Dieci Dieci

Dieci

Letteratura italiana

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Vanessa che "quando si mette le calze nere e la gonna corta di pelle pare proprio 'na femmina"; il ragazzino tredicenne che uccide la madre "perché qualcuno doveva farlo", perché "ci sta un limite a tutto"; la ragazza che può raccontare solo a un gatto di nome Mondezza cosa significhi abortire il figlio che suo padre le ha messo in pancia; il piccolo malavitoso costretto ad abbassare gli occhi davanti a un anziano pensionato pacatamente deciso a non abbassare i suoi; il ragazzo detto Reibàn che nel corso di una notte balorda in compagnia dei suoi amici Panzarotto e Rolèx ruba la macchina sbagliata (è la macchina di un boss) e si trova a dover uccidere per salvare la pelle: sono solo alcuni dei personaggi che il lettore incontrerà in questi dieci racconti, dieci come i comandamenti, e a questi intitolati. Un'immagine radicalmente nuova di Napoli.



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Dieci 2023-02-22 15:15:24 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    22 Febbraio, 2023
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Dieci piccoli indigeni

Questo, che è uno dei primi testi editi dallo scrittore ischitano, napoletano per estensione, Andrej Longo, è esattamente quanto indica il titolo, un decalogo.
Un insieme di dieci racconti, ognuno dei quali prima si intitola, e poi si ispira, a ciascun punto del dettato evangelico, la serie dei dieci Comandamenti dati da Dio a Mosè per il popolo ebreo.
Applicato però alla prosaica realtà napoletana, e per estensione a quella di qualsiasi altra location analoga per disgraziato vissuto e difficili condizioni di vita; in sintesi questi perspicaci racconti di Longo, tutti brevi, incisivi e raccolti, per una lettura agile di un libro di non molte pagine illustrano, a saperli leggere, una serie di precetti fondamentali purtroppo da osservare in determinate condizioni o attività.
Un decalogo quindi assai distante dalle idilliache intenzioni teologiche, ma non per questo i dieci comandamenti in salsa partenopea esprimono precetti meno veritieri, anzi enunciano un dettato che rispecchia fedelmente ciascun verso di quelli incisi sulla pietra a lettere di fuoco, dati da Dio sul Sinai.
“Dieci” non ha nulla di biblico, qui non si racconta del Paradiso in Terra, piuttosto si narra di una terra da paradiso, in cui però qualcosa non gira per il verso giusto, e stavolta non per colpa degli Adamo e Eva, i residenti dell’Eden non hanno colto alcun frutto proibito, è che in mancanza di adeguati strumenti, scuola, lavoro, famiglia, opportunità e adatte condizioni esistenziali, nessun paradiso in terra darà buon frutto, e senza frutti dilaga la miseria e la fame, e le malevoli azioni conseguenti.
Dieci comandamenti, dunque, esattamente quelli delle tavole della Legge date a Mosè per la salvezza degli uomini, adattate però come detto alla realtà napoletana, attualissime ancora oggi anche a distanza di anni dalla sua pubblicazione, semplicemente perché rispecchiano la realtà nuda e cruda.
Una realtà immutabile da tempo immemorabile perché certe discutibili situazioni, alcune oscure ingiustizie, le violenze manifeste, le iniquità evidenti, le sopraffazioni dilaganti, in una parola le mafie locale, la camorra o come dire si voglia, sono endemiche in certi territori sussistendo certe volute congiunture politiche e storpiature sociali di comodo, come la miseria fisica e morale, al pari passi della mancanza di regole, di supporti sociali, di opportunità, di lavoro, nell’assenza più assoluta delle istituzioni proposte. Soprusi, angherie, torti, abusi sono radicati in ogni dove e non solo nel territorio napoletano, allorché sussistono certe situazioni di sfascio e di degrado; Longo ci racconta qui dell’habitat napoletano perché è quella a sua immediata portata, ma sono dogmi universali, come ogni buona religione che si rispetti. Puoi sarchiare per benino la vigna del Signore, tuttavia i campi più fertili, allorché sono invasi dalle erbacce cattive, necessitano di aratura profonda, ogni tentativo di risolvere o porvi rimedio, per essere efficace, deve essere incisivo, andare alla radice della gramigna e troncarla con decisione.
