L'ultima intervista
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Recensione della Redazione QLibri
Ma cos'è la verità
L’ultima intervista è un romanzo autobiografico o pseudo autobiografico scritto sotto forma di intervista, dove la forma dell’intervista è un pretesto per parlare di sé senza seguire un ordine cronologico stretto, saltando soprattutto all’inizio da un argomento all’altro per riprendere più avanti i due fili conduttori principali: il rapporto con la moglie Dikla e il rapporto con la scrittura. Entrambi i rapporti stanno vivendo una grossa crisi, probabilmente le due crisi sono correlate. Entrambe le crisi sono legate al rapporto tra scrittura e vita e tra vita e verità, quindi tra arte e verità. Questo ultimo argomento di discussione, cioè il rapporto arte-verità, andava di moda il secolo scorso, oggi come oggi è difficile che qualcuno sostenga ancora che l’arte debba essere legata alla verità, pena un ruolo minore. Nessuno pretende dallo scrittore che sia assolutamente sincero, ammesso e non concesso che verità e sincerità siano la stessa cosa. Dikla rimprovera al marito di non essere veritiero ma di raccontare troppi segreti di famiglia. In parole povere racconta fatti personali e problemi personali ma senza guardarne in faccia le cause, addomesticandoli a suo beneficio come se volesse fascinare il pubblico per tirarselo dalla sua come si fa nelle famiglie in crisi in cui ogni coniuge cerca di avere l’appoggio degli altri membri della famiglia oppure di usare i problemi famigliari per trarne storie. Del resto questo ruolo di fascinatore lo scrittore se lo rimprovera lui stesso, lo giudica severamente, lo bolla come immorale. Nevo ammette di essere il responsabile dell’ascesa del peggior politico israeliano del quale ha scritto e continua a scrivere i discorsi, discorsi assolutamente vuoti e populisti. In un certo senso l’autore è alla ricerca della verità nella scrittura ma cede facilmente alla fascinazione, al potere che riesce ad esercitare sugli altri e anche al denaro. L’immagine che dà di se stesso è tenera, sentimentale, fedele alla moglie. Ma, nonostante questo si capisce che l’immagine è deformata e falsa per le varie occasioni di tradimento vero o immaginato che descrive. Però come quello che racconta della sua vita ha del falso in sé, così la sua scrittura. Seduce, è formalmente intrigante, con un certo sentimentalismo di buon livello.
Insomma, credo che Nevo si renda conto che la scrittura può essere di più, soprattutto per uno con il suo talento. I grandi della letteratura russa, ad es. Dostoevskij o Solzenicyn hanno fatto della letteratura una forma di ricerca, proprio come Schopenhauer intendeva l’arte. Io credo che Nevo aspiri a qualcosa del genere ma non vuole perdere il pubblico che spesso chiede qualcosa di più commerciale e finto, come il buon politico. Nevo è sempre un sentimental-buonista. Gli unici momenti in cui tira fuori un pizzico di cattiveria è quando parla dei colleghi scrittori, in particolare dello scrittore reduce della Shoah, il cui romanzo di 10 kg di peso, di migliaia di pagine lo insegue come uno stalker, e dello scrittore di gialli scandinavo più fascinoso e commerciale di lui. In un certo senso lui si barcamena tra un modo e l’altro di scrivere senza scegliere una strada o l’altra. Le primissime pagine mi sono sembrate molto molto belle e toccanti cioè più del resto del romanzo. Del resto è molto difficile mettersi a nudo in un romanzo dato che poi all’autore è richiesto di accompagnarlo in giro per il mondo. Io credo che su questo la Ferrante abbia assolutamente ragione, un romanzo non dovrebbe avere la faccia dell’autore cucita addosso. Le parti sulle presentazioni dei romanzi rendono l’idea di come funziona il mercato dei libri e sono abbastanza snervanti. Invece sono interessanti le pagine che rendono l'idea della situazione esplosiva in Israele.
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Umanità e fragilità
Scrivere è un profondo atto di coraggio. Perché significa aprirsi con persone terze totalmente sconosciute che leggendoci entrano in contatto con noi, scoprendo da quelle parole che vengono enunciate e destinate, piccoli o grandi segreti della nostra anima, perché significa mettersi in gioco con quelle che sono le proprie fragilità, le proprie debolezze.
Tuttavia, negli anni, può accadere che quel foglio bianco che si palesa innanzi ai nostri occhi, che si apre di fronte a noi, resti vuoto, resti incompleto. Perché quella storia proprio non vuole uscire, perché quella storia non può essere conforme a quella che viene richiesta dall’editore richiedendo, al contrario, di essere analizzata, scrutata, sviscerata perché personale, perché intima, perché causa. Ed è quello che succede a Nevo che, in quest’ultimo lavoro, si confessa, raccontandoci che proprio non è riuscito a scriverlo quel lavoro che era in programma, che ha dovuto fermarsi per raccontarsi, per raccontarci. Per trovare una risposta a quegli interrogativi che non sempre ne hanno.
Non stupisce dunque il trovarsi davanti ad un’opera dal carattere fortemente autobiografico, un elaborato che è costruito su domande a cui seguono altre domande e che si snodano attorno a due grandi fili conduttori: il rapporto con la scrittura e il rapporto con la moglie Dikla. La scrittura che rappresenta la finzione, la vita celata, la vita annegata tra le parole e la moglie che è sinonimo di vita vera, di realtà a discapito di quel compagno che rifugge costantemente dal concreto occultandosi in una dimensione che è al confine verità e dissimulazione.
Il tutto è accompagnato da riflessioni anche sulla società israeliana, sulla politica, sull’umanità. A far da cornice una penna meticolosa, erudita, precisa che scava nel profondo toccando le corde più intime e oscure del narratore e del lettore.