Narrativa italiana Classici Trionfo della morte
 

Trionfo della morte Trionfo della morte

Trionfo della morte

Letteratura italiana

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Pubblicato nel 1894 a conclusione di una travagliata gestazione durata più di quattro anni, il Trionfo della morte racchiude in sé gli elementi della complicata metamorfosi artistica e ideologica che d'Annunzio vive in quegli anni: dal pessimismo estetizzante, commisto al naturalismo determinista, fino all'acquisizione della tematica nietzschiana del superomismo. La vicenda di Giorgio Aurispa, emblema della condizione negativa dell'uomo moderno, segnato dall'incapacità di aderire vitalmente all'esistenza, e della sua "difficile" passione per Ippolita, è tutta centrata sul tema ossessivo della morte e dell'abisso incolmabile che separa ogni individuo da un altro. Ed è proprio l'abisso la soluzione ultima del romanzo, l'unica che consenta l'unione dei due amanti.



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Trionfo della morte 2023-08-20 13:17:45 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    20 Agosto, 2023
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L'irrazionalismo

Terzo e ultimo del ciclo dei Romanzi della Rosa, questo libro è profondamente legato alla biografia dell'autore von forti riflessi della sua relazione con Barbara Leoni.
Vi si colgono anche le ossessioni dello scrittore allora trentenne per l'arte di Wagner e il pensiero di Nietzsche sul tema della morte.
Un romanzo intriso di irrazionalismo, che m'è parso a tratti pesante.
La scrittura è bella, seppur 'molto dannunziana' anche nei suoi aspetti di retorica ed enfasi.

Una storia di patologico amore e di follia, ossessione e passione, da parte del protagonista maschile, posseduto da un desiderio totalizzante, volto all'impossibile.
Dominato da una "brama ardentissima di vivere", in lui "la sensualità assumeva quasi le forme d'un morbo", proteso com'era a "cercare la felicità nel possesso di un'altra creatura" .

La passione, basata su un'abnorme amplificazione emotiva, è però destinata a consumarsi. E lui pertanto non si percepiva mai del tutto realizzato. Avvertiva questa incompiutezza, assorbito com'era dalla propria "vita passionale", che lo faceva cadere "in una specie di paralisi psichica (...), una indifferenza peggiore della più acuta sensibilità", talvolta con un "unico, assiduo" pensiero: "il pensiero della morte" .

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Trionfo della morte 2019-11-08 17:51:04 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    08 Novembre, 2019
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Eros e Thanatos

"L'amore è la più grande fra le tristezze umane perché è il supremo sforzo che l'uomo tenta per uscire dalla solitudine."

