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L'ultima intervista L'ultima intervista

L'ultima intervista

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«Un tempo mi alzavo felice e oggi mi alzo triste. Non sono certo di sapere il perché». Così comincia questo struggente e, insieme, feroce romanzo in cui, sotto l’occasionale forma di un’intervista a un sito internet, uno scrittore provvede a mettere a nudo il suo cuore. Le risposte, che si susseguono come «fuochi d’artificio», non risparmiano nulla: passioni, amori, inimicizie, tradimenti, la stessa apparente vanità dell’esercizio della scrittura, magnifica via di fuga quando la vita imbocca sentieri troppo stretti, ma futile scappatoia quando la vita arranca miseramente per la via, e la donna amata non trova più in te la felicità, la figlia abbandona casa, l’amico si ammala. Non c’è scrittore, è noto, che non menta nelle interviste, che non risponda, appunto, da scrittore, in maniera calcolata, cauta, misurata. Un’ipocrita precauzione che non alimenta queste pagine, che non costituiscono per niente un educato diario intimo. Sono pagine in cui irrompe la verità nuda e cruda, divertente, triste, scandalosa, politicamente scorretta, una verità così vera da aprire non soltanto le porte alle stanze nascoste di una vita, ma da mostrare persino come al suo centro si insedi spesso la più spudorata menzogna. Sulla scia di grandi autori quali Nabokov e Roth, l’acclamato autore della Simmetria dei desideri e Tre piani ci mostra come la vita stessa di uno scrittore possa diventare autentica letteratura.



Recensione della Redazione QLibri

 
L'ultima intervista 2019-10-27 18:20:29 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    27 Ottobre, 2019
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Ma cos'è la verità

L’ultima intervista è un romanzo autobiografico o pseudo autobiografico scritto sotto forma di intervista, dove la forma dell’intervista è un pretesto per parlare di sé senza seguire un ordine cronologico stretto, saltando soprattutto all’inizio da un argomento all’altro per riprendere più avanti i due fili conduttori principali: il rapporto con la moglie Dikla e il rapporto con la scrittura. Entrambi i rapporti stanno vivendo una grossa crisi, probabilmente le due crisi sono correlate. Entrambe le crisi sono legate al rapporto tra scrittura e vita e tra vita e verità, quindi tra arte e verità. Questo ultimo argomento di discussione, cioè il rapporto arte-verità, andava di moda il secolo scorso, oggi come oggi è difficile che qualcuno sostenga ancora che l’arte debba essere legata alla verità, pena un ruolo minore. Nessuno pretende dallo scrittore che sia assolutamente sincero, ammesso e non concesso che verità e sincerità siano la stessa cosa. Dikla rimprovera al marito di non essere veritiero ma di raccontare troppi segreti di famiglia. In parole povere racconta fatti personali e problemi personali ma senza guardarne in faccia le cause, addomesticandoli a suo beneficio come se volesse fascinare il pubblico per tirarselo dalla sua come si fa nelle famiglie in crisi in cui ogni coniuge cerca di avere l’appoggio degli altri membri della famiglia oppure di usare i problemi famigliari per trarne storie. Del resto questo ruolo di fascinatore lo scrittore se lo rimprovera lui stesso, lo giudica severamente, lo bolla come immorale. Nevo ammette di essere il responsabile dell’ascesa del peggior politico israeliano del quale ha scritto e continua a scrivere i discorsi, discorsi assolutamente vuoti e populisti. In un certo senso l’autore è alla ricerca della verità nella scrittura ma cede facilmente alla fascinazione, al potere che riesce ad esercitare sugli altri e anche al denaro. L’immagine che dà di se stesso è tenera, sentimentale, fedele alla moglie. Ma, nonostante questo si capisce che l’immagine è deformata e falsa per le varie occasioni di tradimento vero o immaginato che descrive. Però come quello che racconta della sua vita ha del falso in sé, così la sua scrittura. Seduce, è formalmente intrigante, con un certo sentimentalismo di buon livello.
Insomma, credo che Nevo si renda conto che la scrittura può essere di più, soprattutto per uno con il suo talento. I grandi della letteratura russa, ad es. Dostoevskij o Solzenicyn hanno fatto della letteratura una forma di ricerca, proprio come Schopenhauer intendeva l’arte. Io credo che Nevo aspiri a qualcosa del genere ma non vuole perdere il pubblico che spesso chiede qualcosa di più commerciale e finto, come il buon politico. Nevo è sempre un sentimental-buonista. Gli unici momenti in cui tira fuori un pizzico di cattiveria è quando parla dei colleghi scrittori, in particolare dello scrittore reduce della Shoah, il cui romanzo di 10 kg di peso, di migliaia di pagine lo insegue come uno stalker, e dello scrittore di gialli scandinavo più fascinoso e commerciale di lui. In un certo senso lui si barcamena tra un modo e l’altro di scrivere senza scegliere una strada o l’altra. Le primissime pagine mi sono sembrate molto molto belle e toccanti cioè più del resto del romanzo. Del resto è molto difficile mettersi a nudo in un romanzo dato che poi all’autore è richiesto di accompagnarlo in giro per il mondo. Io credo che su questo la Ferrante abbia assolutamente ragione, un romanzo non dovrebbe avere la faccia dell’autore cucita addosso. Le parti sulle presentazioni dei romanzi rendono l’idea di come funziona il mercato dei libri e sono abbastanza snervanti. Invece sono interessanti le pagine che rendono l'idea della situazione esplosiva in Israele.

