La peste scarlatta
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Futuro certo
California, 2070, in una versione post-apocalittica immersa in un futuro lontano, la terra è un luogo desolato, spopolato, deserto, infestato da bestie feroci, preda delle forze indifferenti della natura, dell’ individualismo di un’ umanità regredita ai primordi, scontando a distanza di anni l’ avvento tetro e funesto dell’epidemia di morte scarlatta ( nel 2013).
Il genere umano, ormai quasi estinto, vive una nuova era tutta da costruire, una civiltà disadorna che si serve di un linguaggio scarno, pochi concetti e parole, la lettura e la scrittura scomparse, sopraffatti dalla cruda realtà, dalla violenza, dalla mancanza di rispetto per i più anziani.
Il racconto di uno dei sopravvissuti, un vecchio professore di letteratura immerso in libri e parole che da sempre ha narrato ai propri studenti, segna le tappe del terribile evento, i ragazzi che lo ascoltano vivono di immagini ignorandone la dialettica, non comprendendone i significati profondi, figli di un’ ignoranza della quale si servono e si vantano per sopravvivere nella barbara quotidianità.
Il vecchio racconta della caduta degli Dei, laddove agli inizi del nuovo secolo prosperavano opulenza e conoscenza, d’ improvviso strani sintomi, tachicardia, innalzamento della temperatura corporea, la diffusione rapida di un’ eruzione cutanea scarlatta sul viso e sul corpo causa di morte istantanea.
E allora tutto implode, si sgretola rapidamente, gli individui pensano a se’, si guardano dagli altri, regredendo a uno stato di solitudine e ignoranza, la società destinata a un inesorabile crollo, migrazioni, razzie, violenze, assassinii, ciascuno preda e predatore al contempo.
Ogni forma di civiltà rimossa, i libri perduti, il saper estinto insieme alle menti illuminate che lo hanno creato, un’ inversione sociale in atto, nessuna speranza, circondati da distruzione e morte.
Il ritorno alle origini, dopo un lungo periodo di assestamento, darà lentamente forma a una nuova civiltà, quella stessa che, un giorno, all’ apice di progresso e produttività, in una condizione dicotomica di ricchezza e povertà, tra esodi e sovraffollamento, segnerà una nuova discesa agli inferi assecondando il sentimento umano di sopraffazione e autodistruzione.
Cicli e ricicli, il peggio di se’ nel proprio momento migliore, una genia di barbari e di selvaggi che, nella sventura generalizzata, distruggeranno gli altri e se stessi.
La Peste Scarlatta è un racconto orale calato in un’ epoca post-apocalittica, la fine della cosiddetta civiltà, l’ idea ossessiva della sopravvivenza in un individualismo che paradossalmente azzera tutte le differenze.
L’ avvento del virus ha generato violenza, tracotanza, una solitudine alla ricerca di eventuali superstiti, il senso insensato di chi pensa, legge, scrive in un mondo privato di tutto e senza destino. Ci si chiede se sopravvivere sia sufficiente, e a quale prezzo: all’ interno della narrazione si fissano alcune chicche:
…che cos’è istruzione? Chiamare scarlatto il rosso…
a che cosa servono le università?
…All’ Università insegnavamo ai giovani a pensare…
Indicazioni utili
Senza troppe pretese
Titolo meno conosciuto di un grandissimo autore, “La peste scarlatta' è stato riportato in auge (così come tanti altri titoli) dall'emergenza epidemica che ci siamo ritrovati ad affrontare quest’anno. Durante la lettura scorgeremo in effetti alcune analogie con quello che abbiamo vissuto di recente, alcune delle quali anche piuttosto inquietanti: ad esempio, è incredibile pensare come nell’immaginario di uno scrittore che scrive questo romanzo nel 1912, gli uomini e i loro governi reagiscano al pericolo nello stesso identico modo: provando inizialmente a minimizzare o addirittura nascondere la minaccia, finché questa non diventa talmente forte ed estesa da non poter esser più negata. Oltre questo, comunque, il romanzo di London si spinge ben più avanti: a parte qualche caso isolato tra personaggi politici e dello spettacolo riportati alla capacita cognitiva dei Neanderthal e, ahinoi, il numero di morti che supera i seicentomila, le conseguenze del Covid non sono state comunque disastrose come quelle descritte in questo romanzo.
La peste scarlatta compare sulla Terra da un momento all’altro e altrettanto velocemente riporterà la civiltà umana alla barbarie, lasciando null’altro che una manciata di sopravvissuti. Coloro che saranno contagiati dalla peste scarlatta non hanno contromisure per prevenire la diffusione del morbo né alcun modo di guarire: una volta preso dalla morte scarlatta, nessun uomo ha scampo: prenderà il colorito caratteristico della malattia - ovviamente, scarlatto - verrà colpito da brevi convulsioni e da un formicolio che, partendo dai piedi, arriva fino al cuore e a quel punto decreta la morte dell’ammalato. Come si diceva, ogni tentativo di trovare una cura si rivela inutile e il proposito viene ben presto abbandonato, mentre gli uomini si allontanano da quelli che erano stati i centri nevralgici della civiltà, ma che nel tragitto cadranno al suolo come mosche. Dagli unici superstiti partiranno le discendenze che, un giorno molto lontano, riporteranno l'uomo al livello di civiltà e conoscenza in cui si trovava prima dell'epidemia. O forse no.
Quel che non mi ha convinto di questo romanzo è la mancanza di carica emotiva, che è qualcosa che da un autore come Jack London mi aspetto sempre. “La peste scarlatta" non mi è parso altro che uno dei tanti racconti post-apocalittici senza nulla a pretendere, con l'unico scopo di immaginare una possibile fine della razza umana e impegnare il lettore per un paio d'ore. Certo, va considerato che al momento della sua scrittura il soggetto poteva essere anche originale, e questo nel giudizio va considerato, ma da un autore di tale calibro mi aspettavo qualcosa di un altro spessore e profondità. Il mio problema non sta nel fatto che questo tema e questo contesto siano stati usati e abusati (sono il primo a dire che non hanno importanza decisiva nel valore di un’opera) ma che non dica qualcosa che possa scatenare nel lettore una riflessione, né fornisce granché su cui discutere. Per capirci, mi aspettavo qualcosa sul tenore de “La strada” di McCarthy, o de “La guerra dei mondi” di Wells. Purtroppo non è stato così.
Peccato.
“Ora capivo perché i fuggiaschi da me incontrati filavano, terrei in viso, con aria così furtiva. Nel cuore della nostra civiltà, nei bassifondi e nei ghetti operai, avevamo allevato una genia di barbari, di selvaggi; ora, nel momento della sventura, da quelle bestie feroci che erano si rivoltavano contro di noi per distruggerci, distruggendo così anche se stessi.”