrato a far parte del MI6 e ha scelto una professione i cui frutti, seppur ben remunerati, sono ignorati e misconosciuti da tutti, e che per di più gli impedisce di vivere una vita familiare normale, vicino alla moglie e ai figli. Il lettore lo sa, come ovviamente lo sa Tomas. Eppure anche la verità individuale, custodita da ciascuno di noi nello scrigno della nostra anima e che ci rende agli occhi degli altri un mistero insondabile, anche questa verità è parziale, effimera e fallace, e Marias ce lo ricorda con un inatteso, sorprendente colpo di scena a poche pagine dal termine del libro, che rovescia completamente, come in un giallo ben confezionato, le aspettative dei lettori.
Con “Berta Isla” Javier Marias ha costruito un romanzo avvincente, che non disdegna affatto, come ho appena accennato, gli spunti e le astuzie della letteratura di genere. Come in “Domani nella battaglia pensa a me”, che si apre con la morte improvvisa e inesplicabile dell’amante, la quale getta il protagonista nel più totale sconcerto, anche qui c’è un evento clamoroso che fa sterzare la storia su una strada di ineluttabile fatalità. “Berta Isla” è così una spy story, con tutti i crismi che hanno sempre caratterizzato il genere, da Graham Greene a John Le Carré, ma allo stesso tempo è un romanzo filosofico, alterna momenti di trepidante suspense a pause di riflessione teorica, l’ingenuo piacere del lettore di feuilleton alla speculazione intellettuale, il thriller all’esistenzialismo. E’ un romanzo che, screziato solo da un impercettibile accenno di manierismo, affascina per il suo carattere originale e polimorfo e che, parafrasando Durrenmatt e il suo “La promessa”, si potrebbe a buon diritto sottotitolare “Un requiem per il romanzo spionistico”.

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Berta Isla 2020-07-11 16:18:37 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    11 Luglio, 2020
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Le zone d'ombra

Ogni romanzo di Marias assomiglia ad un lungo viaggio dentro l’animo umano ed è impossibile non soffermarsi sulle moltitudini di riflessioni che l’autore dissemina nelle sue opere. E’ altrettanto impossibile non sorprendersi sulle (spesso) impietose verità che ne emergono, sulle debolezze di cui siamo fatti, ed anche in Berta Isla si trova tutto questo (eletto come “Libro dell’anno 2018” da El Pais). Marias riesce a mostrare le zone d’ombra presenti in ogni individuo, anche in presenza di legami affettivi evidenti e forti come può essere il matrimonio, anche quando si tratta di una coppia che si conosce fin dai tempi dell’adolescenza e si è promessa amore eterno. Attraverso le parole della sua eroina Berta che cita Dickens, l’autore ricorda infatti che “ogni creatura umana è destinata a costituire un profondo e segreto mistero per tutte le altre”.

“Berta Isla sapeva di vivere parzialmente con uno sconosciuto. E un uomo che non può dare spiegazioni su mesi interi della propria esistenza finisce per arrogarsi la licenza di non darne mai su nessuno aspetto della vita. Eppure Tom era anche, parzialmente, una persona che faceva parte da sempre della sua vita, di quelle che si danno per scontate come l’aria”.

