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Il racconto dell'ancella
 
Il racconto dell'ancella 2018-02-12 08:15:16 68
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68 Opinione inserita da 68    12 Febbraio, 2018
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Reale aberrante o sogno vivido?

…. Questa è una ricostruzione…


“....Il mio nome adesso è Difred, ho 33 anni, i capelli castani, molto tempo solo per riflettere, ovaie vitali, sono una profuga del passato.
L’ amore è stato cancellato, tutti quelli che ho amato sono morti, dispersi o forse non esistono più. Anch’ io sono una dispersa, che vive di sogni e speranze, la notte è il mio giorno, il giorno la mia notte, non mi trovo in prigione ma in un luogo privilegiato eppure vorrei riavere tutto com’ era, anche se il solo volere oggi non serve.
Questa è la repubblica di Galaad, dove la guerra non può entrare se non dalla televisione ed esiste solo la libertà da e non di. Appartengo ad un Comandante, alla moglie del Comandante, che mi considera un’ onta ed una necessità, sono accerchiata da Zie che vigilano, Guardie con le pistole, Custodi in uniforme, Occhi, Angeli, Marte, Economogli, e poi cerimonie, rituali, riunioni famigliari, la Rigenerazione.
La Costituzione è stata abolita, come il giorno dell’ Indipendenza, le donne non possono più possedere niente, se non i propri ricordi ed un passato non totalmente sepolto che ancora respira dentro di se’.
Noi ( ancelle ) viviamo solo per procreare, siamo un prodotto preconfezionato, il sesso e l’ eccitamento non più necessari e sintomo di superficialità, ma nessuno muore per mancanza di sesso, solo se privato dell’ amore e qui non c’è nessuno che io possa amare.
Sembro un’ ombra deformata, una guardia di qualcosa, una suora inzuppata nel sangue, una forma rossa con ali bianche attorno al viso ( per non vedere ne’ essere vista ), una donna indefinibile.
Oggi non ci è più permesso leggere, scrivere, pensare, e tutto ciò lo si fa con avidità. Si può controllare il proprio comportamento ma non i sentimenti, non possiamo parlare ma solo sussurrare, il vero pericolo sta nel grigiore.
Ci vorrebbe una prospettiva, un desiderio di profondità, perché il vivere di solo presente equivale a non vivere e ciò che sta accadendo non ha nulla a che vedere con passione ed amore.
Un tempo eravamo tristi ma molto felici, c’ era ancora la possibilità di un abbraccio, si parlava di amore e di innamoramento, ma forse era una società che moriva per la troppa libertà di scelta.
Oggi cerco di non pensare troppo, le possibilità sono ridotte, il tempo è misurato da campane, tutto è rosso.
La notte è il mio tempo libero, ma dove potrei andare? Non ho che la mia stanza, la solitudine, l’ attesa di un qualcosa, senza forma ne’ nome. Devo essere impenetrabile, avvolta in un senso di vuoto e con il dovere di non provare niente.
In fondo sono viva, respiro, vivo, desidero commettere l’ atto del toccare, anche se sono una persona dispersa.
Dove sono finite speranza e carità? In tali condizioni limitate ci si attacca ad oggetti strani, ricercando qualche spazio da rivendicare, occupare il tempo e la quantità di tempo vuoto, tra ricordi del passato che mi colgono come uno svenimento ed il terrore della possibilità di una via d’ uscita, della salvezza “....

Ecco “ Il racconto della ancella”, un estenuante ed apocalittico viaggio stanziale senza ritorno, una rappresentazione ed una ricostruzione univoca da parte di una donna scossa, violata, inorridita, di un inferno fisico e morale, di un incubo imperscrutabile, inammissibile, talmente inverosimile da confondere sogni, desideri, speranze e la propria percezione degli stessi.
Se questo è il nuovo mondo purificato per ripristinare la legge di Natura, se questa non vita è vita, non resta che fuggire, o cercare un adattamento, perché la normalità converge nell’ abitudine e dopo un po’ qualsiasi cosa diverrà tale.
Chi non ci riuscisse e si opponesse all’ orrore perpetrato ricercherebbe un’ utopica via salvifica in quella sola speranza, il proprio se’, e nella residua libertà, che non potrà mai esserci sottratta, di essere e di pensare, di amare e di sognare.
Ma all’ interno di un tale sistema carcerario e di un vivere siffatto sovente non c’è alcuna possibilità di scelta, se non l’ attesa della fine e la speranza di una rivoluzione imminente, perché qui tutto è stato rovesciato, la realtà è l’ incubo e la propria vita, azzerata, solo un’ idea ed un lontano ricordo.
Ed allora? La buona letteratura, e qui senza dubbio di questo si tratta, pur nella propria distopica e discutibile visione e rappresentazione del reale, tale rimane, è monito, preveggenza, riflessione, rimpianto, tutte categorie dell’ umano sentire che riescono a trasferire un messaggio vivido di inadeguatezza ed intimità violata.
Quale società qui si vuole rappresentare e quale senso di profondità? Un futuro inverosimile, un presente che non avrà futuro, un passato rimpianto e non ancora dimenticato o semplicemente spunto per ricercare risposte a verità e possibilità inquietanti, futuribili e non, scuotendo la sensibilità individuale, e, tra le righe, mostrando un senso di libertà vera e presunta ( nel paese della libertà’ illimitata ) che tale non è o non è percepita da una sfera personale ( femminile) spesso violata e dal sentimento di pochi?
Risposte precise non ve ne sono, solo ipotesi e spunti di riflessione, ricordiamoci che sempre di romanzo si tratta, laddove realtà e fantasia si fondono e si confondono e la ricostruzione e visione di fatti personali provenienti dal passato cozza con l’ imperfezione ed incompletezza delle fonti ( il racconto della ancella ).



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