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L'ultima intervista 2020-07-26 22:41:28 Franca_95
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Franca_95 Opinione inserita da Franca_95    27 Luglio, 2020
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L'irreversibile fragilità umana

È straordinario come questo libro sfondi quelle barriere che a volte tendono a crearsi tra il lettore e il libro che tiene fra le sue mani. L’ultima intervista di Eshkol Nevo è un diario intimo in forma di intervista. L’escamotage, nemmeno troppo insolito, dell’intervista, permette al nostro scrittore protagonista di aprire se stesso, forse per la prima volta, al suo lettore. Nonostante sia chiaro fin dall’inizio che abbiamo a che fare con un narratore totalmente inattendibile, che fonde realtà e finzione, e ciò ci viene detto dal protagonista più di una volta, non possiamo far altro che affidarci alle sue parole, perché di questo abbiamo bisogno, di fidarci. Il libro è popolato non solo di personaggi, ma di storie nelle storie, poesie, sogni; è come se frugassimo nella mente del protagonista e lui cercasse in tutti i modi di depistarci ma che ormai stanco non può far altro che lasciarsi andare, perché i suoi lettori sono l’unica cosa che gli sia rimasta. Una non-lettera d’amore che fa vibrare le corde di un animo vulnerabile.

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Chi ama la scrittura di David Grossman, non può non amare questo libro
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L'ultima intervista 2020-01-03 09:20:14 68
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68 Opinione inserita da 68    03 Gennaio, 2020
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Viaggio inevaso





