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L'urlo e il furore
 
L'urlo e il furore 2019-07-29 12:18:43 DanySanny
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
DanySanny Opinione inserita da DanySanny    29 Luglio, 2019
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Pelle scalcinata

La lettura di “L’urlo e il furore” mi ha suscitato le stesse reazioni (personalissime) di una poesia di Leopardi e cioè la percezione di una grandezza oggettiva, indubitabile, e, dall’altro, una certa resistenza soggettiva, come se il libro non riuscisse a vibrare alla mie stesse frequenze. Pubblicato nel 1929, stesso anno di Addio alle armi, Faulkner scrive questo libro tenendo in mano, credo, l’Ulisse di Joyce, ma supera il modello ricorrendo ad una mimesi linguistica estrema e straniante, che porta il flusso di coscienza fino alle profondità sinuose della mente sul punto del suicidio e, contemporaneamente, lo frantuma nella distonia percettiva di un malato di mente. Articolata in quattro parti, ma radicata in una storia di decenni, la genealogia intagliata da Faulkner ripercorre la tragedia di una famiglia voluttuosamente incastrata nelle spire della fine. La disomogeneità del testo, prima di tutto stilistica, trova in realtà coesione nei sottili fili conduttori che guidano il testo, parole ripetute, fiumi carsici che scompaiono e riappaiono dopo pagine, in piani temporali fusi e confusi, nel tentativo di imprimere sulla pagina il flusso zigzagante dei pensieri. Eppure il flusso di coscienza di Faulkner non ha il ritmo placido e ondivago dei personaggi della Woolf, o la logica associativa di Joyce, piuttosto si fa balbettio o cortocircuito linguistico, rendendo la lettura ostica alla decifrazione.

Nella prima parte, che definisce i confini dell’opera, lo sguardo è quello cinematografico di una mente malata che registra quello che accade come in un vertiginoso montaggio appositivo che sfugge al principio di causa-effetto: la realtà di definisce per accumulo, non per precisazioni e intanto ogni evento, ogni parola, nasconde in sé la possibilità di un ricordo, di un altro mondo, di un’altra realtà che è, nel felice equilibrio tra terrestrità e avanguardia, il punto d’incontro tra il cubismo di Braque e le tele di Munch. Nella seconda parte è invece la prosa complessissima di Quentin, studente universitario infatuato non della sorella, ma della promessa di verginità, della purezza, dell’onore della famiglia sospese su una membrana fallibile, a tenere banco nel giorno della fine. Qui la scrittura si fa ancora più contorta, avviluppata, dispersa, odissiaca ma clautrofobica, tesa fino allo spasmo, sull’orlo della rottura. La prosa si appiana poi nella terza e quarta parte dove Faulkner dimostra di saper governare lunghi periodi e prospettive inusuali, con una concretezza descrittiva e simbolica davvero rara. Eppure il piacere della lettura è più intellettuale che emotivo, più culturale che sentimentale e la complessità narrativa crea forse un certo ostacolo al godimento puro dell’opera.

L’immagine certo più emblematica di questo libro è il lamento informe, suono puro, di Benji sulla fine del romanzo, un volto che fatica a trattenere la pelle, sformato e deformato, la bocca aperta che tenta di esprimere il dolore di esistere, l’inconveniente di essere nati, il dolore genetico, primordiale e inevitabile cui ogni primo vagito condanna. Il dolore è la malattia, la separazione, la perdizione, la seduzione della morte e l’impossibilità dell’amore, il cinismo, il pianto, il furore del destino che sacrifica ineluttabile gli uomini sul suo altare. Come anticipato in apertura, apprezzo molto le scelte di Faulkner, radicali ed eversive, ma contemporaneamente ho faticato ad entrare in sintonia con l’opera, a sentirne tutte le vibrazioni e continuo a pensare che qualcosa non nello stile, ma nella struttura complessiva faccia fatica a sostenere l’ambizione del libro.
Detto questo, Faulkner è grande letteratura e leggerlo è un'esperienza, un'avventura da provare.

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Commenti

7 risultati - visualizzati 1 - 7
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Danny, una bella recensione.
Tra le mie lacune di lettore c'è sicuramente quella di non aver letto nulla dell'autore.
Da quali testi cominciare? Graditi i suggerimenti.
Ottimo commento, mi ci ritrovo in quanto a sensazioni.
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DanySanny
30 Luglio, 2019
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Ciao Emilio! Credo che Mentre morivo", in quanto più breve, possa essere da un lato un buon esempio dello stile dell'autore e dall'altro meno snervante, sulla lunga distanza, di questo da me letto. Sicuramente una lettura che richiede concentrazione, affatto rilassante, quindi sicuramente consiglio una buona predisposizione d'animo.
In risposta ad un precedente commento
DanySanny
30 Luglio, 2019
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Ciao Laura, sono stato contento della lettura, anche se non ho trovato piena sintonia con lui. Un libro pesante, nel senso necessario del termine.
Faulkner indubbiamente è uno scrittore ostico ma imprescindibile. Ricordo la fatica che feci a completare la lettura di "Assalonne, Assalonne", con i suoi periodi interminabili, pieni di subordinate, che mi costringevano a rileggere ogni singola frase, e con la sua cripticita, che mi obbligava a non abbassare mai la guardia. Eppure ogni volta che finisco un suo romanzo, mi viene sempre la voglia di prenderne subito in mano un altro. Concordo inoltre con te sul consiglio che hai dato a Emilio: "Mentre morivo", oltre che bellissimo, è discretamente accessibile anche a chi non ha mai frequentato Faulkner.
In risposta ad un precedente commento
DanySanny
30 Luglio, 2019
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Si Giulio, un autore sicuramente da leggere, anche solo per vedere un'altra faccia della scrittura. Io non ho avuto il colpo di fulmine, ma riconosco che, oggettivamente, è un grande.
Grazie.
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