Terzo e ultimo dei cosiddetti “romanzi della rosa”, l’opera è incentrata sulla storia d'amore che vivono Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio. Si tratta di un rapporto alquanto tormentato che ha inizio a Roma, tra il profumo dell'incenso e delle violette, e ha fine in modo tragico in una località marina di quell'Abruzzo sempre tanto caro a Gabriele d’Annunzio.
Non privo di elementi autobiografici, il romanzo presenta una componente molto importante, forse ancor più dell'eros, che aleggia nel corso della narrazione: la morte, “l'invincibile”, come non a caso s'intitola il libro sesto. Questa, infatti, non si svela soltanto nella parte conclusiva, al momento del gesto folle dell'Aurispa, ma nel procedere della storia si possono scorgere diversi elementi che l’annunciano, rendendola così onnipresente: la chiazza nerastra lasciata dal suicida sulla strada, a Roma; Ippolita che cala il velo nero sull'ultimo bacio prima che Giorgio si rechi a Guardiagrele; il funerale del parroco del paese; il ragazzetto con la stampella del corteo funebre; il figlio della sorella Cristina, quel bimbo dalla grossa testa sempre china sul petto; il viso cadaverico dell'ingorda zia Gioconda; il violino dello zio Demetrio che sta chiuso nella custodia come un cadavere nella bara; il bambino annegato nelle acque di San Vito; le masse pellegrinanti a Casalbordino. Suonano tutti come presagi di morte, per non parlare del ricordo, sempre vivo nella memoria del protagonista, dello stesso Demetrio, lo zio suicida, l'uomo dolce e meditativo nel quale spiccava “una ciocca bianca tra i capelli oscuri che gli si partiva di sul mezzo della fronte”.
Una storia molto intensa, al pari dei suoi protagonisti: Giorgio, che “non poteva sottrarsi al bisogno di cercare la felicità nel possesso di un'altra creatura”, rappresenta forse la parte più tormentata, quella che più soffre all'interno della coppia; il suo è anzitutto un dolore spirituale che si acuisce ogni volta in cui viene meno il controllo su Ippolita. E non si tratta di un possesso puramente fisico quello al quale lui aspira. Lei, che è donna sensuale, anzi la voluttà in persona, finisce per rappresentare invece la parte più materiale poiché ostenta un terribile attaccamento alla vita, al suo corpo, a quello dell'amante e al sesso. Tanti sono gli aspetti sotto i quali d’Annunzio la presenta, al punto che la donna diventa via via quasi irriconoscibile rispetto alla creatura calma e dotata di singolare dolcezza quale era inizialmente apparsa. A tratti crudelmente puerile, come quando con un fermaglio infilza per le ali una farfalla crepuscolare, Ippolita finisce per diventare la “Nemica”, come più volte la definisce Giorgio. Particolarmente incisiva una delle sue ultime immagini: quando, durante la sera fatale, da novella Eva offre una pesca da lei morsa al compagno. Sempre durante quell’ultima sera, in Ippolita la trasformazione si porta a compimento e lei diventa ormai un essere voluttuoso e terrificante al tempo stesso, soprattutto quando le sue risa rompono il silenzio della notte: “Ed ella a un tratto fu presa da un riso nervoso, frenetico, incoercibile – lugubre come il riso d’una demente”.
Un romanzo che non gode della fama del ben più famoso "Il piacere", ma che merita non di meno una lettura.

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Trionfo della morte 2015-11-04 14:05:38 Jari
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Jari Opinione inserita da Jari    04 Novembre, 2015
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Amore e morte

Il romanzo di D'Annunzio che più amo. La relazione, intrisa di riferimenti autobiografici, fra Ippolita Sanzio e Giorgio Aurispa vive e muore fra i borghi del centro Italia, fra passioni estreme, attese, turbamenti ed estasi mistiche, fino a sublimarsi in quella morte concepita come decadente soluzione del male di vivere. L'eremo di San Vito Chietino in particolare è testimone sia dell'attesa dell'amata da parte di Giorgio, dove l'anima di questo sembra quasi fondersi con il paesaggio rurale che lo circonda, sia della passione amorosa dei due, descritta in pagine di rara e struggente bellezza, sia dei turbamenti esistenziali e filosofici di Giorgio, che vorrebbe farsi nietzchianamente superuomo senza riuscirci, condannandosi così all'angoscia ed alla frustrazione. L'ultimo libro poi è un monumento all'eros (Il Tristano ed Isotta di Wagner è fonte d'ispirazione di erotismo e passione) ed al Thanatos, quest'ultimo concepito come unica, estrema via d'uscita.

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Trionfo della morte 2014-03-13 06:56:32 silvia t
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silvia t Opinione inserita da silvia t    13 Marzo, 2014
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Il trionfo della morte