Marias ci fa entrare nella vita di Berta Isla e Tom Nevinson, coppia affiatata, da sempre innamorata, ma allo stesso tempo profondamente distante. Berta e Tom non hanno potuto essere artefici del loro destino (“Ma quando mai la gente ha scelto la propria vita? Nel corso dei secoli le esistenze sono sempre state già segnate, salvo rarissime eccezioni”) hanno dovuto seguire il corso degli eventi, provare sulla loro pelle un senso di inevitabile solitudine, sofferenza, lontananza. Marias racconta queste vite avvalendosi di tecniche narrative differenti ma con assoluta par condicio, rispettando i punti di vista di entrambi i coniugi. Berta Isla parla in prima persona, in una sorta di confessione destinata al pubblico dei lettori, descrive le proprie ansie e inquietudini derivanti da un marito sempre troppo poco presente che per motivi di lavoro è obbligato a lasciare la città di Madrid, dove la coppia vive, per andare a Londra e da lì scomparire per lunghi mesi senza dare notizia di sé. Ogni partenza è sempre paragonabile ad un addio, ogni volta è l’acquisizione di una maggiore consapevolezza riguardo alla propria precarietà (“Possiamo vivere nell’errore continuo, credere di avere una vita comprensibile, stabile e afferrabile e poi scoprire che tutto è insicuro..”). Le vicissitudini di Tom Nevinson invece sono narrate direttamente dall’autore con l’uso della terza persona come se questa modalità permettesse di esaminare meglio il destino del protagonista, mettendolo sotto una lente di ingrandimento. Tom è l’emblema, quasi pirandelliano, di un uomo dotato di mille identità ed allo stesso tempo di nessuna, trascinato nel vortice dello scenario internazionale durante gli anni del terrorismo dell’IRA, della guerra delle Falklands, lungo la “cortina di ferro”, da un destino non voluto ma che ha dovuto accettare trasformandosi in un’ombra per sfuggire alla condizione di “reietto dell’universo”. E’ questo che si chiede a chi si pone (segretamente) al servizio di Sua Maestà e della Corona nel nome della sicurezza nazionale: “Noi non risultiamo da nessuna parte, né in forma ufficiale né ufficiosa. Siamo qualcuno e non siamo nessuno”.

Il fascino della scrittura di Marias si evidenzia nelle lunghe digressioni, nei mille rivoli in cui la storia si dipana e nelle citazioni (colte) che rappresentano la spina dorsale del libro: il già nominato Dickens, le poesie di T.S. Eliot ed in particolare quel “Little Gidding” che torna e ritorna più volte nei pensieri di Berta e Tom così perfettamente calzante, ma anche nel racconto di N. Hawthorne “Wakefield”, dal quale l’autore ha manifestamente tratto espressioni (Reietto dell’universo) e spunti.

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Berta Isla 2019-11-01 18:12:11 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    01 Novembre, 2019
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"Questa è la morte dell'aria"

«Com'è facile credere di sapere e non sapere niente, - pensai. - Com'è facile essere all'oscuro, forse è il nostro stato naturale. Anche Tomás probabilmente lo è, non solo io, non solo io. Anche lui nel suo mondo contraddittorio, torbido e inquieto, e di certo lo è rispetto alle cose che mi riguardano».

Berta e Tomás si sono conosciuti giovanissimi, poco più che bambini. A quel tempo lui era un ragazzo attraente, dal carattere ironico, propenso allo scherzo e alla leggerezza. Rifuggiva l'introspezione, sembrava non interessarsi alla comprensione profonda di sé stesso. Di padre inglese, aveva anche la cittadinanza britannica ed era perfettamente bilingue, con una straordinaria propensione per l'apprendimento delle lingue straniere. Anche Berta era una ragazza molto piacente, una bellezza temperata, con la tendenza al sorriso. In molti avrebbero voluto diventare il suo fidanzato, ma lei sceglie Tomás: nessun dubbio e una incrollabile determinazione a diventare Berta Isla de Nevinson.
Quando Tom e Berta si mettono insieme hanno appena compiuto quindici anni. Finito il liceo, Tomás va a studiare in Inghilterra, ad Oxford, e, proprio mentre sta per concludere il quarto anno e laurearsi, qualcosa accade. La sua vita prende una direzione inaspettata, diversa da quella che lui pensava, da ciò che avrebbe voluto scegliere. Torna comunque a Madrid e sposa Berta ma non è più lui. É cambiato, è diverso, nasconde qualcosa e non può parlarne con nessuno, nemmeno con la propria moglie. Berta a poco a poco si rende conto della situazione ma non vuole abbandonare Tomás, non vuole mettere fine alla famiglia che ha creato con lui e all'antico progetto di cui si era innamorata durante l'adolescenza. Eppure il marito è sfuggente, opaco, torbido, nasconde una enorme parte di sé stesso: non è più solo il ragazzo simpatico e brillante che Berta conosceva, è anche qualcun altro, è più persone insieme. Compie azioni moralmente discutibili, che gli tolgono il sonno, è costretto a vivere una vita che non ha scelto interpretando molti personaggi diversi: cosa rimane del vero Tomás in quelle esistenze inquiete?
Marías in questo bellissimo romanzo intriso di letteratura, profondissimo e coinvolgente, si interroga sul tema dell'identità. Chi è veramente una persona? E, soprattutto, quanto possiamo conoscere per davvero un altro?
Ogni esistenza ed ogni persona è segnata da eventi che accadono, da incontri che segnano inesorabilmente e che portano a cambiare, a trasformarsi, a intraprendere una metamorfosi continua ed indefinita. É una pura illusione pensare di conoscere perfettamente l'altro, anche quando è colui che respira sul cuscino accanto al nostro.
Tomás e Berta sono dei personaggi che hanno vissuto un'esistenza particolare, segnata da eventi fuori dell'ordinario rispetto alla maggioranza delle persone, ma alla fine il romanzo ci fa riflettere sulla consapevolezza che l'identità di chiunque è mutevole e sfuggente, impossibile da conoscere e comprendere fino in fondo. Spesso inoltre la vita si sviluppa in modo indipendente rispetto alle nostre scelte precise. Certo rimangono i ricordi e l'immaginazione, che plasma e dà rilevanza a ciò che è stato importante e cancella ciò che invece non lo è stato.