Radere le erbacce in superfice è una manovra di facciata, un’operazione di maquillage che lascia il tempo che trova, la malerba poi ricresce, magari anche più folta, dilagante e soffocante.
Andrej Longo non enuncia il suo decalogo per la salvezza del genere umano, fa ben altro, declina i dieci comandamenti ognuno nei suoi aspetti pratici, porta degli esempi, racconta degli episodi eclatanti a cui il dettato biblico si attiene alla perfezione, manca però un Messia da invocare, sperando che arrivi quanto prima ad immolarsi per la salvezza del genere umano.
In assenza di un deus ex machina l’umanità, e una bella umanità, bisogna dirlo, unita, concorde, solidale e compartecipe, descritta con incisività e crudezza da Andrej Longo, costituita da persone semplici, naturali, genuini, uomini, donne, bambini, tutti indigeni dei luoghi, si salverebbero benissimo da soli se solo gliene fosse concessa l’opportunità.
In questo senso, allora, “Dieci” racconta di dieci piccoli indigeni, dieci protagonisti di varia età e genere, piccoli perché intesi nella loro assoluta normalità e semplicità, potrebbero essere persone che casualmente potremmo incontrare ogni giorno, nativi dei luoghi e che di quei luoghi vorrebbero essenzialmente goderne le bellezze fisiche e morali che offre, viverci e lavorare tranquillamente ed in pace, in empatia e sodali con i propri simili.
E sono riportati davvero bene: Longo ha una scrittura deliziosa, una voce garbata e rispettosa che riporta letteralmente quanto vede, stretta, stringata, senza fronzoli, diretta.
Con toni e accenti dei luoghi, termini dialettali, suoni e melodie, stridori ed onomatopea, Andrej Longo trasporta chi legge a vivere i dieci comandamenti nelle strade più tradizionali di Napoli, gli fa vivere i vicoli e i quartieri, non chiede alcuna assoluzione, fa da sacrestano, un passo indietro all’altare, lascia che siano i fatti così come accadono a parlare per lui al lettore.
Il lettore allora si avvede che Caifa, i sacerdoti, i farisei o chi per loro condannano i dieci piccoli indigeni, i protagonisti dei singoli racconti, che ad uno ad uno soccombono, fin che non ne rimase nessuno…in stile Agatha Christie.
Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me, è attributo del locale boss della camorra, a cui un giovane di sani principi, ben deciso a tenersi alla larga da certi traffici delinquenziali, deve però prestarsi per salvaguardare la propria giovanissima fidanzata da una grave violenza.
Non pronunciare il nome di Dio invano, perché potresti essere chiamato a renderne tristemente conto, ed è quanto succede ad un giovane cantante di quartiere, oggi diremmo un neomelodico, che non si accontenta più di cantare ai matrimoni ed alle feste di paese, per la carriera e la cieca ambizione si presta ai servizi di malavita, per poi restarne drammaticamente invischiato.
Ricordati di santificare le feste, ed in famiglia possibilmente, ma come è possibile farlo per un onesto lavoratore, coniugato e con figli, costretto dal bisogno a lavorare ben lontano da casa e farvi ritorno solo poche ore al mese, perdendosi la vita, le feste, la famiglia e la gioventù in uno stringato pendolarismo da fame?
Onora il padre e la madre, e uccidine uno se te lo chiede per bieca e dolorosa disperazione.
Non uccidere, è quanto raccomanda un killer della camorra al figlioletto che desidera seguire le orme del papà. E via così per gli altri cinque comandamenti, fino all’ultimo.
Nessun cantico delle creature, qui ci sono solo povere creature che cantano una elegia della loro esistenza, una poesia di come vorrebbero la vita, o come potrebbe essere o essere stata, e com’è in effetti. Andrej Longo ha scritto di Napoli, dei suoi quartieri più vivi e più popolari, e nel contempo ha dato voce a tanti, troppi che voce non hanno, e che possono solo sussurrare le loro giaculatorie in clandestinità, in silenzio, quasi come ai tempi delle catacombe.
Sperando che qualcuno li ascolti: ma il cielo, spesso, troppo spesso, non risponde.