Una lunga intervista, lasciata al potere del web, la vita, i misteri e le ansie di uno scrittore in crisi di ispirazione, ingabbiato nella solitudine di una scrittura che non riesce più’ ad affrontare. Famiglia, amicizie, amori, impegno politico, sogni, speranze, dolore, porzioni di se’ che inseguono un cammino di senso, sfogo di un’ anima persa, sintesi di un cammino a metà.
Un amore lungo, datato, la possibilità di essere diventato scrittore per conquistare il cuore di Dikla, pagine e pagine divenute una lunga lettera d’ amore di cui lei è la destinataria.
Pensieri che volano senza una destinazione precisa, quanti dedicati all’ amico Ari che lotta per la vita in ospedale, quanti ad una moglie che continua a tenerlo a distanza, a donne che non sono lei, ad una figlia che se ne è andata in collegio e non gli vuole più rivolgere la parola?
Vive con la paura di perdere l’ ispirazione, di perdere Dikla ed i bambini, di beccarsi un attacco cardiaco e non sopravvivere, impaurito dalla facilità con cui le cose in Israele precipitano nella violenza, impaurito dalla possibilità di una guerra e che sia una guerra civile.
La realtà svela che ci vuole più coraggio ad ascoltare che a raccontare storie e che ci si rifugia in frasi belle quando non si ha il coraggio di dire la verità. L’ oggi significa tre figli, una casa, una famiglia ed un pensiero che ritorna, se tutto questo cadrà in pezzi quale importanza attribuire alla scrittura in una nuova forza che allontana l’ uno dall’altra e che è più forte del proprio rapporto di coppia?
Un matrimonio che pare dissolversi, due giovinezze trattenute l’ una nell’ altra e di colpo lasciate andare, figli che sono tutto il proprio mondo, una distimia aumentata da quando Shira, la grande, se ne è andata a vivere in un Kibbutz.
L’ intervista continua, storia nella storia che prende forma e si trasforma, cammino da cui non si riesce ad evadere, epilogo di un cortocircuito mentale, ma in questi giorni non si ha altro a cui aggrapparsi dal momento che la scrittura è anche un risarcimento per quello che non si è vissuto.
In generale si soffre la difficoltà di stare con il mondo, dentro gli avvenimenti, venti anni a scrivere invece di vivere ed ora questo blocco, una situazione famigliare precaria, destinata al tramonto e la necessità di non deludere quei lettori che si sono costruiti un’ immagine nella testa e che credono lo scrittore una brava persona.
Ecco allora che il dubbio rimane, alcuni dei fatti successi davvero, alcuni si ha il terrore che possano accadere, alcuni si desiderano ed altri riguardano Ari e lo scrittore scandinavo Alex Wolf...
Un testo che a mio avviso ricerca identità ed originalità inevase, di certo non sovrapponibile ai celebri romanzi del passato, con trame ed intrecci di profili e caratteri psicologici all’ interno di un universo relazionale complesso in una miscela psico-reale-narrativa (“ La trama dei desideri “ e “ Tre piani “ ). Qui si crea e si mostra una ricostruzione ed esposizione dei fatti e di un pezzo di vita, pubblica e privata, perdendo l’originalità della propria scrittura, l’ invenzione di trame ed intrecci al limite del possibile, con protagonisti che rispondono a precise identità e dotati di una delicatezza dosata, un equilibrio ed un rispetto per i sentimenti stessi proprio di chi li conosce a fondo ed e' avvezzo a parlarne.
Nella riconoscibilità di linearità stilistica e di temi già’ noti, mancano una certa vivacità espositiva e cambiamenti di rotta che nascondano i segreti della propria vulnerabilità inseguendo un’ intimità spesso negata, riducendo e riproducendo una lunga e monocorde esposizione autoreferenziale al limite della banalità. .

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L'ultima intervista 2019-11-12 10:24:08 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Novembre, 2019
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Umanità e fragilità

Scrivere è un profondo atto di coraggio. Perché significa aprirsi con persone terze totalmente sconosciute che leggendoci entrano in contatto con noi, scoprendo da quelle parole che vengono enunciate e destinate, piccoli o grandi segreti della nostra anima, perché significa mettersi in gioco con quelle che sono le proprie fragilità, le proprie debolezze.
Tuttavia, negli anni, può accadere che quel foglio bianco che si palesa innanzi ai nostri occhi, che si apre di fronte a noi, resti vuoto, resti incompleto. Perché quella storia proprio non vuole uscire, perché quella storia non può essere conforme a quella che viene richiesta dall’editore richiedendo, al contrario, di essere analizzata, scrutata, sviscerata perché personale, perché intima, perché causa. Ed è quello che succede a Nevo che, in quest’ultimo lavoro, si confessa, raccontandoci che proprio non è riuscito a scriverlo quel lavoro che era in programma, che ha dovuto fermarsi per raccontarsi, per raccontarci. Per trovare una risposta a quegli interrogativi che non sempre ne hanno.
Non stupisce dunque il trovarsi davanti ad un’opera dal carattere fortemente autobiografico, un elaborato che è costruito su domande a cui seguono altre domande e che si snodano attorno a due grandi fili conduttori: il rapporto con la scrittura e il rapporto con la moglie Dikla. La scrittura che rappresenta la finzione, la vita celata, la vita annegata tra le parole e la moglie che è sinonimo di vita vera, di realtà a discapito di quel compagno che rifugge costantemente dal concreto occultandosi in una dimensione che è al confine verità e dissimulazione.
Il tutto è accompagnato da riflessioni anche sulla società israeliana, sulla politica, sull’umanità. A far da cornice una penna meticolosa, erudita, precisa che scava nel profondo toccando le corde più intime e oscure del narratore e del lettore.

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