«Appena chiudevo l'album tornavo a non immaginarlo più, e nulla esiste senza immaginazione. Perfino quando le cose succedono e fanno parte del presente, perfino allora è necessaria l'immaginazione, perché solo lei dà rilievo ai fatti e ci insegna a distinguere, mentre avvengono, le cose memorabili da quelle che non lo sono.»

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Pirandello
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Berta Isla 2019-09-27 10:37:27 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    27 Settembre, 2019
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Berta e Tom

«Allora immaginano un termine, una pausa, uno stacco o una frontiera, segnato dal momento in cui ci si addormenta, che in realtà non c’è: il tempo continua ad avanzare e ad agire, non solo sul nostro corpo, anche sulla nostra coscienza, a lui non importa se dormiamo profondamente oppure siamo sveglie e all’erta, se soffriamo d’insonnia o ci si chiudono gli occhi nostro malgrado come sentinelle alle prime armi in quelle guardie notturne che in Spagna, chissà perché, vengono dette imaginarias, forse perché il giorno dopo sembra non siano mai esistite, a chi è rimasto in piedi mentre il mondo dormiva, ammesso che sia riuscito a rimanere sveglio e a non farsi arrestare o passare per le armi in tempo di guerra. Un solo colpo di sonno invincibile e ci si può ritrovare morti, o addormentati per sempre. Che grande rischio nella più piccola cosa.»

Berta Isla, nettamente madrilena, è di una bellezza mora, temperata, dolce e imperfetta. Nessuno dei suoi lineamenti è abbagliante ma nell’insieme il suo volto e la sua figura turbano, esercitano un magnetismo irresistibile proprio di quelle donne ridenti e allegre, inclini alla risata. Sembra essere sempre contenta o comunque saper esser contenta con poco o sembrare esserlo ad ogni costo. Berta, nel maggio 1974, ha sposato Tomàs Nevinson nella chiesa di San Fermìn, dopo anni di relazione ma senza mai fare l’amore con lui e dopo aver perso la verginità in un giorno molto particolare e indimenticabile con un uomo di nome Esteban Yanes, incontrato per caso e mai più rivisto. La loro unione è caratterizzata da un profondo senso di solitudine, una condizione che fa da leva all’intero lavoro di Marias.

«La distanza reiterata permette questo, che nessuna delle fasi alterne sia davvero reale, che entrambe siano come fantasmatiche, che ciascuna sfumi e neghi all’altra finché dura il suo regno, e quasi la cancelli; e che, in definitiva, nulla di quanto accade durante quelle fasi sia del tutto terreno o vissuto da svegli, che nulla conti come realmente accaduto o abbia troppa importanza. Tom e Berta non sapevano che quella sarebbe stata la cifra di gran parte della loro vita insieme, insieme ma con poca presenza e senza limiti precisi, insieme ma dandosi le spalle»

I due personaggi delineati sono caratterizzati da aspetti molto diversi tra loro, eppure, sono magistralmente costruiti. Mentre Berta è la donna indecisa, incapace di compiere scelte determinanti, Tom è l’uomo che si è perso, che ha perduto se stesso, che ha perduto la sua identità. Ciò lo porta a vivere in una profonda condizione di rassegnazione che ne comporta il trascinarsi di una vita/non vita in cui i fatti scorrono, il tempo trascorre inesorabile, le cose accadono e non accadono.