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Andrej Longo
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Dieci 2018-03-15 16:56:02 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    15 Marzo, 2018
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Dieci pugnalate

Dieci racconti che prendono a prestito come titolo i dieci comandamenti per raccontare una realtà dalle proprie regole invertite, che non ha niente di religioso e non aspira alla salvifica redenzione. Perché qui l’unico comandamento possibile è sopravvivere, in qualche modo, come si può.

Dieci squarci di sofferenza. Perché la Napoli di Andrej Longo non è fatta di mare e chiari di luna, di bellezza e umorismo partenopeo, ma di crimine e miseria, di violenza e dolore.

Dieci pugnalate al cuore. Perché ogni parola è impastata di rabbia e desolazione. Quella di chi si fa allettare dal potere e dalla ricchezza, senza rendersi conto di stare rinunciando alla propria dignità. Di chi, per quieto vivere, chiude ogni giorno gli occhi. E di chi, a un certo punto, si accorge di non riuscire più a guardarsi allo specchio, di non sapere più cosa fare e cosa pensare.

“Non pensavo a niente, non tenevo niente da pensare, mi sembrava tutto regolare, normale. Mi mangiavo la vita a morsi. Senza che tenevo domande”.

È un libro di grande impatto emotivo perché ciascuno di questi racconti riesce davvero, con spietata lucidità e intensità, a farci guardare una realtà agghiacciante da angolazioni nuove, facendoci percepire sulla pelle una carrellata di emozioni: rabbia, rassegnazione, paura, costrizione. La sensazione di vivere in una bolla vuota in cui non c’è niente a cui aggrapparsi, né principi, né giustizia, né speranza. Di sentirsi stretti e intrappolati in una morsa, senza possibilità di scelta.
Lo stile è asciutto ed essenziale, punta al realismo sia linguistico, attingendo al registro del parlato e a espressioni dialettali, sia descrittivo, con un gusto per il dettaglio davvero apprezzabile, pur nella brevità del racconto.

In questo libro non si spiega la camorra e non si racconta il “Sistema” ma sono le vite, i pensieri e i fatti dei piccoli a parlare. E a lasciare il segno con la loro crudissima verità. Da leggere.

“E mentre abbracciavo mio figlio, ho pensato che non potevo fare più niente per lui. Potevo soltanto sperare che non diventava come a me. Solo quello”.

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Dieci 2016-05-02 11:48:44 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    02 Mag, 2016
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Da Mosè a Longo...

Succede che leggi "per caso" il libro di un autore a te sconosciuto e ti ritrovi a divorare le pagine finché non arrivi fino in fondo.
E poi succede che questo autore ha scritto anche altri libri e non perdi tempo a procurartene un altro.
Ti dicono..."leggi DIECI, leggi DIECI, che è bellissimo"...e tu, con ancora il sapore dell'altro suo libro sulle labbra, pensi che più bello di quello non potrà essere.
Però lo prendi.
E ti ritrovi a leggere "i dieci comandamenti" in un modo che non avresti mai immaginato.
Completamente ricontestualizzati in una realtà ostile e dolorosa.
Mosè li scrisse sulla pietra, Longo te li graffia direttamente sul cuore.
E finalmente li comprendi...
I dieci comandamenti visti dall'interno...dall'interno di vite difficili, che ti vomitano addosso tutta la loro miseria e il loro degrado...quello di una Napoli di periferia che non salva e non perdona.
Dieci pugnalate alla schiena.
Difficilmente dimenticherò queste piccolissime storie, alcune più di altre mi hanno ghiacciato il respiro in gola.
Realistico e simbolico allo stesso tempo.
Secondo me...imperdibile (anche per chi non è molto avvezzo ai racconti).
Qualcuno potrebbe muovere critiche sull'uso del classico cliché "napoletano", i personaggi vanno a finire proprio dove tu ti aspetti che vadano...ma la forza del libro è proprio lì: nessun infiocchettamento, nessuno sconto...sai già a cosa andrai incontro, ma non puoi fare a meno di "sussultare" quando ci arrivi.
Certo, Napoli non è solo questo (lo scugnizzo, il boss, il cantante neomelodico, il tossico, la ragazzetta sciantosa...)...Napoli è molto molto altro.
Ma è anche questo, che piaccia o no.
"Napule è mille colori..."

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Dieci 2007-11-19 22:42:20 Diego Roma
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Opinione inserita da Diego Roma    20 Novembre, 2007

La parola come rito

Chiudere la copertina di questo libricino edito da Adelphi, è come serrare la persiana di una finestra dopo aver spiato da dietro le imposte. I racconti sono dieci come i comandamenti a cui fanno riferimento. Ma mai l'idea del sacro è stata più lontana dalle vite di questi personaggi, per la gran parte giovani, tutti irrimediabilmente impantanati in un'esistenza vuota, violata, (de)sacrificata e preda di ritualità assurde.

Il proverbiale "sole di Napoli" non appartiene al microcosmo di Longhi. E in genere la vena descrittiva è scarna, se non assente, soprattutto perché ogni racconto è una vita, rigorosamente narrata in prima persona. E dunque tutto è conficcato nei monologhi, nei dialoghi secchi di un dialetto cantilenante, reso egregiamente, ma che i personaggi svuotano di ogni funzione comunicativa usandolo come fosse l'esecuzione di un rito.

In "Dieci" c'è chi la vita la rimpiange perché ormai è andata, e chi l'ha già bruciata prima di viverla. Un libro duro e leggero a un tempo: un libro napoletano.

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Dieci 2007-11-14 18:58:34 enrico78
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enrico78 Opinione inserita da enrico78    14 Novembre, 2007
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Uno spaccato di Napoli

Ho letto con curiosità questi dieci racconti di Andrej Longo ambientati nel capoluogo campano. Si tratta di storie molto dure, tristi, tremendamente efficaci nel trasmettere la sensazione di una società che non funziona. Ho assegnato un voto basso solo allo stile a causa delle troppe parole dialettali presenti nel testo.

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