Un cunicolo buio, violentato dalla luce di feritoie aperte sul mondo, stretto e umido, si lancia sulla vergine di Norimberga, aperta, sensuale pronta a svolgere il suo compito atroce e catartico.
Il percorso è obbligato, la fine certa e la resa impossibile.
Questa la sensazione che il lettore prova durante la lettura.
“Il trionfo della morte” non è solo un romanzo, è un' esperienza quasi mistica, per ciò che trasmette, per il suo trascendere il contenuto spaziando campi dello scibile così lontani da non capirne, nell'immediato, i collegamenti.
Un testo difficile, forse il più complesso di D'annunzio, ricco di descrizioni, di passaggi lessicali complessi e di contenuti difficili e a tratti indecifrabili, che svela in modo violento l'ignoranza del lettore, che non può non deporre le armi di fronte a tanta cultura concentrata in esso.
Fin dal titolo il tema della morte imprime la sua impronta per avvolgere le pagine di un tetro presentimento, di un'innata certezza.
C'è tutto D'annunzio in questo romanzo, tutto quello che ne rappresenta l'essenza, quella fragilità che contrasta con la sua volontà, quell'animo delicato ed esteta che contrasta con la personalità forte e determinata della vita pubblica, quell'amore per Wagner e Nietzsche che creano in lui la celebrazione del superuomo che non può trovare se non nella morte la sua ragione di vita, ma trascina con sé colei che della vita è stata la scintilla, che grazie a lui ha conosciuto la felicità e il piacere e che troverà nella grande consolatrice la sua nemesi.
Se il tema centrale è quello della morte, il cunicolo che vi ci conduce è il mal di vivere, un'oppressione che attanaglia il protagonista, lasciandogli guardare dalle feritoie e quel che vede non sempre è consolatorio.
Da un punto di vista stilistico è una sinfonia di suoni che se letta dimenticando il significato delle parole genera il fruscio del vento o l'infrangersi delle onde sugli scogli oppure il lamentio perpetuo di mendicanti deformi che promettono grazie dalla Madonna.
Il protagonista compie un viaggio interiore per trovare la sua origine, le sue radici, ma ciò che vede non gli appartiene, non lo riconosce come proprio; il mondo intorno non lo sfiora, i suoi problemi non esistono, esiste egli solo, ed egli solo conta: la sua famiglia, i luoghi che lo hanno visto crescere e infine anche la sua amata non sono che visioni lontane che portano una flebile luce nella sua esistenza, del tutto insufficiente a mitigare il bisogno di epicità che invade e pervade ogni attimo della sua vita; unico antidoto la sensualità, il piacere, le corde che la sua donna fa vibrare: la casta e pura Ippolita in un soffio, plasmata da Giorgio, diviene voluttuosa e foriera di tutti i piaceri.
Ippolita è un'anima semplice, che vuol solo amare che poco comprende della complicata personalità del suo amato, per lo più lo asseconda, ma il personaggio è così ben caratterizzato da aver un ruolo centrale nella vicenda, da rendersi punto di riferimento su cui gira la follia di Giorgio che di pagina in pagina diviene più concreta, fino a che il contrasto con la compagna diviene così forte da sovvertire i piani su cui poggiano il bene e il male, catapultando con violenza il lettore in una dimensione, come fu per “L'innocente”, al di là di essi.
Il protagonista è scandagliato in tutti i meandri della sua personalità, si imparano a capire i suoi pensieri, le sue fobie, il suo bisogno di andare oltre l'umana sostanza per invadere il territorio del divino, infrangere il muro della cose terrene per elevarsi al di sopra incarnando quell'ideale di Superuomo che non potrai mai raggiungere se non appunto nella morte.
Nella morte, però, risiede la minaccia della sostituzione, la disintegrazione del suo essere indispensabile e così quel viaggio nell'oblio deve essere totale e catartico di tutta la sua vita.
Pieno di simbolismi, laici e religiosi, blasfemi e cattolici, con personaggi secondari che nella loro semplicità restituiscono la speranza nel lettore, forse echi di verismo sporcano questo inno all'estetismo, che ritrova, come già fu per Verga, la vita e il futuro negli umili che senza troppi voli pindarici ed elucubrazioni mentali vivono e si riproducono, mentre il Superuomo non può trovare che nella morte il proprio scopo e la fine di una sterile esistenza.
Pietra miliare della letteratura italiana,, le descrizioni riportate sono necessarie, oltre che coinvolgenti, i temi trattati profondi e importanti.
Ci si chiede spesso se D'Annunzio sia solo esercizio di stile senza contenuti; penso che la ricerca di un io interiore, con l'onestà intellettuale che gli deve essere riconosciuta, sia un innegabile contributo a tutti i romanzi successivi che hanno come tema centrale l'introspezione.
L'essenza di D'Annunzio si fa arte ed eleva colui che legge in un mondo che esisteva, forse quello sì, solo nella sua mente.

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