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Le perizie
 
Le perizie 2018-01-17 17:29:26 kafka62
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    17 Gennaio, 2018
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IL PRECURSORE DEL POSTMODERNISMO

Le perizie, opera d’esordio di William Gaddis pubblicata nel 1955, è un’opera immensa, sia per la mole (1037 pagine la versione digitale che ho letto, ma la copia cartacea, che credo sia praticamente introvabile, supera le 1600 pagine) sia per l’importanza che ha avuto nella storia della letteratura del ‘900 (Gaddis è considerato il precursore del romanzo postmoderno, quello – tanto per intenderci – di Pynchon, De Lillo e Wallace). E’ un libro che incute un forte senso di soggezione, per l’erudizione che sfoggia, le conoscenze culturali che presuppone e il frequente ricorso a simbolismi e a intraducibili giochi di parole, ma che, se si ha la pazienza di portarlo a termine (magari con l’ausilio dell’utilissima “A reader’s guide to William Gaddis’s The recognitions by Steven Moore”, agevolmente rintracciabile in internet), è capace di regalare incomparabili momenti di godimento intellettuale. Certe parti del romanzo sono oggettivamente difficili, soprattutto i capitoli in cui compare il protagonista Wyatt (personaggio sconnesso, disturbato, che si esprime quasi a monosillabi, e che a un certo punto del libro – tanto per rendere le cose ancora più ardue – l’autore smette di chiamare per nome) o quelli ambientati nel New England, che descrivono la discesa nella follia del reverendo Gwyon (talmente piene di riferimenti mitologici e di rimandi ai riti religiosi primitivi, che bisognerebbe conoscere alla perfezione Il ramo d’oro di Frazer per capirli appieno). Eppure ne Le perizie ci sono anche moltissime occasioni di divertimento. Ricordo di aver riso fino alle lacrime leggendo la scena in cui Otto fissa con il padre, che non ha mai visto e conosciuto prima d’allora, un appuntamento nel bar di un hotel ma, per una serie di bizzarre coincidenze, al suo posto incontra Frank Sinisterra, un falsario il quale a sua volta lo scambia per la persona a cui deve consegnare un pacco di banconote false: un perfetto ed esilarante esempio di commedia degli equivoci!
Il trait d’union del romanzo è costituito dal tema della falsificazione. Sono falsi i quadri dipinti da Wyatt (il quale rinuncia fin da piccolo a creare opere originali in quanto condizionato dagli insegnamenti della bigotta zia May secondo cui “Il Signore è l’unico vero creatore, e solo i peccatori cercano di emularLo”). Ma falsi sono anche i soldi spacciati da Sinisterra, false sono le identità con cui Wyatt e Sinisterra si aggirano per l’Europa (e che costeranno la morte a quest’ultimo), falsi sono i lavori di cui si vantano gli sciocchi intellettuali del Village per pavoneggiarsi nelle loro serate mondane, falso è perfino il corpo della piccola santa spagnola inviato a San Pietro per la canonizzazione (e che in realtà è il corpo della madre di Wyatt, riesumato per sbaglio dalla tomba vicina). Gaddis mette in discussione qualsiasi cosa, anche la stessa religione cristiana, come dimostra la parabola esistenziale del reverendo Gwyon il quale, dedicandosi intensamente allo studio degli antichi riti pagani, finisce per confondere sempre più la prima con i secondi e per impazzire (“Non passava giorno festivo senza che il reverendo Gwyon lo paragonasse cupamente a qualche cerimonia pagana, tanto che i suoi parrocchiani […] si agitarono, indignati e a disagio, dopo aver ascoltato la nota storia di una nascita da una vergine avvenuta il venticinque dicembre, mutilazione e resurrezione, solo per scoprire che non erano stati al servizio di Cristo ma di Bacco, Osiride, Krishna, Budda, Adone, Marduck, Balder, Attis, Anfione o Quetzalcoatl”). Gaddis arriva perfino a suggerire, con le parole di Wyatt che il falso è addirittura preferibile all’originale: “Quel romantico morbo, l’originalità, tutt’intorno vediamo l’originalità di idioti incompetenti, non saprebbero disegnare nulla, dipingere nulla, perciò il pasticcio che fanno è originale…”. Se questo è vero cos’è allora la bellezza? Forse è soltanto un’aspirazione ideale, un’utopia irraggiungibile (come l’amore, la purezza o la grazia) che la vita si premura prima o poi impietosamente di ridicolizzare, come dimostra la sorte beffarda che Gaddis riserva nell’epilogo alla maggior parte dei suoi personaggi.
Le perizie è un romanzo epocale, un romanzo-mondo, in cui le traiettorie di decine di personaggi, alcuni addirittura anonimi ma ugualmente indimenticabili (come il critico dalla camicia verde o la donna alta), si incontrano, si intrecciano e si ramificano, lasciando nel lettore un senso di stupore e di gratitudine per le infinite possibilità che la fluente narrazione di Gaddis lascia intravedere. Una narrazione che tocca secondo me il suo apice nella descrizione delle riunioni mondane newyorkesi, in cui l’autore si diverte a prendere in giro gli intellettuali del Village, stupidi, inetti, snob e vanesi (Otto gira addirittura per settimane con un braccio fasciato per far credere a tutti di essere stato ferito durante il suo viaggio nell’America Centrale, dal momento che fa molto intellettuale “engagé”, e Mr. Feddle non esita a mettere una finta copertina sopra L’idiota di Dostojevskij per convincere i colleghi di essere riuscito a pubblicare un libro di poesia). In questi party Gaddis dà prova di un virtuosismo sopraffino, riuscendo a restituire perfino il senso delle voci che si sovrappongono e si accavallano le une sulle altre (come al cinema anni dopo avrebbe fatto Robert Altman). Questa scrittura polifonica è solo uno dei tanti lasciti di William Gaddis alla narrativa americana dei decenni successivi. Molto altro ci sarebbe da dire a proposito de Le perizie, ma in questa sede mi limiterò a dire che l’opera d’esordio di Gaddis è un capolavoro impervio ma imprescindibile, che andrebbe letto almeno una volta nella vita, come l’Ulisse di Joyce o la Recherche di Proust.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
L'arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon
Infinite jest di David Foster Wallace
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