«Non c’era niente di meglio che credere di aver perduto la forza di volontà, di essere alla mercè delle onde e della risacca, di potersi cullare e abbandonare: o forse sì, è meglio poter credere che la nostra volontà è nelle mani di un altro, e che tocca a lui ora decidere che cosa accadrà.»

Questa perdurante estraneità racchiusa nel rapporto, radicata in questa comunione di non condivisione rimarca quella dimensione di ombra che è una frontiera invalicabile. L’uomo si chiude all’interno dei suoi pensieri, dei suoi ricordi e non consente l’accesso a terzi, in particolare alla moglie che per naturale effetto si accontenta di quel che gli è concesso, vive con quel che semplicemente le viene dato. Ed è sempre a lei che è affidato il compito di narrare. Un compito affatto facile se si pensa che all’interno di questo romanzo le vere colonne portanti sono la precarietà, il dubbio, l’incertezza, la supposizione, il pensiero, le ipotesi, la scelta. Siamo davvero liberi di scegliere? O in verità la nostra libertà è vincolata alle scelte altrui, è condizionata da fattori occasionali, esterni, imprevedibili che ne delineano le sorti? Cosa si cela alla base del rapporto umano, nel caso di specie tra Berta e Tom, quando l’uno è stato indotto a una decisione perché convinto di non avere alternativa e l’altra è l’effetto di un qualcosa che l’ha radicata ad essere una parte vacua, fittizia nella vita del compagno?
Un elaborato avvalorato da una scrittura preziosa, pregiata, raffinata e caratterizzato da una trama solida, fortemente introspettiva e capace di suscitare tante riflessioni nel lettore che è catturato pagina dopo pagina e chiamato ad interrogarsi sul proprio percorso personale.

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Berta Isla 2019-07-22 22:14:14 Patrizia franchina
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Opinione inserita da Patrizia franchina    23 Luglio, 2019

Javier Marias

In questo bellissimo romanzo i veri protagonisti non sono i fatti o la trama ben costruita, ma quel che conta è il non detto, il dubbio, l’incertezza che si manifestano attraverso le supposizioni, i pensieri di Berta. La frase che meglio rappresenta il romanzo è quella iniziale: “Per molto tempo non avrebbe saputo dire se suo marito era suo marito.,.” questo non perché fosse in discussione l’identità fisica dell’uomo ma per l’estraneità di una gran parte della sua vita, per la sua misteriosa esistenza fuori dal rapporto con lei, per l’oscurità del suo pensiero e per la larga parte della sua esistenza vissuta lontano da lei. L’autore sembra suggerire che esiste, nella vita di ciascuno di noi, una zona d’ombra indistinta ed estranea il cui accesso è vietato a chiunque. Berta sa che nella vita di suo marito c’è una parte a lei preclusa dove sono conservati ricordi, segreti che è meglio non conoscere e dove lei non deve entrare, per questo è costretta ad accontentarsi di conoscere e vivere solo con una parte di lui, non afferrando mai la sua vera natura. L’autore affida a lei il racconto delle parti più significative che riguardano l’incertezza, le ipotesi, la precarietà, le poche certezze sulla natura altrui, come a ricordarci che la nostra esistenza è molto vulnerabile e la nostra libertà di scelta solo sia apparente perché condizionata da altro e non sempre dipendente dalla nostra volontà; crediamo di essere liberi ma la nostra libertà è parziale perché soggetta alle scelte altrui, a fattori occasionali, a condizioni ambientali... Tomas e Berta si sono amati da sempre, convinti di essere destinati ad una vita comune ma non sarà così: Tomas ha scelto la sua vita non liberamente ma condizionato dal credere di non avere altra scelta, Berta alla fine dovrà ammettere quando realmente poco ha condiviso con l’uomo che ama, che tanta parte sconosciuta di sé e rimasta a lui e quanto poco lei sappia e conosca di Tomas ma soprattutto si rende conto, con amarezza, di quanto irrilevante, estranea sia stata lei nella vita di lui.

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