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Avventure, esperienze ed esplorazioni vissute e narrate in prima persona dallo scrittore, fedele all'idea secondo la quale viaggiare significa anzitutto tornare a fare esperienze dirette, conoscersi più a fondo, mettersi alla prova per superare i propri limiti e le proprie paure. Dagli squali nelle acque di Tahiti agli aborigeni della Nuova Guinea, da Bangkok al Kilimanjaro, dalle tartarughe della Malesia alla solitudine del deserto americano: più che un semplice libro di viaggi, questo volume ci racconta il percorso di una vita all'insegna di una curiosità insaziabile. E non è un caso che tra le pagine più intense e belle del libro vi siano quelle degli anni di apprendistato alla Harvard Medical School, in cui l'autore descrive la propria esperienza di medico.



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Viaggi 2019-09-02 09:24:51 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    02 Settembre, 2019
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Il Mito smitizzato

Michael Crichton nelle premesse del libro afferma con molto acume che nel mondo moderno è sempre più difficile poter avere esperienze dirette. Tuttavia solo attraverso l’esperienza diretta è possibile prendere le misure di chi siamo veramente. Secondo l’A. l’unica vera forma di esperienza diretta è quella del viaggio (avventuroso e no) che ci consenta di entrare in contatto con ambienti, culture, stili di vita e pensieri diversi da quelli a cui siamo abituati.
In questo libro ci racconta, attraverso un’antologia di racconti autobiografici, le sue esperienze vissute come studente in medicina e, appunto, come viaggiatore. Da queste esperienze avrebbe tratto ispirazione per i romanzi che lo hanno reso famoso nel mondo.

Io sono stato sempre un grande ammiratore dei libri di Crichton: è un mio mito letterario. Credo di aver letto quasi tutta la sua produzione letteraria con esclusione della serie in ambiente ospedaliero, e nessuno dei suoi romanzi (salvo solo, forse, le pubblicazione postume) si è mai guadagnato un giudizio peggiore di un buonissimo. Perciò mi incuriosiva molto scoprire come gli erano nate le idee dei romanzi: quando uscì questo volume ne fui ovviamente subito attratto. Tuttavia, per me inspiegabilmente, dopo essere comparso in libreria nei mesi estivi di trent'anni fa scomparve rapidamente dagli scaffali e non se ne seppe più nulla. Quando recentemente ho scoperto l’esistenza di una versione elettronica non me la sono fatta scappare.
Che delusione!
Innanzi tutto il titolo è abbastanza fuorviante, perché è vero che si parla molto di viaggi, ma è soprattutto vero che il concetto deve essere inteso più come viaggio interiore nell'io dell’A., piuttosto che di esplorazione di luoghi remoti. Quindi è da intendersi come autoanalisi e non come diario di esplorazioni.
La prima parte, interamente dedicata alle esperienze in ambito ospedaliero, è carina, ben narrata, ma non particolarmente esaltante. L’unica cosa che mi ha realmente stupito di questa sezione è lo scoprire che la tanto decantata medicina americana (la migliore del Mondo!) addestri (o addestrasse all'epoca) le sue future generazioni di chirurghi e sanitari in genere in corpore vili (anzi, proprio viri, cioè del povero paziente di turno) sbattendo degli imberbi studentelli, con pochissime ore di studi teorici sui libri alle spalle, a occuparsi dei ricoverati affetti pure di gravi malattie. Per il resto i racconti non aggiungono molto a quanto ci hanno mostrato, in tutte le salse, i romanzi in ambiente medico, per non parlare delle serie TV come “E.R. – Medici in prima linea” (dello stesso Crichton) e dei numerosissimi epigoni.
La seconda parte, invece, ci porta in giro per il mondo per luoghi esotici, almeno quando li visitò l’A. Ormai, però, in un Mondo sempre più connesso, molti di quei posti sono divenuti mete turistiche gettonate e tanti hanno avuto l’opportunità di visitarli; anche i più sedentari tra noi, poi, li possono ammirare sul proprio monitor con pochi clic. Quindi il fascino dell’esplorazione è andato perso, anche perché in trent'anni di globalizzazione, pure i più “selvaggi” di essi hanno perso parecchio della loro genuina diversità per gli occhi di un occidentale. Gli aneddoti raccontati sono divertenti, curiosi, interessanti, ma ci coinvolgono poco di più di quanto farebbero i raccontini dell’amico giramondo di turno al ritorno dal suo ultimo giretto all'estero o, peggio, in tempo reale, dell’infornata di scatti su Whatsapp scaricataci dal medesimo. Inoltre, nonostante la dichiarata inclinazione dell’A. a viaggiare per vivere avventure piene, quasi come gli antichi esploratori, in realtà il più delle volte, il Crichthon-turista ci appare troppo come il danaroso gitante americano che si aspetta di avere tutto e subito alla pressione del pulsante dopo l’inserimento delle banconote nel distributore automatico. Decisamente antipatico.
L’ultima parte, poi, è la più deludente e scoraggiante, perché si occupa di “viaggi” di altro tipo, assai meno credibili: quelli nella parapsicologia. Uno dei motivi per i quali ho sempre ammirato i romanzi di Crichton e la fredda logica scientifica dalla quale sono guidati. Anche quelli che appaiono più fantascientifici e immaginifici, in realtà non sono altro che la razionale proiezione nel futuro (prossimo) di quanto in realtà già esiste concretamente tra di noi e che aspetta solo di sbocciare ed evolversi sino alle conseguenze finali. Ora scoprire che questo A. intelligente, medico, formatosi a una rigida scuola scientifica e sempre aggiornato sugli ultimi ritrovati della ricerca e della scienza pura, si sia fatto irretire da una trama di medium, veggenti, lettori di aure e canalizzatori di energie para-psichiche, più che una cocente delusione m’è parso un vero tradimento. È accettabile che un genio come Conan Doyle, troppo fanciullescamente ingenuo per resistere ai truffatori della sua epoca, abbia passato gli ultimi anni della sua vita a baloccarsi con lo spiritismo. È un fatto triste, ma comprensibile: in quell'epoca la scienza non aveva ancora trionfato nella vita di tutti noi. Ma che nella stessa trappola sia caduto (oggi) pure Crichton, mi sembra inammissibile e pure fastidioso, al punto che mi è nato il sospetto che quei “viaggi” siano stati fatti con l’ausilio di sostanze psicotrope.
I vari racconti risultano, perciò incredibili, noiosi e sgradevoli, al punto da farmene saltare parecchi a piè pari.
Le autobiografie, in genere, consentono di rivalutare i personaggi famosi, potendone apprezzare appieno anche il lato privato, quello più umano e nascosto alla generale attenzione. Nella fattispecie, però, l’impressione che ne ho tratto è assai negativa e rischia di offuscarmi pure l’ottima immagine del geniale autore di Andromeda, Congo, Jurassic Park. Insomma, forse era meglio che questo libro non l’avessi mai letto…

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